L'Universo e le Distanze Astronomiche



Capitoli
  1. Il Tutto dal Nulla
  1. La Formazione delle Galassie
  1. La nostra posizione nella Galassia
  1. Il Sistema Solare
  1. Le distanze dell'Universo
  1. Il Futuro dell'Universo

Appendici
  1. Filosofia e Religione
  2. La Vita delle Stelle
  3. La Magnitudine
  4. Le Comete
  5. Le Distanze Astronomiche
V. Le Distanze dell'Universo
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Tra il 1910 e il 1929 grazie allo studio di importanti scienziati come  E. Hubble e V. Slipher, si scoprì grazie alle misurazioni sul redshift delle “nebulose” (ancora non si era potuto scoprire che erano galassie come la Via Lattea) più lontane, che l’Universo era in espansione.
La prova che ha fatto formulare questa ipotesi è che negli spettri delle galassie, le righe di emissione dei vari atomi erano tutte a lunghezza d’onda maggiore rispetto alle misure fatte in laboratorio: se la riga H - alfa dell’idrogeno, per esempio, normalmente, ha una lunghezza d’onda pari a circa 656 nm, misurandola da una galassia, si poteva trovare a 690 nm o anche a valori superiori.
Questo viene chiamato redshift, o spostamento verso il rosso, proprio perché vi è uno spostamento delle righe spettrali verso il rosso, dovuta all’allontanamento. È un po’ come un effetto Doppler, in cui alle spalle della sorgente in movimento la onde sonore, ad esempio, sono meno dense (e quindi tra loro la lunghezza d’onda è maggiore) e il suono pare affievolirsi.
Questo spostamento è calcolato dalla formula:

z = (λ0 - λ)/λ = (λ0/λ) - 1          (1)

dove z è il valore dello spostamento, λ0 è la lunghezza d’onda ricevuta, λ è la lunghezza d’onda emessa; solitamente è misurato in percentuale.

La risposta a questi dati, ovvero al perché avvenissero questi spostamenti, fu possibile darla grazie alla Teoria della Relatività  formulata da Einstein.
Questa prevedeva un Universo in espansione in cui ogni elemento contenuto in esso era trascinato dallo scoppio iniziale, proprio come un palloncino che si gonfia. Supponiamo di descrivere su questo palloncino un reticolo come di meridiani e paralleli, ognuno definito da un valore di latitudine e longitudine; gonfiando il palloncino, due vertici presi in esame saranno sempre sugli stessi meridiani, alle stesse latitudini in cui si trovavano quando il palloncino era sgonfio, ma la distanza tra essi è aumentata di un cosiddetto fattore di scala, che potrebbe essere la distanza tra i punti. Questo porta a dedurre che il fattore di scala varia al passare del tempo, proprio perché l’Universo si espande e non può avere lo stesso valore in due momenti differenti.
Possiamo quindi definire la distanza tra i due punti presi in esame con la formula:

D(t) = D0 * a(t) /a0

dove D(t) è la distanza a un determinato tempo t, D0 è la distanza iniziale tra gli stessi due punti, a(t) e il fattore di scala nello stesso istante t, a0 è il valore del fattore di scala al tempo iniziale

La stessa cosa avviene per la velocità, in quanto ogni punto vede allontanarsi gli altri punti a velocità proporzionali alla distanza. Questa velocità si può calcolare con una legge come

V = DH

dove V è la velocità in un tempo t, D è la distanza allo stesso momento t,e H è una costante di proporzionalità. Quindi D, la distanza, potrebbe essere la distanza tra i due vertici presi in esame precedentemente, e quindi potrebbe coincidere con il fattore di scala (D≡a). D’altra parte la velocità può essere calcolata anche dal rapporto tra la variazione del fattore di scala al passare del tempo:

V = Δa/Δt = H • a          (2)

Da queste leggi possiamo facilmente dedurre che se l’Universo è in espansione, un’onda emessa in un certo punto dello spazio giungerà a noi con una variazione pari al fattore di scala stesso; quindi λ0/λ = a0/a e applicando la definizione di redshift dalla (1), otteniamo:

1 + z = a0/a          (3)

Si può aggiungere, inoltre, che se la velocità v a cui si muovono le galassie è molto minore rispetto alla velocità della luce c, il redshift osservato sarà dato da z = v/c.
Hubble, studiando galassie che viaggiavano alla velocità di 1000 km/s dimostrò, inoltre, che:

v = zc = H0 • d          (4)

dove H0 è una costante detta  costante di Hubble in onore dello scopritore che illustrò per la prima volta un modello per l’Universo in espansione.
La costante, però, non vale anche per le galassie più lontane e bisogna trovare quell’espressione che descriva la costante in ogni epoca cosmica, una funzione che studi il suo andamento, del tipo:

H = H0 • E(z)          (5)

In cui E(z) è proprio la funzione che ci interessa. In altri termini, però, questa funzione non è altro che il ritmo con cui si espande l’Universo.

