Purgatorio
- Canto XXVII (1-6)
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Sì
come quando i primi raggi vibra
là dove il suo fattor lo sangue sparse,
cadendo Ibero sotto l’alta Libra,
e l’onda in
Gange da nona riarse,
si stava il sole; onde il giorno sen giva,
quando l’angel di Dio lieto ci apparse. |
Spiegazione letterale
Il Sole stava appunto nella posizione in cui sta quando
sorge a Gerusalemme (dove morì colui che lo creò),
mentre l’Ebro si trovava sotto la Libra e le acque
del Gange erano riarse dall’ora meridiana (1); quindi
(al Purgatorio) era il tramonto, quando l’angelo di
Dio ci apparve.
Illustrazione astronomica
La situazione inversa di II, 1-9. Se a Gerusalemme il Sole
vibra i primi raggi, alle foci del Gange, che è a
90° ad oriente, è mezzogiorno e al Purgatorio,
che è antipode, è il tramonto; e se il Sole,
che si trova nella costellazione dell’Ariete è
alle foci del Gange, la notte, che si trova nella costellazione
diametralmente opposta della Libra, è alle sorgenti
dell’Ebro.
1. «Nona dicesi una
parte dell’ufficio canonico che si recita a mezzodì,
donde il traslato» (Steiner). Invece «nona»
come termine orario corrisponde piuttosto alle tre pomeridiane.
Questa
citazione si deve a Silvio Ulivelli delle Edizioni Remo
Sandron in occasione della ristampa dell'opera "Commento
astronomico della Divina Commedia" di Giovanni Buti
e Renzo Bertagni, Edizioni Remo Sandron, che commenta tutti
i passi astronomici della Commedia di Dante
Le
macchie lunari
Beatrice spiega a Dante
perché alcuni astri presentano delle diversità
e in particolare perché si vedano delle macchie sulla
superficie lunare. Se la differenza fosse causata da rarefazione
e densità della materia in tutte le stelle vi sarebbe
una sola virtù, distribuita in quantità diverse.
Il secondo argomento opposto da Beatrice deriva dall'esperienza.
Se le macchie fossero dovute alla rarefazione della materia
ci sarebbero due alternative: la luna sarebbe bucata da
parte a parte o sarebbe costituita da strati più
o meno densi. Nel primo caso, sarebbe evidente nelle eclissi
di sole; poiché la luna si trova tra il Sole e la
Terra, i raggi solari dovrebbero attraversare quei buchi
e le macchie risulterebbero luminose. Nel secondo caso,
la parte densa dovrebbe ugualmente riflettere la luce del
sole, come si può provare facendo un esperimento:
mettendo davanti a noi due specchi ugualmente vicini ed
un terzo un poco più lontano otterremmo questo risultato:
l'immagine riflessa dal terzo specchio non sarà uguale,
in grandezza, a quelle riflesse dagli altri due, tuttavia
presenterà un' uguale luce, senza macchie.
Paradiso
- Canto II
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64
La spera ottava vi dimostra molti
lumi,
li quali e nel quale e nel quanto
notar
si posson di diversi volti.
67 Se raro e denso ciò facesser tanto,
una sola
virtù sarebbe in tutti,
più e
men distributa e altrettanto.
70 Virtù diverse esser convegnon frutti
di princìpi
formali, e quei, for ch'uno,
seguiterieno
a tua ragion distrutti.
73 Ancor, se raro fosse di quel bruno
cagion
che tu dimandi, o d'oltre in parte
fora
di sua materia sì digiuno
76 esto pianeto, o, sì come comparte
lo grasso
e 'l magro un corpo, così questo
nel suo
volume cangerebbe carte.
79 Se 'l primo fosse, fora manifesto
ne l'eclissi
del sol, per trasparere
lo lume
come in altro raro ingesto.
82 Questo non è: però è da vedere
de l'altro;
e s'elli avvien ch'io l'altro cassi,
falsificato
fia lo tuo parere.
