Nel precedente articolo - Alla
scoperta dei cieli australi sugli arditi vascelli di Keyser
e Houtman (1595-1603) (inserito nel sito di Arianna Editrice
l'1/3/2008), dopo aver delineato il 'ritardo' nel progresso
della scienza astronomica rispetto alle altre scienze e, soprattutto,
rispetto al formidabile balzo in avanti compiuto dalla geografia,
avvenuto alla fine del Rinascimento, abbiamo ricordato l'importanza
dei viaggi compiuti dagli intrepidi navigatori olandesi, Pieter
Dirkszoon Keyser e Cornelius e Frederik de Houtman.
Essi, fra il fra il 1595 e il 1603, condussero due spedizioni
fino alle Indie Orientali e arricchirono gli atlanti celesti
di tutta una serie di osservazioni, grazie alle quali il cartografo
Petrus Plancius fu in grado di pubblicare un nuovo catalogo
celeste, in cui comparivano ben dodici nuove costellazioni australi.
Ma la “consacrazione” definitiva delle nuove costellazioni
australi avvenne, sempre nel 1603, grazie alla loro adozione
da parte di quello che era considerato uno dei massimi cartografi
celesti dell’epoca, il tedesco Johann Bayer (il quale,
di professione, era giudice nella natia Baviera), nella sua
Uranometria, pubblicata ad Augsburg e divenuta subito uno dei
testi fondamentali per gli studiosi di astronomia (cfr.
Piero Bianucci, Stella per stella. Guida turistica dell'Universo,
Firenze, Gruppo Editoriale Giunti, 1985, 1991, p. 38).
Quei tre coraggiosi navigatori, comunque, pagarono un prezzo
molto alto per il progresso che a loro poté compiere
la scienza astronomica e, in particolare, la cartografia celeste
relativa all'emifsero meridionale. Keyser, infatti, morì
a Giava nel corso del primo viaggio, nel settembre del 1596;
Cornelius de Houtman venne condannato a morte e giustiziato
per ordine del sultano di Atjeh, a Sumatra, nel 1598, durante
il secondo viaggio, probabilmente su istigazione dei Portoghesi,
nemici giurati degli Olandesi; mentre il suo fratello minore,
Frederik, venne catturato dagli uomini del sultano e tenuto
prigioniero per ben due anni.
In seguito, Frederik de Houtman egli tornò nuovamente
negli arcipelaghi dell'Insulindia e, dopo aver preso parte alla
conquista e alla pacificazione delle Molucche da parte dei Paesi
Bassi, che le strapparono ai Portoghesi - tranne due enclaves
nell'isola di Timor -, morì nel 1613 (cfr. Silvio
Zavatti, Dizionario degli esploratori e delle scoperte geografiche,
Milano, Feltrinelli, 1967, pp.148-149); o, secondo altri,
nel 1627.
Ha scritto l'inglese Ian Ridpath
in Mitologia delle costellazioni (titolo originale: Star
Tales, Lutterworth Press, 1988; traduzione italiana di Giovanna
Mannino, Padova, Franco Muzzio Editore, 1994, pp. 17-18):
"Plancius ordinò
a Keyser di compiere osservazioni per riempire la zona priva
di costellazioni attorno al Polo Sud celeste. Keyser era capo
pilota sulla Hollandia e più tardi sulla Mauritius, due
navi di una flotta di quattro che salparono dai Paesi Basi nel
1595 per la prima spedizione commerciale olandese nelle Indie
Orientali, passando per il Madagascar. Era anche esperto di
astronomia e matematica; l'autore olandese A. J. M. Wanders
, nel suo volume Nel regno del Sole e delle stelle, scrive che
Keyser osservava dalla coffa della nave con uno strumento che
gli aveva dato Plancius. Keyser morì nel settembre del
1596 mentre la flotta era a Bantan (oggi Banten, vicino alla
moderna Serang, nella parte occidentale di Giava). Il suo catalogo
di 135 stelle, diviso in dodici costellazioni di nuova invenzione,
fu consegnato a Plancius quando la flotta ritornò in
Olanda l'anno dopo. Rincresce constatare quanto poco si sappia
della vita e delle altre imprese di Keyser che, però,
ha lasciato il suo segno indelebile nel cielo.
