Stelle variabili
Trattando il problema dell'evoluzione stellare abbiamo notato come, in corrispondenza di precise fasi di tale evoluzione, una stella presenti una struttura instabile: tale instabilità nella struttura della materia stellare si traduce all'osservazione in una variabilità dello splendore della stella.
L'osservazione di una variazione nella magnitudine apparente di una stella può tuttavia essere legata a una causa completamente diversa e indipendente. Vi sono infatti dei sistemi stellari composti in genere da due, ma talvolta da più stelle, vicine tra loro, che costituiscono un sistema doppio o multiplo. Se due stelle nel loro moto intorno al comune baricentro si eclissano periodicamente, la luce integrata che noi riceviamo dal sistema si affievolisce ad ogni eclisse pur restando costante la luminosità delle singole componenti del sistema.
La diversa causa che sta all'origine della variazione luminosa ha condotto alla suddivisione delle stelle variabili in due grandi classi: variabili intrinseche o variabili vere e variabili estrinseche o variabili ottiche. Nel presente capitolo ci occuperemo solo del primo gruppo; le variabili ottiche rientrano infatti nella famiglia delle stelle doppie.
Con il progredire delle tecniche di osservazione appare sempre più difficile una netta distinzione tra stelle variabili e non: infatti, col crescere della sensibilità strumentale, cresce regolarmente il numero di stelle variabili note.
L'elenco e la designazione usuali sono quelli del catalogo russo delle stelle variabili e dei suoi periodici aggiornamenti: essi comprendono sia le variabili intrinseche sia quelle estrinseche. La designazione di ogni singolo oggetto è fatta mediante il nome della costellazione a cui appartiene la stella preceduto da una o due lettere maiuscole dell'alfabeto, salvo per le stelle più brillanti che hanno un nome proprio (Algol) o sono designate mediante una lettera dell'alfabeto greco (δ Cephei). Per le stelle che non rientrano in quest'ultima categoria, in ordine di scoperta, la denominazione all'interno di ogni singola costellazione avviene con le lettere R, ...Z, RR, ... RZ, SS, ... fino a ZZ. Per le costellazioni in cui le variabili sono numerose la nomenclatura prosegue con AA, ...AZ, BB ... fino a QZ. Quando neppure tutte queste 334 combinazioni risultano sufficienti, si prosegue con V335, V336 ecc., sempre seguito dal nome della costellazione (ad esempio V361 Cyg).
La variabilità luminosa è descritta dalla curva di luce, grafico che riporta, in funzione del tempo, i valori della magnitudine apparente o di altra quantità equivalente. Di tale grafico si studiano in particolare i punti di massimo e di minimo, l'ampiezza della variazione indicata dalla differenza tra il valore massimo e il valore minimo raggiunto dalla curva e il periodo, quando esiste, con cui tali variazioni si ripetono.
Il diverso aspetto delle curve di luce e le caratteristiche fisiche delle varie decine di migliaia di variabili note sono alla base delle varie sottoclassi in cui questa famiglia di stelle è suddivisa e studiata. Una prima suddivisione è quella che distingue le variabili in variabili pulsanti e variabili eruttive.
Le stelle pulsanti, per lo più stelle giganti o supergiganti, sono a loro volta suddivise in parecchie sottoclassi: la più importante, non per il numero di oggetti che ne fanno parte, ma piuttosto per l'importanza che essi rivestono come indicatori di distanza delle galassie esterne, è costituita dalle cefeidi, giganti gialle che prendono il nome dalla stella δ Cephei, la prima di questo gruppo ad essere stata scoperta e studiata alla fine del XVIII secolo. La magnitudine di δ Cephei varia regolarmente da 3,6 a 4,3 in un periodo di 5,4 giorni. Le cefeidi note sono circa 700: anche la stella polare è una cefeide, la cui variazione luminosa è limitata a solo un decimo di magnitudine tra 2,5 e 2,6.
Il meccanismo che spiega la variazione tanto della curva di luce quanto di altri parametri quali la velocità radiale, la temperatura e il tipo spettrale, consiste in una periodica espansione e compressione degli strati atmosferici della stella. Durante la fase di espansione nell'emisfero stellare rivolto verso la Terra il gas fotosferico si muove in direzione dell'osservatore, il quale misura lo spostamento per effetto Doppler verso lunghezze d'onda minori, corrispondenti quindi a valori negativi della velocità radiale delle stelle. La massima velocità di espansione corrisponde al minimo della curva di velocità radiale; in questa fase la luminosità della stella raggiunge il valore massimo e così pure la sua temperatura superficiale, mentre l'opposto succede nella fase di massima contrazione, quando la stella è meno calda e meno luminosa.
La proprietà più importante di questa classe di stelle è, come abbiamo detto, quella di costituire dei preziosi indicatori di distanza. Infatti esiste una relazione tra il periodo con cui variano le caratteristiche della stella. e la luminosità intrinseca delle cefeidi. Poiché queste stelle appartengono alla classe di luminosità delle stelle giganti, sono intrinsecamente molto luminose ed è relativamente facile osservarle nei sistemi galattici esterni più vicini, in particolare nelle Nubi di Magellano, due piccole galassie irregolari che accompagnano la nostra Galassia.