Ma quali sono le leggi fisiche che regolano questa espansione?
La forza principale che regola l’Universo è la forza di gravità che agisce su materia, quindi sulle galassie, disposte uniformemente nello spazio. Almeno questa era l’idea che voleva trovare Einstein, ovvero un Universo statico, omogeneo ed eterno, non invece con un inizio e una fine, come dimostravano i risultati. Quindi se l’Universo è in espansione risulta difficile calcolare la distanza da un determinato evento; meno difficile è invece calcolare l’intervallo di tempo. A complicare le cose c’è anche la possibile curvatura dello spazio che potrebbe non rispondere, quindi, alle regole della geometria euclidea.
 
Per calcolare la distanza di una galassia lontana, si deve prendere in esame il viaggio che compie un fotone per raggiungere l’osservatore. Se lo spazio è statico, come è possibile vedere dal grafico 1, le coordinate diventano una rete a maglie quadrate in cui la diagonale di ogni singolo quadrato è lo spazio percorso dal fotone in un anno, ovvero un anno luce.

Nel secondo grafico, invece, é rappresentata la situazione nel caso dell’Universo in espansione, dal quale si evince che la distanza tra i punti al passare del tempo si espande; il reticolo è definito da lati curvilinei e non più paralleli.
Non si può più parlare di distanze costanti, ma di distanza radiale attuale (DR) e  distanza all’emissione (DE). Queste distanze dipendono, come è facilmente intuibile, dall’espansione avvenuta tra il tempo in cui il fotone è stato emesso e il momento in cui lo si riceve. Come dalla formula (3), il fattore di espansione è 1+z, da cui possiamo scrivere che:

DR = DE  ( 1 + z )

Per calcolare queste distanze, bisogna calcolare tante distanze percorse dal fotone in piccoli intervalli in cui è possibile stimare una variazione di redshift Δz:
Δr = cΔz / H0 E(z)
e queste piccole distanze sono comprese tra l’epoca in cui il fotone è stato emesso e il momento a cui si osserva l’emissione e il risultato ottenuto è la distanza radiale a cui si trova la galassia che ha un redshift pari a zE.

Il metodo più usato dagli astronomi per calcolare le distanze è confrontando la sua luminosità assoluta e la luminosità apparente. Bisogna ricordare che, però, la luminosità apparente può essere falsata dalle strumentazioni o dalla presenza di, ad esempio, polveri interposte tra l’oggetto e noi. Per ora però, trascuriamo questi parametri. Indicando con lB la luminosità bolometrica apparente, LB la luminosità bolometrica assoluta della sorgente posta a una distanza DL da noi, otterremo:

lB = LB/4πDL2

Il denominatore non è altro che la superficie di un’ipotetica sfera di raggio pari alla distanza dalla sorgente, con centro nella sorgente stessa. Dalla formula inversa:

DL = LB/4πlB2 

è possibile calcolare la distanza cosiddetta di luminosità della sorgente. Questa distanza ha significati differenti nell’Universo statico, nel quale rappresenta la distanza effettiva con la sorgente, e nell’Universo in espansione, in cui bisogna legarla al redshift.
Innanzi tutto bisogna dire che i fotoni emessi arrivano a noi più diradati e quindi con una potenza minore. L’aumento della lunghezza d’onda è proporzionale al fattore di scala. Per una galassia posta ad una distanza di redshift z il fattore di scala, come detto, è dato da 1+z e la luminosità apparente sarà data dall’espressione

lB = LB/[4πDR2 (1+z)2]

da cui la distanza è pari a:

DL = (LB/4πlB)1/2 = DR (1+z)

Ma nel caso di una spazio curvo ci sono molti calcoli in più, poichè si devono tenere presenti gli effetti geometrici.






















































































grafico 1

Grafico 1


grafico 2

Grafico 2