"Le dodici nuove costellazioni di Keyser apparvero per
la prima volta in un mappamondo di Plancius nel 1598, e di nuovo
due anni dopo in uno del cartografo olandese Jodocus Hondius.
La loro accettazione fu assicurata quando Johann Bayer, un astronomo
tedesco, le incluse nel suo Misurazioni del cielo del 1603,
l'atlante celeste più rinomato di quel tempo. Le osservazioni
di Keyser furono pubblicate sotto forma di tabelle da Giovanni
Keplero nelle Tavole rudolfine del 1627.
"La flotta olandese con la quale navigò Keyser era
comandata dall'esploratore Cornelius de Houtman; fra i membri
dell'equipaggio c'era suo fratello minore Frederik de Houtman
(1571-1627) che sicuramente assistette Keyser durante le sue
osservazioni. Nel corso di una seconda spedizione nel 1598 Cornelius
fu ucciso e Frederik fu fatto prigioniero dal sultano di Atjehm
nella parte settentrionale di Sumatra. Frederik seppe sfruttare
i due anni di prigionia dedicandosi allo studio della lingua
malese locale e a osservazioni astronomiche.
"Nel 1603, dopo il suo ritorno in Olanda, Frederik de Houtman
pubblicò le sue osservazioni come appendice al dizionario
malese e malgascio che compilò. Fu uno dei contributi
più inverosimili alle pubblicazioni di tipo astronomico
che la storia registri. Nell'Introduzione scrisse: «Incluse
ci sono anche le declinazioni di molte stelle fisse attorno
al Polo Sud; mai viste prima d'oggi. Osservate e descritte da
Frederik de Houtman di Gouda».
"De Houtman portò il numero il numero delle posizioni
stellari misurate da Keyser da 135 a 303, sebbene 107 si queste
si riferissero a stelle che Tolomeo conosceva già, in
base a uno studio del suo catalogo fatto dall'astronomo inglese
E. B. Knobel. In nessun caso de Houtman riconobbe a Keyser meriti
per diritti di precedenza. Il catalogo delle stelle del cielo
australe di de Houtman, diviso nelle stesse dodici costellazioni
di Keyser, fu utilizzato dal cartografo olandese Willem Janszoon
Blaeu nei suoi mappamondi celesti dal 1603 in poi. Sia Keyser
che de Houtman sono considerati gli inventori di queste dodici
costellazioni meridionali, che sono riconosciute a tutt'oggi."
Quelle dodici costellazioni sono:
L'Uccello del paradiso (Apus),
la Gru (Grus), la Mosca (Musca), il Camaleonte (Chamaleon),
il Triangolo Australe (Triangulum Australe), il Pavone (Pavo),
l'Idra Maschio (Hydrus), il Tucano (Tucana), il Pesce dorato
o Dorado (Dorado), l'Indiano (Indus), la Fenice (Phoenix) e
il Pesce volante (Volans).
In tutte, o quasi tutte, si risente l'eco dello stupore per
la scoperta, da parte dei primi navigatori europei che scesero
alle latitudini australi, di una natura e di una fauna esotiche
e sorprendenti. Il merito di questo arricchimento della nomenclatura
celeste spetta in primo luogo a Pieter Dirckszoon Keyser, meglio
noto agli astronomi dell'epoca con il nome umanistico di Petrus
Theodorus (cfr. Piero Bianucci, Stella per stella. Guida
turistica dell'Universo, Firenze, Giunti, 1985, 1997, p. 262),
anche se Frederik Houtman fu così ingeneroso da non citarlo
affatto, come si è visto, nel catalogo stellare da lui
pubblicato dopo il ritorno nei Paesi Bassi.
Particolarmente evidenti sono quello stupore e quell'ammirazione
nei nomi dell'Uccello del Paradiso (Paradisea apoda), originario
della Nuova Guinea, che i navigatori olandesi videro, probabilmente,
alla corte del sultano di Sumatra; del Tucano (contenente la
Piccola Nube di Magellano), del Pesce dorato (contenente la
Grande Nube di Magellano); mentre la costellazione dell'Indiano,
piccola e indistinta (cfr, Partick Moore, Il Guinness dell'Astronomia,
traduzione italiana Milano, Rizzli, 1990, p. 330) è
passata, nell'iconografia tradizionale, a designare un pellerossa
del Nord America, anche se è verosimile che, in origine,
indicasse un abitante dell'India o, forse, dell'arcipelago indo-malese.
