Nel
Rinascimento, l’astronomia si trovava, rispetto a molte
altre scienze, in una situazione piuttosto imbarazzante: era
l’unica, infatti, che, negli ultimi quindici secoli, avesse
progredito poco o niente. la conoscenza del cielo stellato era
rimasta suppergiù quella dei tempi di Tolomeo (I sec.
d. C.); e, se è vero che gli studiosi arabi avevano aggiunto
la descrizione di numerose nuove stelle, il numero delle costellazioni
note e studiate era rimasto fermo alle quarantotto di origine
classica, descritte nell’Almagesto.
Solo la geografia si trovava in condizioni ancora peggiori,
poiché, se la porzione di cielo stellato descritta dall’Almagesto
copriva circa l’85% della superficie totale, la parte
di superficie terrestre descritta nella Geografia tolemaica
non superava ¼ del totale; e, anche se i viaggi di Giovani
dal Pian del Carpine, Odorico da Pordenone e dei fratelli Polo
avevano alquanto esteso la conoscenza dell’Asia, mentre
quelli di Colombo, Vespucci e Magellano avevano spalancato nuovi
orizzonti verso Occidente, la conoscenza effettiva dell’interno
dei continenti (ivi compresa l’Africa subsahariana) lasciava
ancor molto a desiderare. Per non parlare del supposto continente
australe, la cui enorme massa avrebbe dovuto comprendere quasi
tutto l’emisfero sud al di là del Tropico del Capricorno,
e del quale la Terra del Fuoco, intravista da Magellano, altro
non avrebbe dovuto essere che un avamposto, proteso verso l’America
del Sud (cfr. Francesco Lamendola, Terra Australis incognita;
id., Meñdana de Neira alla scoperta della Terra Australe,
consultabili anche sul sito di Arianna Editrice): un grande
miraggio che solo lentamente, in seguito alle navigazioni antartiche
di James Cook, avrebbe finito per dissolversi interamente.
Comunque, nel corso del XVI secolo, la geografia recuperò
il tempo perduto e fu in grado di riconoscere, descrivere e
cartografare gran parte delle coste dei continenti e delle isole;
di accertare la natura insulare della Terra del Fuoco, l’esistenza
dell’Australia e della Nuova Zelanda, l’impraticabilità
del Passaggio di nord-ovest, la separazione tra Asia orientale
e Nord America settentrionale. Solo l’astronomia rimaneva
la Cenerentola delle scienze; almeno fino a quando ragioni di
natura commerciale spinsero gli Europei, e, in particolare,
gli Olandesi, tra Cinque e Seicento, a intraprendere una serie
di ardite navigazioni alla ricerca della rotta più favorevole
per le “isole delle Spezie”, ossia l’arcipelago
dell’Insulindia.
Spesso i comandanti o i piloti di quelle spedizioni marittime
erano discreti conoscitori del cielo stellato e, con l’aiuto
di strumenti quali la bussola e il sestante, avevano, tra i
loro obiettivi, il riconoscimento di nuove costellazioni e corpi
celesti, specie nella zona più meridionale del cielo,
non osservabile dalle medie latitudini settentrionali. Esisteva,
infatti, una zona di cielo ancora del tutto sconosciuta agli
Europei, quella delle stelle circumpolari australi (ossia, che
non scendono mai sotto l’orizzonte, viste dalle medie
latitudini dell’emisfero sud); mentre di altre regioni
celesti, specialmente meridionali, si aveva una conoscenza poco
dettagliata e regnavano, tra i cartografi, una certa confusione
e indeterminatezza.
È in tale contesto che si collocano i viaggi di due intrepidi
navigatori olandesi, Pieter Dirkszoon Keyser e Cornelius e Frederik
de Houtman, che, fra il 1595 e il 1603, condussero due spedizioni
fino alle Indie Orientali e arricchirono gli atlanti celesti
di molte osservazioni, grazie alle quali il cartografo Petrus
Plancius pubblicò un nuovo catalogo celeste, in cui comparivano
ben dodici nuove costellazioni australi.
