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Ugo Malaguti,
LA FENICE

di Stefano Sampietro

"Cristalli di neve scintillano sotto un chiarore tenue di stelle. Lassù, costellazioni racchiuse dalla lente degli orizzonti, costellazioni dalle forme bizzarre, grandi ali e carri ed eliche ricamati in un cielo violaceo, dai riflessi purpurei ondeggianti sui contorni delle montagne."

Così comincia il racconto "La fenice" di Ugo Malaguti, scritto nel 1977, più volte pubblicato e oggetto di diverse traduzioni per l'estero. "La fenice" segna un momento significativo nella vita di Malaguti che, con questo racconto (scritto "una sera, in poco più di tre ore", come lui stesso ha dichiarato), ebbe modo di ritornare alla sua attività narrativa, interrotta per molti anni da quella di critico e traduttore.

"E' freddo. La neve scricchiola lievemente sotto i piedi, è come una coltre che nasconde ogni cosa del paesaggio. Solo le stelle in alto, e la coltre bianca, in basso, e l'una riflette le altre, e c'è silenzio, molto silenzio intorno. […] Un cielo così limpido è uno dei doni più belli di questo posto, e al centro della mia casa di vetro, sospeso nell'immensità vuota di bianco e stelle, guardo ancora, e quella luce mi fa balenare un ricordo."

La narrazione è fin da subito una narrazione soggettiva. All'interno di una dimensione fredda e monocromatica, ma per questo particolarmente poetica, il protagonista traccia una sorta di diario personale, fatto di descrizioni, ricordi e riflessioni disincantate, come quando osserva "lo splendido triangolo di stelle" al centro della costellazione che lui stesso ha battezzato Ala della Fenice e ricorda come, da bambino (anzi: "quando ero stato quasi un bambino, proprio all'inizio" dice, e solo alla fine del racconto si comprenderà il senso di queste parole), credeva nell'esistenza di una creatura capace di rinnovarsi dalle proprie ceneri. In effetti, la sua visione dell'universo sembra preferire il mito alla scienza, le metafore alle formule:

"Le complicate terminologie dei tecnici non sono fatte per me. Io vedo il mondo sotto forma di ami e pesci e pescatori, di fucili e selvaggina e cacciatori, di guerrieri e corazze e spade. Perché in fondo, ridotto all'esenziale, il mondo è questo."

Chi è il protagonista? Apprendiamo qualcosa nel momento in cui riceve un messaggio. Il mittente è il segretario generale dell'agenzia per cui lavora. Con tono preoccupato, il segretario chiede spiegazioni sul suo strano comportamento, e cioè l'esser stato per quasi cinque anni isolato e lontano da tutti, senza nessun contatto. Cinque anni - questo è il punto della sua preoccupazione - rappresenta il limite legale massimo concesso, oltre il quale tutto il suo lavoro diventerà di pubblico dominio.
Il messaggio ricevuto non preoccupa il protagonista, ma sembra riportargli la mente ai ricordi dell'ultimo periodo, ai suoi viaggi per l'universo, alle civiltà conosciute, alla varietà di un cosmo complesso e multiforme:

"…ho visitato le giungle primordiali di Altair immerse nel candore di una stella bianca tra nebbie bianche, e sono arrivato alla fine della strada, sotto i raggi di Denebola, e ho avuto paura di fronte a un mondo corroso, rugginoso, pieno di forme geometriche incomprensibili e antiche… […] Quattro anni e mezzo durante i quali ho parlato, ho ascoltato, usando molti nomi, spendendo molto denaro, e senza fare altro."

D'un tratto, ancora immerso nei ricordi, il protagonista riceve una visita, una donna che conosce molto bene. Dal dialogo che segue, veniamo a conoscenza di altri particolari. Lui si chiama Helios, o meglio questo è il nome con cui è noto, lei si chiama Léanne, nome dolce anche nel suo significato. Si conoscono da molto tempo, un tempo forse incommensurabile.
L'arte, nell'accezione più completa, sembra essere la loro occupazione, la loro vita. Lèanne dice:

"Noi siamo… artisti, ci chiamano? …Sì, forse è la definizione giusta. Diamo vita ai sogni, diamo poesia alle lacrime, diamo immagine ai miti."

L'arte come scopo di un'esistenza, dunque; ma basta la nobiltà dello scopo a rendere la vita felice? Non necessariamente:

"E' questo che ci condanna - dice lei in tono amaro - Perché noi diamo immagini e melodie e finzione, mentre la galassia è azione e realtà e vita."

Perché Helios ha lasciato tutto? Perché ha viaggiato per tutto questo tempo? Le domande sembrano essere lo scopo principale della visita di Lèanne, domande concrete ma che richiamano concetti più ampi, come se fossero metafore di quesiti fondamentali sulla vita e sul suo senso ultimo. E infatti, le risposte di Helios non sono certezze, ma riflessioni, spesso distaccate, quasi malinconiche nella loro filosofica rassegnazione.

"- Hai visitato tutta la galassia - dice lei - Hai trovato le tue risposte?
- Non posso dire di avere visitato molto - replico - in quattro anni tu puoi vedere solo pochi dei luoghi che bisogna vedere. Mi sono convinto che nessuno mai riuscirà a visitare tutta la galassia. Ma, vedi, non è importante.
- Non lo è?
- Qualcuno ha detto che non c'è niente di nuovo sotto il sole: ebbene, io credo che non ci siano soli nuovi, in tutto l'universo; che la loro luce sia sempre la stessa, e a che serve cercare allora?"

Il dialogo continua, con altri particolari, altre riflessioni, fino al finale del racconto, un finale che è una rivelazione, un colpo di scena degno della più solida ed efficace science fiction. Quelli come Helios e Lèanne non vivono per se stessi, ma per dare, con la loro arte, ricchezza alla Terra. Certo la ricompensa è alta, denaro e fama, ma è questo che vogliono? Lèanne non ne è convinta, forse anche lei vuole ciò che tutti vogliono, una famiglia, un figlio, una vecchiaia tranquilla e poi la morte. Ma non è possibile, perché loro sono sterili e immortali.

"Così vedo nei suoi occhi lo scintillare delle emozioni che le sono naturali.
Abbiamo viaggiato, e questo è bene. Abbiamo conosciuto cose nuove, ed emozioni nuove. Ora i nostri corpi di androidi verseranno emozioni nei circuiti perfetti delle nostre menti artificiali, e nuovi capolavori renderanno più lieti e più tristi, più felici e più pensierosi, i molti, giovani popoli della galassia.

Le tre stelle della Fenice scintillano nel cielo.


- Andiamo, Lèanne - le dico - E' ora di ritornare."

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Riferimenti bibliografici:

  • Malaguti, Ugo, "La fenice", in "Storie d'ordinario infinito", 1989, Perseo libri editore.

    La Fenice è anche una costellazione del nostro cielo.

  • Fantascienza

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