Nella terminologia dell'epoca, infatti, esisteva un margine
di ambiguità dovuto al fatto che tanto che l'estremo
Oriente, quanto l'estremo Occidente erano conosciuti con il
termine generico di "Indie"; e ciò a causa
del fatto che Colombo non ammise mai, fino alla morte, di aver
scoperto un continente diverso dall'Asia.
Aggiungiamo ora qualche altra
notizia sulle spedizioni olandesi verso le "Isole delle
Spezie", nel Sud-est asiatico, che arricchiscono il quadro
relativo al ruolo svolto da Keyser e dai fratelli de Houtman
per il progresso della conoscenza dei cieli australi, allo scopo
di far meglio conoscere questi abili e intrepidi navigatori
i cui nomi si sono un po' persi nel corso del tempo, forse anche
per la quasi contemporanea scoperta, da parte dei loro connazionali
Schouten e Le Maire, dell'altra importantissima rotta meridionale,
quella che mette in comunicazione l'Atlantico meridionale col
Pacifico per la via di Capo Horn (1616).
Si tratta di notizie tratte dalla Enciclopedia Italiana, rispettivamente
alle voci Colonizzazione, Marina mercantile e Olanda.
Scrive Gennaro Mondaini nel suo
articolo Colonizzazione moderna e contemporanea (vol. X, 1931,
p. 839 d):
"La riuscita spedizione
commerciale-militare (1595) comandata da Cornelio Houtman dischiudeva
la via delle Indie agli Olandesi che soppiantarono i Portoghesi
nei traffici e nell'influenza commerciale e politica: tanto
più facilmente, in quanto, superiori militarmente e tecnicamente
ai rivali sul mare, gli Olandesi si presentavano in Oriente
in veste di mercanti più che di conquistatori."
Bisogna infatti ricordare che,
nel 1602, veniva fondata la Compagnia unita delle Indie Orientali,
in cui gli Stati Generali, concedevano, oltre al monopolio commerciale
e coloniale lungo tutta l'estensione fra il Capo di Buona Speranza
e lo Stretto di Magellano verso Oriente (in pratica, tutto l'Oceano
Indiano e tutto il pacifico meridionale), anche l'esercizio
dei poteri sovrani. Fu così che la penetrazione olandese
nei mari australi, nata come impresa puramente commerciale e
affidata, inizialmente, a una compagnia commerciale privata,
divenne solo gradualmente un impero coloniale territoriale,
per passare gradualmente sotto la diretta responsabilità
della Repubblica delle Province Unite.
E Giulio Ingianni, alla voce
Marina mercantile, scrive (vol. XXII, 1934, p. 3400, fa notare
come - ironia della storia - fu proprio la miope politica del
re di Spagna, Filippo II, a spingere involontariamente gli odiati
Olandesi a finanziare e lanciare nelle immensità oceaniche
le spedizioni olandesi che avrebbero gettato le basi del futuro
impero coloniale olandese nell'Arcipelago indo-malese: un impero
che avrebbe finito per abbracciare una superficie circa 50 volte
maggiore di quella della madrepatria, con una popolazione di
molti milioni di abitanti e con immense ricchezze naturali):
"Nel 1596 Filippo II,
per rovinare i suoi sudditi olandesi, aveva ideato di chiudere
loro il porto di Lisbona, dove essi caricavano le spezierie.
Furiosi per lo scacco, essi cercarono di pervenire direttamente
alle regioni donde provenivano i coloniali prediletti; e dopo
vari tentativi falliti, ma comunque utilissimi dal punto di
vista esplorativo e commerciale, nel 1598 J. H. van Linschoten
e C. de Houtman riescono ad arrivare, per il Capo di Buona Speranza,
alle isole della Sonda."
