La
Galassia
Capitolo
XIV
1. Appresso le comparazioni fatte de li sette primi cieli,
è da procedere a li altri, che sono tre, come più
volte s'è narrato. Dico che lo Cielo stellato si puote
comparare a la Fisica per tre proprietadi, e a la Metafisica per
altre tre: ch'ello ci mostra di sé due visibili cose, sì
come le molte stelle, e sì come la Galassia, cioè
quello bianco cerchio che lo vulgo chiama la Via di Sa' Iacopo;
e mostraci l'uno de li poli, e l'altro tiene ascoso; e mostraci
uno suo movimento da oriente ad occidente, e un altro, che fa
da occidente ad oriente, quasi ci tiene ascoso. Per che per ordine
è da vedere prima la comparazione de la Fisica, e poi quella
de la Metafisica.
2. Dico che lo Cielo stellato ci mostra molte stelle; ché
secondo che li savi d'Egitto hanno veduto, infino a l'ultima stella
che appare loro in meridie, mille ventidue corpora di stelle pongono,
di cui io parlo. Ed in questo ha esso grandissima similitudine
con la Fisica, se bene si guardano sottilmente questi tre numeri,
cioè due e venti e mille.
3. Ché per lo due s'intende lo movimento locale,
lo quale è da uno punto ad un altro di necessitade. E per
lo venti significa lo movimento de l'alterazione; ché,
con ciò sia cosa che, dal diece in su, non si vada se non
esso diece alterando con gli altri nove e con sé stesso,
e la più bella alterazione che esso riceva sia la sua di
sé medesimo, e la prima che riceve sia venti, ragionevolemente
per questo numero lo detto movimento significa.
4. E per lo mille significa lo movimento del crescere;
ché in nome, cioè questo mille, è lo maggiore
numero, e più crescere non si può se non questo
multiplicando. E questi tre movimenti soli mostra la Fisica, sì
come nel quinto del primo suo libro è provato.
5. E per la Galassia ha questo cielo similitudine grande
con la Metafisica. Per che è da sapere che di quella Galassia
li filosofi hanno avute diverse oppinioni. Ché li Pittagorici
dissero che 'l Sole alcuna fiata errò ne la sua via e,
passando per altre parti non convenienti al suo fervore, arse
lo luogo per lo quale passò, e rimasevi quella apparenza
de l'arsura: e credo che si mossero da la favola di Fetonte, la
quale narra Ovidio nel principio del secondo di Metamorfoseos.
6. Altri dissero, sì come fu Anassagora e Democrito,
che ciò era lume di sole ripercusso in quella parte, e
queste oppinioni con ragioni dimostrative riprovaro. Quello che
Aristotile si dicesse non si può bene sapere di ciò,
però che la sua sentenza non si truova cotale ne l'una
translazione come ne l'altra.
7. E credo che fosse lo errore de li translatori; ché
ne la Nuova pare dicere che ciò sia uno ragunamento di
vapori sotto le stelle di quella parte, che sempre traggono quelli:
e questo non pare avere ragione vera. Ne la Vecchia dice che la
Galassia non è altro che moltitudine di stelle fisse in
quella parte, tanto picciole che distinguere di qua giù
non le potemo, ma di loro apparisce quello albore, lo quale noi
chiamiamo Galassia: e puote essere, ché lo cielo in quella
parte è più spesso e però ritiene e ripresenta
quello lume. E questa oppinione pare avere, con Aristotile, Avicenna
e Tolomeo.
8. Onde, con ciò sia cosa che la Galassia sia uno
effetto di quelle stelle le quali non potemo vedere, se non per
lo effetto loro intendiamo quelle cose, e la Metafisica tratti
de le prime sustanzie, le quali noi non potemo simigliantemente
intendere se non per li loro effetti, manifesto è che 'l
Cielo stellato ha grande similitudine con la Metafisica.
Le
comete, (e Marte)
Trattato II - Capitolo
XIII -
[...]si è che esso Marte, [sì come dice Tolomeo
nel Quadripartito], dissecca e arde le cose, perché lo
suo calore è simile a quello del fuoco; e questo è
quello per che esso pare affocato di colore, quando più
e quando meno, secondo la spessezza e raritade de li vapori che
'l seguono: li quali per lor medesimi molte volte s'accendono,
sì come nel primo de la Metaura è diterminato. E
però dice Albumasar che l'accendimento di questi vapori
significa morte di regi e transmutamento di regni; però
che sono effetti de la segnoria di Marte. E Seneca dice però,
che ne la morte d'Augusto imperadore vide in alto una palla di
fuoco; e in Fiorenza, nel principio de la sua destruzione, veduta
fu ne l'aere, in figura d'una croce, grande quantità di
questi vapori seguaci de la stella di Marte. [...]
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