La storia della scienza è stata un po’ matrigna
nei confronti di Keyser e dei fratelli de Houtman (dei quali
era il minore, Frederik, lo studioso di astronomia), che pure
pagarono un caro prezzo per il loro contributo alla scienza
astronomica (e alla prosperità commerciale dei Paesi
Bassi). Keyser, infatti, morì a Giava nel corso del primo
viaggio, nel settembre del 1596; Cornelius de Houtman venne
condannato a morte e giustiziato per ordine del sultano di Atjeh,
a Sumatra, nel 1598, durante il secondo viaggio, probabilmente
su istigazione dei Portoghesi, nemici giurati degli Olandesi;
mentre il suo fratello minore, Frederik, venne catturato dagli
uomini del sultano e tenuto prigioniero per ben due anni.
Ma, stranamente, i loro nomi sono rimasti, fino ad oggi, sconosciuti
al grosso pubblico; mentre ogni persona di media cultura ha
almeno sentito parlare di Schouten e Le Maire, i loro connazionali
che aprirono una nuova rotta per le “isole delle Spezie”
non per la via del Capo di Buona Speranza, ma per quella che
passa tra l’Isola degli Stati e la punta orientale della
Terra del Fuoco, conducendo, via Capo Horn (avvistato, per la
prima volta, il 26 gennaio del 1616), dall’Oceano Atlantico
al Pacifico.
Petrus Plancius aveva già formalizzato, in un atlante
celeste da lui realizzato, la creazione delle dodici nuove costellazioni,
fra il primo e il secondo viaggio dei de Houtman, grazie ai
materiali che gli erano stati prontamente inviati da Keyser,
prima della morte di questi; e il cartografo Jodocus Hondius
le inserì nel globo da lui disegnato nel 1598. Due anni
dopo, nel 1600, l’astronomo Willem Blaeu, già assistente
del grande Tycho Brahe, riportò anch’egli le dodici
nuove costellazioni nel suo globo celeste.
Ma la “consacrazione” definitiva delle nuove costellazioni
australi avvenne, sempre nel 1603, grazie alla loro adozione
da parte di quello che era considerato uno dei massimi cartografi
celesti dell’epoca, il tedesco Johann Bayer (il quale,
di professione, era giudice nella natia Baviera), nella sua
Uranometria, pubblicata ad Augsburg e divenuta subito uno dei
testi fondamentali per gli studiosi di astronomia (cfr. Piero
Bianucci, Stella per stella. Guida turistica dell'Universo,
Firenze, Gruppo Editoriale Giunti, 1985, 1991, p. 38).
Nel frattempo Frederik de Houtman era rientrato in patria, avendo
ottenuto la liberazione dopo la sua lunga prigionia nel sultanato
di Atjeh. Uomo dai vasti interessi culturali, egli si era particolarmente
interessato anche alle lingue dei popoli incontrati durante
il primo e il secondo viaggio, e presso i quali aveva soggiornato
abbastanza a lungo; e fu così che egli diede alle stampe,
nei Paesi Bassi, un dizionario della lingua malgascia e un altro
della lingua malese. In appendice a questi, egli pubblicò
anche le sue osservazioni relative alle dodici nuove costellazioni
australi, omettendo però di citare colui che, per primo,
le aveva studiate e che, molto probabilmente, lo aveva guidato
nelle sue stesse osservazioni: Pieter D. Keyser.
La sua ingratitudine, tuttavia, non venne premiata, perché
nell’anno in cui Frederik de Houtman pubblicava le sue
osservazioni, il 1603, apparvero gli atlanti dei più
noti Willem Blaeu e Johann Bayer, che lo defraudarono, in un
certo senso, della gloria della primogenitura; anche se egli
aveva scritto, poco modestamente, che “quelle stelle non
erano state mai viste da alcuno” prima di lui: dimenticando
non solo Keyser, ma anche quei milioni di abitanti delle latitudini
australi (compresi i Malgasci e i Malesi, da lui attentamente
studiati) che le conoscevano benissimo e da sempre, pur non
avendone redatto carte celesti.
In seguito egli tornò nuovamente negli arcipelaghi dell'Insulindia
e, dopo aver preso parte alla conquista e alla pacificazione
delle Molucche da parte dei Paesi Bassi, che le strapparono
ai Portoghesi - tranne due enclaves nell'isola di Timor -, Frederik
de Houtman morì nel 1613 (cfr. Silvio Zavatti, Dizionario
degli esploratori e delle scoperte geografiche, Milano, Feltrinelli,
1967, pp.148-149); o, secondo altri, nel 1627.
Scrive il saggista
inglese Ian Ridpath in Mitologia delle costellazioni (titolo
originale: Star Tales, Lutterworth Press, 1988; traduzione italiana
di Giovanna Mannino, Padova, Franco Muzzio Editore, 1994, pp.