Infine Adriano H. Luijdiens,
alla voce Olanda, storia, ricorda quali e quanti sforzi, d'intelligenza
oltre che di coraggio, compirono gi Olandesi per aprirsi una
via più breve verso le agognate "isole delle Spezie";
al punto che gli Stati Generali avevano posto un premio per
chi fosse riuscito, per primo, ad aprire una rotta al cosiddetto
passaggio di Nord-est (ossia dall'Europa all'Asia orientale,
via Capo Nord, Mar Bianco e Mar di Kara). La via "normale",
infatti, ossia quella del capo di Buona Speranza verso Est,
richiedeva tempi lunghissimi: più di anno per l'andata
e quindi, fra andata e ritorno, da due a tre anni; senza contare
la sgradita presenza delle navi portoghesi e spagnole. E anche
la via del Capo Horn, scoperta nel gennaio del 1616, si sarebbe
rivelata terribilmente lunga (comportando l'intera traversata
del Pacifico meridionale, da Ovest a Est) e, perciò -
tenendo conto delle motivazioni essenzialmente commerciali di
tali viaggi -, antieconomica.
Ricordiamo, a puro di titolo di curiosità, che il premio
offerto dagli Stati Generali, venne intascato effettivamente
- quando ormai, però, le ragioni commerciali che l'avevano
istituito erano venute meno da gran tempo - solo nel 1878 dal
navigatore svedese Adolf Erik Nils Nordenskjöld (1832-1901),
a seguito del suo memorabile viaggio con la nave Vega lungo
tutta la costa settentrionale dell'Asia, nonostante l'insidia
dei ghiacci e delle nebbie, fino a trovare - per lo Stretto
di Behring - le acque libere dell'Oceano Pacifico. Così
come possiamo ricordare, sempre a puro titolo di curiosità,
che l'impresa compiuta da Nördenskjold (da non confondersi
con l'altro notevole esploratore svedese, Otto Nordenskjöld,
1869-1928, pioniere della conquista dell'Antartide) era stata
talmente eccezionale, che solo nel 1940 venne ripetuta e stavolta
da una nave da guerra, l'incrociatore ausiliario tedesco Komet
del capitano Robert Eyysen, che raggiunse le acque del Giappone
via Capo Nord, anche grazie alla tacita connivenza dei Sovietici;
vigeva allora, infatti, il patto di non aggressione Moltov-Ribbentrop
dell'agosto 1939 (ma su ciò, vedere Massimo Picollo,
Gli incrociatori corsari tedeschi, Milano, De Vecchi Editore,
pp. 17-22).
Scrive dunque Adriano H. Luijdiens nella Enciclopedia Italiana,
alla voce Storia dell'Olanda (vol. XXV, 1935, p. 230 d):
"Le notizie fornite
dal provetto navigatore Jan Hugger van Linschoten date alle
stampe nel 1595, incitarono a tali imprese [ossia, cercare la
via per le spezie per la rotta di Nord-est, di cui si è
appena detto]. Frattanto un altro gruppo di commercianti, sempre
basandosi sugli scritti del Linschoten e sugli studi del Plancius,
fondò una Compagnia di Lontano e inviò quattro
navi nel 1595 sotto il comando di Cornelis Houtman alle Indie
per la via solita [ossia, quella del Capo di Buona Speranza
e dell'Oceano Indiano]. Dopo un viaggio di 446 giorni si raggiunse
Batavia nell'isola di Giava…"
Tornando all'aspetto scientifico
e astronomico dei viaggi olandesi nell'emisfero australe, ricordiamo
che esso è stato evidenziato dal grande viaggiatore e
geografo tedesco Alexander von Humboldt, nato a Berlino nel
1769 e morto nella sua città natale nel 1859, nella monumentale
opera Cosmos, da noi già menzionata nell'articolo La
geografia di Aristotele e l'ampliamento dell'ecumene in età
ellenistica, inserito sul sito di Arianna Editrice il 7/3/2008,
nella sezione Scienza e coscienza olistica).
L'opera, purtroppo, non è mai più stata ripubblicata
in Italia dopo la prima traduzione dal tedesco di Vincenzo Lazzari
, per l'editore Andrea Santin e Figlio di Venezia (in quattro
volumi), nell'ormai lontano 1850.