85 S'elli è che questo raro non trapassi,
esser
conviene un termine da onde
lo suo
contrario più passar non lassi;
88 e indi l'altrui raggio si rifonde
così
come color torna per vetro
lo qual
di retro a sé piombo nasconde.
91 Or dirai tu ch'el si dimostra tetro
ivi lo
raggio più che in altre parti,
per esser
lì refratto più a retro.
94 Da questa instanza può deliberarti
esperïenza,
se già mai la provi,
ch'esser
suol fonte ai rivi di vostr' arti.
97 Tre specchi prenderai; e i due rimovi
da te d'un modo, e l'altro, più rimosso,
tr'ambo li primi li occhi tuoi ritrovi.
100 Rivolto ad essi, fa che dopo il
dosso
ti stea un lume che i tre specchi accenda
e torni a te da tutti ripercosso.
103 Ben che nel quanto tanto non si
stenda
la vista più lontana, lì vedrai
come convien ch'igualmente risplenda. |
Una
vera lezione di cosmologia
Il Poeta
invita il lettore a cercare nella vastità delle alte
ruote il punto nel quale il moto diurno equatoriale dei
corpi celesti da levante a ponente si incontra con il moto
annuo o zodiacale dei pianeti da ponente a levante. Questo
è il punto di incontro dell'equatore e dello zodiaco
e corrisponde agli equinozi di autunno e di primavera. Il
cerchio zodiacale, nel quale si muovono le orbite del sole
e dei pianeti, appare inclinato rispetto al piano equatoriale.
Tale inclinazione (che è di circa 23 gradi e mezzo)
provoca sulla Terra il variare delle stagioni, perché
in tal modo il sole e i pianeti non vengono a trovarsi sempre
sulla fascia equatoriale, ma si spostano a nord e a sud
di essa. Se lo zodiaco fosse parallelo all'equatore, si
avrebbero estati, primavere e inverni perenni, rispettivamente
nelle regioni equatoriali, temperate e polari. In tal modo
le influenze dei cieli non potrebbero realizzarsi che in
parte e i germi di vita potenziale sulla terra rimarrebbero
senza sviluppo. L'ordine cosmico risulterebbe gravemente
alterato (nella distribuzione dei climi, delle ore diurne
e notturne, dei fenomeni meteorologici ) anche nel caso
in cui l'inclinazione fosse maggiore o minore di quella
normale.
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7 Leva dunque, lettore, a l'alte rote
meco la vista,
dritto a quella parte
dove l'un moto
e l'altro si percuote;
10 e lì comincia a vagheggiar ne l'arte
di quel maestro
che dentro a sé l'ama,
tanto che
mai da lei l'occhio non parte.
13 Vedi come da indi si dirama
l'oblico
cerchio che i pianeti porta,
per sodisfare
al mondo che li chiama.
16 Che se la strada lor non fosse torta,
molta virtù nel
ciel sarebbe in vano,
e quasi ogne
potenza qua giù morta;
19 e se dal dritto più o men lontano
fosse 'l partire,
assai sarebbe manco
e giù e sù de
l'ordine mondano. …….
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Purgatorio – Canto I
19
Lo bel pianeto che d'amar conforta
faceva tutto
rider l'oriente,
velando i Pesci
ch'erano in sua scorta.
22 I' mi volsi a man destra, e puosi mente
a l'altro polo,
e vidi quattro stelle
non viste mai
fuor ch'a la prima gente.
25 Goder pareva 'l ciel di lor fiammelle:
oh settentrional
vedovo sito,
poi che privato
se' di mirar quelle!
28 Com'io da loro sguardo fui partito,
un poco me
volgendo a l'altro polo,
là onde il
Carro già era sparito,
31 vidi presso di me un veglio solo,
degno di tanta
reverenza in vista,
che più non
dee a padre alcun figliuolo.