All'inizio del XX secolo non si conosceva ancora la natura di queste formazioni irregolari caratteristiche del cielo visibile dall'emisfero australe. Pur non conoscendo la distanza delle Nubi dalla Terra, era ragionevole supporre che essa fosse assai grande; in tal caso le stelle che ne facevano parte si potevano immaginare come oggetti situati tutti alla stessa distanza da noi. Dallo studio intrapreso dall'astronoma statunitense Henrietta Swan Leavitt (1868-1921), del Harvard College Observatory, delle curve di luce delle cefeidi appartenenti a ciascuna di queste due galassie, risultò che vi era una stretta relazione tra la magnitudine apparente delle cefeidi e il periodo con cui varia la loro luminosità. Il periodo risultò essere tanto maggiore quanto più luminosa era la stella.
Per poter tradurre questa legge in un mezzo per calcolare la distanza di ciascuna Nube sarebbe stato sufficiente conoscere la luminosità intrinseca o la magnitudine assoluta di una qualsiasi cefeide. Conoscendo infatti la magnitudine sia assoluta sia apparente di un oggetto stellare, è assai facile dedurne la sua distanza; come già detto, la magnitudine assoluta è infatti la magnitudine della stella idealmente trasportata a 10 parsec dalla Terra. Quanto più la stella è lontana, tanto più la radiazione che essa emette giunge affievolita ai nostri strumenti e la sua magnitudine apparente risulta debole. Se si conoscesse la distanza e quindi la magnitudine assoluta anche di una sola cefeide di periodo noto, si potrebbe tarare l'intera relazione magnitudine-periodo e quindi ricavare la distanza di un ammasso o di una galassia esterna attraverso l'osservazione delle cefeidi in essi contenute.
Purtroppo non esistono cefeidi tanto vicine a noi da permettere una misura di parallasse trigonometrica; le misure di distanza delle cefeidi si basano perciò su metodi statistici di misura della parallasse e questi non sono mai molto precisi. Ne consegue che una revisione e una migliore determinazione della scala di distanze delle cefeidi si ripercuote immediatamente sulla determinazione della distanza e quindi delle dimensioni delle galassie esterne in cui queste stelle sono osservabili. È quello che è successo quando si scoprì che esistono due diverse classi di cefeidi e tale fatto ha avuto come conseguenza una profonda revisione della scala delle distanze degli oggetti extragalattici, che è improvvisamente raddoppiata rispetto a quanto si riteneva fino a quel momento. Ad esempio, la galassia di Andromeda, il solo mondo extragalattico visibile ad occhio nudo dalle nostre latitudini, come un oggetto diffuso di diametro angolare massimo di circa sei gradi, si trova ad una distanza di circa 690 000 parsec e ha un diametro massimo di circa 50 000 parsec, mentre fino al 1950 si riteneva che la sua distanza fosse di 250 000 parse c e le sue dimensioni di 20000 parsec.
Indicatori di distanza ancora più preziosi delle cefeidi si sono rivelate le stelle del tipo RR Lyr. Queste variabili regolari con periodo dell'ordine di un giorno o meno, come comunemente avviene prendono il nome dalla stella che è stata studiata per prima e si trovano tanto numerose negli ammassi globulari da meritare anche l'appellativo di variabili di ammasso. La magnitudine assoluta è all'incirca costante per tutte le RR Lyr, cosicché la semplice misura della magnitudine apparente di una di esse è sufficiente alla determinazione della distanza dell'ammasso a cui appartiene.
Un'altra classe di variabili importante per il grande numero di stelle che ne fanno parte è quella delle variabili a lungo periodo. Le stelle di questo gruppo sono stelle giganti e supergiganti, il cui prototipo è o Ceti, comunemente nota come Mira Ceti. Questa stella ha normalmente una magnitudine compresa tra 8 e 10 ed è perciò invisibile a occhio nudo, ma a intervalli regolari di circa undici mesi il suo splendore cresce fino a diventare una brillante stella di magnitudine apparente due, cioè paragonabile per splendore alla Stella Polare.
Corrispondentemente a tale variazione luminosa, il tipo spettrale varia da M9 a M6 e la temperatura superficiale in un limitato intervallo tra 1900 e 2600 gradi. La grande variazione corrispondente in luminosità si spiega facilmente quando si pensi che a queste basse temperature la maggior parte dell'energia emessa dalla stella cade nel dominio infrarosso dello spettro; a un piccolo incremento di temperatura corrisponde una grande variazione della luminosità osservata nel dominio ottico.
Una caratteristica generale di tutte le stelle appartenenti a questa classe è che più il periodo è lungo e meno esso è regolare: cioè il fenomeno di espansione e compressione degli strati atmosferici si ripete con regolarità decrescente al crescere della durata media del periodo.