Riportiamo il passaggio in questione, pensando di fare cosa
utile al lettore italiano, dato che la bibliografia relativa
a tale argomento è, nella nostra lingua, tuttora assai
limitata (Op. cit., vol. 2, pp. 262-268):
"(…) Dacché
l'uomo sotto le varie latitudini vide mutarsi ad un tempo terra
e cielo, come disse bellamente Garcilaso De la Vega, i naviganti
ed i viaggiatori doveano, inoltrandosi verso la linea equatoriale
lungo le due coste africane e fino al di là della estremità
meridionale del Nuovo Mondo, contemplare attoniti il magnifico
spettacolo delle costellazioni australi, ben meglio e più
di frequente che non era dato a' giorni d'Iram e de' Tolomei,
sotto il dominio de' Romani e degli Arabi, quando si navigava
soltanto il Mar Rosso e quella parte dell'Oceano Indiano che
sta fra lo stretto di Bab el Mandeb e la penisola occidentale
dell'India. Americo Vespucci nelle sue lettere, Vincenzo Yañez
Pinzon, Antonio Pigafetta compagno di Magellano e di D'Elcano,
e Andrea Corsali nel suo viaggio a Cochin nell'Indie orientali
in sul principio del secolo XVI, descrissero primi, e con vaghezza
non poca, l'apparenza del cielo australe, al di là da'
piedi del Centauro e della brillante costellazione della Nave
d'Argo. Americo, più versato nelle lettere ma più
vanaglorioso degli altri, esalta in leggiadra maniera la vivezza
della luce, la pittoresca disposizione e lo strano aspetto delle
stelle che si volgono intorno al polo antartico cui non tocca
alcun astro. Egli asserisce nella lettera a Pier Francesco de'
Medici d'aver nel terzo viaggio considerate diligentemente le
costellazioni australi, misurata la distanza delle più
notabili dal polo e disegnatane la distribuzione. I particolari
poi ch'egli ce ne ha lasciati ci rendono poco increscioso lo
smarrimento di quelle misure.
"Le macchie enigmatiche notte sotto il nome di sacchi di
carbone trovo descritte la prima volta da Anghiera nel 1510.
Le osservarono i compagni di Vincenzo Yañez Pinzon nel
1499 nella spedizione che, sciogliendo da Palos, andò
a prender possesso del capo Sant'Agostino in Brasile. Il Canopo
fosco (Canopus niger) di Vespucci è probabilmente ancor
esso uno de' sacchi di carbone. L'ingegnoso Acosta li paragona
alla parte oscura del disco lunare nell'eclissi parziali e li
crede vuoti degli spazii celesti, punti vedovi d'astri. Rigaud
ci ha fatto sapere che un valente astronomo intravide un principio
delle macchie solari in questi sacchi di carbone, che Acosta
afferma visibili al Perù e non in Europa, e giranti come
altre stelle d'intorno al polo antartico. La scoperta delle
due nubi magellaniche fu a torto aggiudicata al Pigafetta. Anghiera,
sulla fede delle osservazioni fatte da' naviganti portoghesi,
le ricorda già ott'anni prima del ritorno della spedizione
di Magellano; e ne paragona lo splendore a quello della Via
Lattea. Sembra che la nube maggiore non isfuggisse all'acuto
sguardo degli Arabi; ché anzi è probabilissimo
sia essa il bue bianco, el bacar, della parte australe del loro
cielo, la macchia bianca menzionata dall'astronomo Adburraaman
Sofi, che dice non la si poter iscorgere a Bagdad né
nell'Arabia settentrionale, sì peraltro a Theama e nel
parallelo dello stretto di Bab el Mandeb. Anche i Greci ed i
Romani corsero quella strada medesima sotto i Lagidi e dopo
loro; eppure nulla osservarono, o almeno non ci rimase nelle
loro opere memoria alcuna di quella nube luminosa, che tuttavolta
fra i gradi 11 e 12 di altezza settentrionale al tempo di Tolomeo
sorgeva tre gradi sopra l'orizzonte, e l'anno 1000, vivente
Adudarraaman quattro gradi. Adesso l'altezza meridiana della
Nubecula major può essere ad Aden di gradi cinque. Se
d'ordinario i naviganti non principiano a scorgere chiaramente
le nubi magellaniche che sotto latitudini molto più australi,
verso l'equatore ed oltre l'equatore, ciò deriva dalle
condizioni atmosferiche e dai vapori che riflettono una luce
biancastra all'orizzonte. Nell'Arabia meridionale, a chi s'inoltra
fra terra, l'azzurro carico della volta celeste e l'aria asciuttissima
permettono di discernere le nubi magellaniche. Lo possiamo ovviamente
dedurre dalla facilità con cui si scorge la coda delle
comete di chiaro giorno fra i tropici e sotto le latitudini
più meridionali.