14-19):
"L'astronomia
greca raggiunse il suo apogeo con Tolomeo (c. 100 d. C.- c.
178) che lavorò ad Alessandria, in Egitto. Verso il 150
d. C. Tolomeo scrisse un compendio della conoscenza greca in
campo astronomico, generalmente noto con il suo titolo arabo
Almagesto. Il suo nucleo era costituito da un catalogo di 1.022
stelle raggruppate in quarantotto costellazioni (…), con
stime in merito alla loro grandezza che si basavano soprattutto
su osservazioni compiute tre secoli prima dall'astronomo greco
Ipparco. (…)
"Dopo Tolomeo ebbe inizio il declino dell'astronomia greca.
Già nell'VIII sec. d. C. il centro dell'astronomia si
era spostato da Alessandria a Baghdad dove il lavoro di Tolomeo
fu tradotto in arabo e fu chiamato Almagest (…)
"Anche se gli Arabi aumentarono il numero di nomi di stelle,
il numero delle costellazioni rimase immutato. La prima estensione
delle quarantotto di Tolomeo fu fatta nel 1551 in un mappamondo
celeste del grande cartografo olandese Gerardus Mercator che
le che rappresentò Antinoo e la Chioma di Berenice come
costellazioni separate, mentre, in Almagest, Tolomeo aveva menzionato
questi gruppi come suddivisioni, rispettivamente, dell'Aquila
e del Leone. Seguendo l'esempio di Mercator, il grande astronomo
danese Tycho Brahe elencò Antinoo e la Chioma di Berenice
separatamente nel suo importante catalogo astrale del 1602.
La Chioma di Berenice è tuttora una costellazione riconosciuta,
ma Antinoo da allora è stata abbandonata.
"Ormai l'era delle esplorazioni aveva fatto grandi passi
avanti e gli astronomi navigatori rivolsero la loro attenzione
alle regioni dell'emisfero meridionale che per gli antichi Greci
erano sotto il loro orizzonte. Tre sono i nomi che emergono
in questo periodo: Petrus Plancius (1552-1622), un teologo e
cartografo olandese, e due navigatori anch'essi olandesi: Pieter
Dirkszoon Keyser (anche noto come Petrus Theodorus o Peter Theodore)
e Frederik de Houtman. Sorprende che oggi tutti e tre siano
poco conosciuti nonostante l'attualità dei loro contributi.
"Plancius ordinò a Keyser di compiere osservazioni
per riempire la zona priva di costellazioni attorno al Polo
Sud celeste. Keyser era capo pilota sulla Hollandia e più
tardi sulla Mauritius, due navi di una flotta di quattro che
salparono dai Paesi Basi nel 1595 per la prima spedizione commerciale
olandese nelle Indie Orientali, passando per il Madagascar.
Era anche esperto di astronomia e matematica; l'autore olandese
A. J. M. Wanders , nel suo volume Nel regno del Sole e delle
stelle, scrive che Keyser osservava dalla coffa della nave con
uno strumento che gli aveva dato Plancius. Keyser morì
nel settembre del 1596 mentre la flotta era a Bantan (oggi Banten,
vicino alla moderna Serang, nella parte occidentale di Giava).
Il suo catalogo di 135 stelle, diviso in dodici costellazioni
di nuova invenzione, fu consegnato a Plancius quando la flotta
ritornò in Olanda l'anno dopo. Rincresce constatare quanto
poco si sappia della vita e delle altre imprese di Keyser che,
però, ha lasciato il suo segno indelebile nel cielo.
"Le dodici nuove costellazioni di Keyser apparvero per
la prima volta in un mappamondo di Plancius nel 1598, e di nuovo
due anni dopo in uno del cartografo olandese Jodocus Hondius.
La loro accettazione fu assicurata quando Johann Bayer, un astronomo
tedesco, le incluse nel suo Misurazioni del cielo del 1603,
l'atlante celeste più rinomato di quel tempo. Le osservazioni
di Keyser furono pubblicate sotto forma di tabelle da Giovanni
Keplero nelle Tavole rudolfine del 1627.