Da un articolo di Luigi Viazzo sulla
Rivista Coelum
TRITTICO
DANTESCO
Parole
finali delle cantiche della Divina Commedia
Inferno
………….
136 salimmo sù, el primo e io secondo,
tanto
ch'i' vidi de le cose belle
che
porta 'l ciel, per un pertugio tondo.
139 E quindi uscimmo a riveder le stelle.
Purgatorio
…………
142 Io ritornai da la santissima
onda
rifatto sì come piante novelle
rinnovellate di novella fronda,
145 puro e disposto a salire a le stelle.
Paradiso
………….
142 A l'alta fantasia qui mancò possa;
ma già volgeva il mio disio e 'l velle,
sì come rota ch'igualmente è mossa,
145 l'amor che move il sole e l'altre
stelle.
Segnalato da Paolo Volpini
LA
GALASSIA
Paradiso · Canto XIV
99 Come
distinta da minori e maggi
lumi
biancheggia tra' poli del mondo
Galassia
sì, che fa dubbiar ben saggi;
102 sì costellati facean nel profondo
Marte
quei raggi il venerabil segno
che fan giunture di quadranti in tondo. |
La
Via Lattea appare come una lunga striscia bianca che si
snoda fra i due poli celesti. Nell'ambito di questa striscia
sono, tuttavia, individuabili numerose stelle, più
o meno luminose.
Nel mondo medievale circolavano diverse teorie sulla natura
e la formazione della Via Lattea, che Dante raccoglie e
discute nel Convivio
LE STELLE DEL POLO
Inferno - Canto XXVI
126 e volta nostra poppa nel mattino,
de' remi facemmo ali al folle volo,
sempre acquistando dal lato mancino.
129 Tutte le stelle già de l'altro polo
vedea la notte, e 'l nostro tanto basso,
che non surgëa fuor del marin suolo.
132 Cinque volte racceso e tante casso
lo lume era di sotto da la luna,
poi che 'ntrati eravam ne l'alto passo,
135 quando n'apparve una montagna, bruna
per la distanza, e parvemi alta tanto
quanto veduta non avëa alcuna.
Segnalazione di Francesco Mariotti
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Ulisse vede ormai le stelle dell'emisfero australe, e non vede più o vede molto bassa la stella Polare tanto che essa non sorge dal mare. Egli dovrebbe quindi essere all'Equatore o averlo superato.
Cinque volte si era acceso e oscurato il lume della luna da quando erano partiti: erano trascorsi quindi cinque noviluni e cinque pleniluni, quindi 5 lunazioni.
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LE STELLE CADENTI
Paradiso
- Canto XV
13 Quale
per li seren tranquilli e puri
discorre
ad ora ad or subito foco,
movendo
li occhi che stavan sicuri,
18 e pare
stella che tramuti loco,
se
non che da la parte ond'e' s'accende
nulla
sen perde, ed esso dura poco...
LE
COMETE
Paradiso - Canto XXIV
 Così
Beatrice; e quelle anime liete
 si
fero spere sopra fissi poli,
12 fiammando, volte,
a guisa di comete. |
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CONVIVIO
La Galassia
Capitolo XIV
1. Appresso le comparazioni fatte de li sette primi
cieli, è da procedere a li altri, che sono tre, come
più volte s'è narrato. Dico che lo Cielo stellato
si puote comparare a la Fisica per tre proprietadi, e a
la Metafisica per altre tre: ch'ello ci mostra di sé
due visibili cose, sì come le molte stelle, e sì
come la Galassia, cioè quello bianco cerchio
che lo vulgo chiama la Via di Sa' Iacopo; e mostraci l'uno
de li poli, e l'altro tiene ascoso; e mostraci uno suo movimento
da oriente ad occidente, e un altro, che fa da occidente
ad oriente, quasi ci tiene ascoso. Per che per ordine è
da vedere prima la comparazione de la Fisica, e poi quella
de la Metafisica.