"L'aggruppamento in nuove costellazioni degli astri vicini
al polo antartico appartiene al secolo XVII. I risultamenti
delle osservazioni de' navigatori olandesi Pietro di Teodoro
da Emden e Federico Houtman, che fu dal 1596 al 1599 a Giava
e a Sumatra prigioniero del re di Bantam e Acin, furono riportate
nelle mappe celesti di Hondius, di Bleaw (Jansonius Caesius)
e di Bayer.
"La zona del cielo posta fra gradi 50 e 80 di latitudine
australe, così splendida di gruppi di stelle e di nebulose,
riceve dalla loro svariata distribuzione un carattere che si
potrebbe dire pittorico, un incanto particolare che risulta
dall'aggrupparsi delle stelle di prima e di seconda grandezza
e dall'essere intersecati que' gruppi da regioni che all'occhio
non armato appariscono mute d'ogni luce. Questi singolari contrasti,
e la Via Lattea fulgida di più vivo fulgore, e le Nubi
magellaniche luminose e rotonde che descrivono isolate la loro
orbita, e i sacchi di carbone, il maggiore de' quali giace tanto
vicino ad una bella costellazione, accrescono la varietà
del sembiante della natura, e vincolano l'attenzione dell'osservatore
agli spazi estremi dell'emisfero meridionale della volta celeste.
Dal principio del secolo XVI una di queste regioni per circostanze
peculiari in parte religiose, divenne importante ai naviganti
cristiani che battevano i mari tropicali ed australi, ed ai
missionari che predicavano la religione di Cristo nelle due
penisole indiane. È questa la regione della Croce del
Sud. Le quattro stelle primarie che compongono questa costellazione
erano confuse nell'Almagesto, e quindi a' tempi d'Adriano e
d'Antonino Pio, co' piedi posteriori del Centauro. Gli èun
fatto quasi inesplicabile (se poniamo mente alla forma singolare
della Croce, distinta dagli altri gruppi come lo sono anche
l'Orsa Maggiore e la Minore, lo Scorpione, Cassiopea, l'Aquila,
il Delfino) che quelle quattro stelle non fossero in epoca più
remota separate dall'antica e grande costellazione del Centauro;
e tanto più inesplicabile, se il persiano Cazvini ed
altri astronomi maomettani avevano a stento congegnata una croce
colle stelle del Delfino e del Dragone. È incerto se
l'adulazione cortigianesca de' dotti alessandrini, che del Canopo
aveva fatto un Ptomelaion, attaccasse eziandio le stelle della
nostra Croce del Sud, in onor d'Augusto, ad un Caesaris thronos
sempre invisibile in Italia. A' giorni di Tolomeo il bell'astro
del pie' della Croce si elevava ancora ad Alessandria, nel suo
passaggio pel meridiano, sino a 6° 10', mentre ivi a di'
nostri il suo punto culminante rimane più gradi sotto
l'orizzonte. Per vedere attualmente (1847) l'a della Croce a
6°10' di altezza bisognerebbe, calcolata la rifrazione de'
raggi, mettersi a 10' ad ostro d'Alessandria, a 21°45' di
latitudine settentrionale. Gli anacoreti cristiani del IV secolo
potevano ancora scorger la Croce a 10 gradi di altezza ne' deserti
della Tebaide. Dubito però che questo nome le fosse dato
da loro, se non lo allega Dante nella nota terzina del Purgatorio:
«Io mi volsi a man destra, e posi mente
All'altro polo, e vidi quattro stelle
Non viste mai fuor che alla prima gente»;
e se Americo Vespucci, che aveva in mira questo passo nel suo
terzo viaggio contemplando gli astri del cielo meridionale,
e si vantava di aver vedute le quattro stelle che solo i primi
padri hanno potuto discernere, non conosce il nome di Croce
del Sud, ma dice semplicemente delle quattro stelle formare
una mandorla. Questa osservazione del Vespucci è del
1501. Moltiplicatisi i viaggi marittimi intorno al capo di Buona
Speranza e nel Pacifico per le vie ormeggiate dal Gama e dal
Magellano, e addentratisi i missionari cristiani nell'America
tropicale poc'anzi scoperta, crebbe il grido di quella costellazione.