"La flotta olandese con la quale navigò Keyser era
comandata dall'esploratore Cornelius de Houtman; fra i membri
dell'equipaggio c'era suo fratello minore Frederik de Houtman
(1571-1627) che sicuramente assistette Keyser durante le sue
osservazioni. Nel corso di una seconda spedizione nel 1598 Cornelius
fu ucciso e Frederik fu fatto prigioniero dal sultano di Atjehm
nella parte settentrionale di Sumatra. Frederik seppe sfruttare
i due anni di prigionia dedicandosi allo studio della lingua
malese locale e a osservazioni astronomiche.
"Nel 1603, dopo il suo ritorno in Olanda, Frederik de Houtman
pubblicò le sue osservazioni come appendice al dizionario
malese e malgascio che compilò. Fu uno dei contributi
più inverosimili alle pubblicazioni di tipo astronomico
che la storia registri. Nell'Introduzione scrisse: «Incluse
ci sono anche le declinazioni di molte stelle fise attorno al
Polo Sud; mai viste prima d'oggi. Osservate e descritte da Frederik
de Houtman di Gouda».
"De Houtman portò il numero il numero delle posizioni
stellari misurate da Keyser da 135 a 303, sebbene 107 si queste
si riferissero a stelle che Tolomeo conosceva già, in
base a uno studio del suo catalogo fatto dall'astronomo inglese
E. B. Knobel. In nessun caso de Houtman riconobbe a Keyser meriti
per diritti di precedenza. Il catalogo delle stelle del cielo
australe di de Houtman, diviso nelle stesse dodici costellazioni
di Keyser, fu utilizzato dal cartografo olandese Willem Janszoon
Blaeu nei suoi mappamondi celesti dal 1603 in poi. Sia Keyser
che de Houtman sono considerati gli inventori di queste dodici
costellazioni meridionali, che sono riconosciute a tutt'oggi.
Le
dodici costellazioni introdotte fra il 1596 e il 1603 da
Pieter Dirkszoon Keyser e Frederik de Houtman
Apus
|
Gru |
Mosca |
Triangolo Australe |
Camaleonte |
Idra Maschio |
Pavone |
Tucano |
Dorato |
Indiano |
Fenice |
Pesce volante |
"Man mano che
le osservazioni astronomiche si facevano più accurate
e si includevano nelle carte le stelle meno luminose, aumentavano
le opportunità per gli innovatori di introdurre nuve
costellazioni anche nella zona di cielo nota agli antichi Greci.
Oltre a segnare sulla cata celeste le costellazioni australi
di Keyser e di de Houtman, Petrus Plancius inventò lui
stesso alcune costellazioni, fra le quali la Columba (Colomba)
che formò con nove stelle che Tolomeo aveva identificato
ed elencato intorno al Cane Maggiore; inventò anche Monoceros
(Monoceronte, Unicorno) e la Camelopardalis (Giraffa), dai nomi
inverosimilmente altisonanti, formate da stelle poco luminose
che Tolomeo non aveva catalogate. Queste tre costellazioni di
Plancius sono ancora oggi accettate dagli astronomi, ma le altre
sue invenzioni sono divenute obsolete. (…)
"Altre quattro costellazioni furono introdotte verso la
fine del XVI secolo dall'astronomo polacco Johannes Hevelius
(1611-87), a riempire gli spazi rimasti vuoti nel cielo boreale.
Furono illustrate nel suo atlante celeste dal titolo Firmamentum
Sobiescianum, pubblicato postumo nel 1690. Stranamente, Hevelius
insistette a compiere le sue osservazioni a occhio nudo sebbene
ai suoi tempi i telescopi fossero già disponibili; molte
delle sue costellazioni erano premeditatamente formate da stelle
poco luminose come se volesse vantarsi della potenza della sua
vista. Delle sue invenzioni, sette sono ancora accettate dagli
astronomi (…). Le quattro che sono state scartate sono
Cerberus, Mons Maenalus, Musca e Triangulum Minor.
Le
sette costellazioni introdotte da Johannes Hevelius nella
sua carta celeste pubblicata postuma nel 1690
Cani
da caccia |
Leone
Minore |
Scudo |
Volpe |
Lucertola |
Lince |
Sestante |
"Sebbene le
costellazioni del cielo boreale fossero adesso complete, rimanevano
spazi vuoti nel cielo australe. Questi furono riempiti dall'astronomo
francese Nicolas Louis de Lacaille (1713-62) che salpò
per l'Africa nel 1750 e allestì un piccolo osservatorio
a Città del Capo sotto la famosa montagna Table (mensa),
che gli fece una tale impressione da voler chiamare una costellazione
con il suo nome, Mensa. Al Capo, dall'agosto del 1751 al luglio
del 1752 Lacaille osservò le posizioni di quasi 10.000
stelle, un numero incredibile in un lasso di tempo così
breve."