2. Dico che lo Cielo stellato ci mostra molte stelle;
ché secondo che li savi d'Egitto hanno veduto, infino
a l'ultima stella che appare loro in meridie, mille ventidue
corpora di stelle pongono, di cui io parlo. Ed in questo
ha esso grandissima similitudine con la Fisica, se bene
si guardano sottilmente questi tre numeri, cioè due
e venti e mille.
3. Ché per lo due s'intende lo movimento locale,
lo quale è da uno punto ad un altro di necessitade.
E per lo venti significa lo movimento de l'alterazione;
ché, con ciò sia cosa che, dal diece in su,
non si vada se non esso diece alterando con gli altri nove
e con sé stesso, e la più bella alterazione
che esso riceva sia la sua di sé medesimo, e la prima
che riceve sia venti, ragionevolemente per questo numero
lo detto movimento significa.
4. E per lo mille significa lo movimento del crescere;
ché in nome, cioè questo mille, è lo
maggiore numero, e più crescere non si può
se non questo multiplicando. E questi tre movimenti soli
mostra la Fisica, sì come nel quinto del primo suo
libro è provato.
5. E per la Galassia ha questo cielo similitudine
grande con la Metafisica. Per che è da sapere che
di quella Galassia li filosofi hanno avute diverse oppinioni.
Ché li Pittagorici dissero che 'l Sole alcuna fiata
errò ne la sua via e, passando per altre parti non
convenienti al suo fervore, arse lo luogo per lo quale passò,
e rimasevi quella apparenza de l'arsura: e credo che si
mossero da la favola di Fetonte, la quale narra Ovidio nel
principio del secondo di Metamorfoseos.
6. Altri dissero, sì come fu Anassagora e
Democrito, che ciò era lume di sole ripercusso in
quella parte, e queste oppinioni con ragioni dimostrative
riprovaro. Quello che Aristotile si dicesse non si può
bene sapere di ciò, però che la sua sentenza
non si truova cotale ne l'una translazione come ne l'altra.
7. E credo che fosse lo errore de li translatori;
ché ne la Nuova pare dicere che ciò sia uno
ragunamento di vapori sotto le stelle di quella parte, che
sempre traggono quelli: e questo non pare avere ragione
vera. Ne la Vecchia dice che la Galassia non è altro
che moltitudine di stelle fisse in quella parte, tanto picciole
che distinguere di qua giù non le potemo, ma di loro
apparisce quello albore, lo quale noi chiamiamo Galassia:
e puote essere, ché lo cielo in quella parte è
più spesso e però ritiene e ripresenta quello
lume. E questa oppinione pare avere, con Aristotile, Avicenna
e Tolomeo.
8. Onde, con ciò sia cosa che la Galassia
sia uno effetto di quelle stelle le quali non potemo vedere,
se non per lo effetto loro intendiamo quelle cose, e la
Metafisica tratti de le prime sustanzie, le quali noi non
potemo simigliantemente intendere se non per li loro effetti,
manifesto è che 'l Cielo stellato ha grande similitudine
con la Metafisica.
Le
comete, (e Marte)
Trattato II
- Capitolo XIII -
[...]si è che esso Marte, [sì come dice Tolomeo
nel Quadripartito], dissecca e arde le cose, perché
lo suo calore è simile a quello del fuoco; e questo
è quello per che esso pare affocato di colore, quando
più e quando meno, secondo la spessezza e raritade
de li vapori che 'l seguono: li quali per lor medesimi molte
volte s'accendono, sì come nel primo de la Metaura
è diterminato. E però dice Albumasar che l'accendimento
di questi vapori significa morte di regi e transmutamento
di regni; però che sono effetti de la segnoria di
Marte. E Seneca dice però, che ne la morte d'Augusto
imperadore vide in alto una palla di fuoco; e in Fiorenza,
nel principio de la sua destruzione, veduta fu ne l'aere,
in figura d'una croce, grande quantità di questi
vapori seguaci de la stella di Marte. [...] |