La trovo menzionata la prima volta col nome di croce maravigliosa
che non si può ad alcun segno celeste comparare, dal
fiorentino Andrea Corsali nel 1517, e poi nel 1520 dal Pigafetta.
Il Corsali, più noto del navigatore vicentino, ammira
lo spirito profetico dell'Alighieri, come se il sommo poeta
non fosse tanto erudito quanto imaginoso, come se non avesse
veduti i globi celesti degli Arabi, e non si fosse trovato a
contatto di Pisani che avevano corso l'Oriente. Acosta nella
sua Historia natural y moral de las Indias osserva
che i primi coloni spagnuoli stanziati nell'America tropicale
si giovavano, come fanno tuttora, della Croce del Sud come d'orologio
celeste, conforme la sua posizione verticale o il grado d'inclinazione.
"Per effetto della precessione degli equinozi l'aspetto
del cielo stellato si muta ad ogni punto della terra. I primi
padri hanno veduto dalle alte regioni boreali alzarsi le magnifiche
costellazioni del sud le quali, per lunga età invisibili,
ricompariranno da qui alle migliaia d'anni.
Di già all'epoca di Colombo, Canopo si trovava a gradi
1° 20' sotto l'orizzonte di Toledo situata a 39°54'
di polo artico; ora invece si eleva quasi d'altrettanto sopra
l'orizzonte di Cadice. Per Berlino, e in generale per le latitudini
settentrionali, si allontanano sempre più le stelle della
Croce australe come pure a e ß del Centauro, mentre le
nubi magellaniche vanno lentamente avvicinandosi alle altezze
nostre. Canopo negli ultimi dieci secoli si approssimò
il più possibile al nord, e ora se ne allontana sempre
più verso mezzodì, avvegnaché con estrema
lentezza per la poca distanza che lo separa dal polo sud della
eclittica.
La Croce principiò a farsi invisibile a 52°30' di
latitudine nordica 2.900 anni prima dell'era nostra, mentre,
secondo il Galle, aveva per lo innanzi potuto alzarsi più
di 10° sull'orizzonte. Quand'essa scomparve affatto per
le terre del Baltico erano già scorsi cinque secoli dacché
si aveva murata la gran piramide di Cheope. La invasione degl'Icsi
[ossia, degli Hyksos] accadde 700 anni dopo. Il passato
sembra a noi s'avvicini se gli applichiamo la misura di sì
grandiosi avvenimenti.
"All'ampliata cognizione degli spazi celesti, cognizione
meglio contemplativa che scientifica, s'aggiungevano i progressi
dell'astronomia nautica, vale a dire il perfezionamento de'
metodi con cui si determina la situazione della nave, o in altri
termini la sua latitudine e la sua longitudine geografiche.
Tutto ciò che nel volger de' tempi poté contribuire
poté contribuire a questi progressi dell'arte marinaresca,
cioè il ritrovamento della bussola e uno studio più
profondo della declinazione magnetica, il calcolo della velocità
mediante un più diligente congegno del loche e 'uso de'
cronometri e la misura delle distanze lunari, i miglioramenti
recati alla costruzione navale, la sostituzione alla forza del
vento di un'altra forza. Ma più che altro la felice applicazione
dell'astronomia all'arte del navigare, tutto ciò dee
considerarsi come un aggregato di mezzi potenti che concorsero
ad aprire gli spazi terrestri, a ravvivare le avvantaggiare
comunicazioni fra' popoli, a svelare i rapporti dell'universo.
E qui ne giova ricordare di nuovo che a mezzo il secolo XIII
i marinai catalani e di Majorca si valevano di stromenti nautici
a misurare il tempo giusta l'altezza delle stelle, e che l'astrolabio
descritto da Raimondo Lullo nell'Arte de navegar precorse
di quasi due secoli quello di Behaim. L'importanza de' metodi
astronomici fu per tal modo sentita in Portogallo, che verso
il 1484 il Behaim fu eletto presidente d'una Junta de mathematicos
che doveva calcolare le tavole della declinazione del sole e
apprendere a' piloti, come abbiamo da Barros, a maneira de navigare
per altura do sol. Da questo modo di navigazione secondo l'altezza
meridiana del sole fu allora distinta appieno la navigazione
par la altura del Est-Oeste, cioè mediante la determinazione
delle longitudini."