È un vero
peccato che la fantasia e il senso estetico di Lacaille non
fossero all'altezza delle sue straordinarie doti di osservatore
instancabile del cielo, perché le quattordici nuove costellazioni
da lui introdotte si riferiscono esclusivamente ad oggetti della
scienza e della tecnica e portano nella cartografia celeste
una nota stridente, che mal si accorda con le favolose figure
mitologiche delle altre costellazioni.
Oltre alla Mensa, già nominata (e perla quale non si
deve pensare a una tavola ma alla montagna dalla forma tabulare,
sovrastante Città del Capo), le altre recano i nomi,
alquanto prosaici, di Antlia (Macchina pneumatica), Fornello
Chimico, Microscopio, Pictor (in origine, Cavalletto del Pittore),
Scultore, Bulino, Orologio, Norma (Squadra o Regolo), Pyxis
(Bussola), Telescopio, Compasso, Ottante, Reticolo (ossia il
reticolo presente negli oculari dei cannocchiali e di altri
apparecchi scientifici di misura).
Non ancora pago di tanta bruttezza, Lacaille, da buon figlio
dell'Illuminismo, procedette a una riorganizzazione di tipo
pratico e, oltre a sopprimere (certo per anglofobia) la costellazione
di Robur Carolinum (la Quercia di Carlo), introdotta dall'astronomo
Edmond Halley, nel 1678, in onore di Carlo II Stuart - ed era
l'unico omaggio al mondo vegetale di tutto il cielo stellato!
-, suddivise addirittura in tre nuovi asterismi l'antica costellazione
di Argo Navis, e cioè Carina (Carena), Puppa (Poppa)
e Vela, forse con vantaggio dei cartografi ma con scarso guadagno
dell'epos mitologico. Quest'ultima novità non venne però
accettata da tutti gli astronomi e solo nel 1930 l'Unione Astronomica
Internazionale accettò ufficialmente la scomparsa di
Argo Navis (che sopravvisse ancora un poco in qualche atlante
isolato) e la sua sostituzione con le tre nuove costellazioni
minori.
Così, noi
oggi vediamo rispecchiate nel cielo, attraverso i nomi delle
costellazioni, le diverse epoche del pensiero e della cultura.
Le costellazioni note e catalogate dagli antichi sono quasi
tutte ispirate a figure ed episodi della mitologia classica.
Quelle riconosciute tra la fine del Cinquecento e il Seicento,
si ispirano per la maggior parte alla fauna esotica e riflettono
lo stupore di navigatori come Keyser e de Houtman per le meraviglie
della natura da essi scoperte nei mari e nelle terre dell'emisfero
australe. Quelle istituite nel Settecento, quasi tutte ad opera
di Lacaille, sono figlie, appunto, della mentalità del
"secolo dei lumi" e privano vaste regioni dei cieli
meridionali di ogni soffio di poesia e di fantasia, per ricordarci
una delle caratteristiche più invasive dell'avvento della
modernità: lo strapotere di una tecnica divenuta onnipresente
e onnipotente.
Addio, vecchia costellazione della nave Argo: agli uomini del
razionalismo settecentesco non apparivi altro che un ingombrante
residuo delle antiche "superstizioni". Meglio, quindi,
molto meglio sopprimere il tuo ricordo, introducendo la nomenclatura
asettica delle diverse parti di una nave: poppa, vele, carena.
E questo è un altro aspetto del razionalismo moderno:
la perdita di una visione olistica della realtà e il
subentrare di un riduzionismo che scompone ogni cosa nei suoi
elementi semplici, come un bravo orologiaio che smonta e rimonta,
pezzo dopo pezzo, l'orologio al quale sta pazientemente lavorando.
In fondo, bisogna riconoscere che era inevitabile, anche se
ingeneroso nei confronti del passato, che così avvenisse.
In un mondo ormai disincantato e incapace di vedere nel mito
altro che strane e assurde storie pressoché dimenticate,
non c'era più posto per l'epopea degli Argonauti, né
per qualsiasi altra forma di pensiero e di memoria mitica.
Fine I parte - II
parte
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