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Scipione:
Dunque ove son? La Reggia
Di Massinissa, ove poc'anzi i lumi
Al sonno abbandonai,
Certo questa non è.
Costanza:
No. Lungi assai
È l'Africa da noi. Sei nell'immenso
Tempio del ciel.
Fortuna:
Non lo conosci a tante,
Che ti splendono intorno,
Lucidissime stelle? a quel che ascolti
Insolito concento
Delle mobili sfere? a quel che vedi
Di lucido zaffiro
Orbe maggior, che le rapisce in giro?
Scipione:
E chi mai tra le sfere, o Dèe, produce
Un concento sì armonico e sonoro?
Costanza:
L'istessa, ch'è fra loro,
Di moto e di misura
Proporzionata ineguaglianza. Insieme
Urtansi nel girar; rende ciascuna
Suon dall'altro distinto;
E si forma di tutti un suon concorde.
Varie così le corde
Son d'una cetra; e pur ne tempra in guisa
E l'orecchio, e la man l'acuto e 'l grave,
Che dan, percosse, un'armonia soave.
Questo mirabil nodo,
Questa ragione arcana
Che i dissimili accorda,
Proporzion s'appella, ordine e norma
Universal delle create cose.
Questa è quel che nascose,
D'alto saper misterioso raggio,
Entro i numeri suoi di Samo il saggio.
Scipione:
Ma un'armonia sì grande
Perché non giunge a noi? Perché non l'ode
Chi vive là nella terrestre sede?
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Costanza:
Troppo il poter de' vostri sensi eccede.
Ciglio che al sol si gira
Non vede il sol che mira,
Confuso in quell'istesso
Eccesso di splendor.
Chi là del Nil cadente
Vive alle sponde appresso
Lo strepito non sente
Del rovinoso umor.
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Scipione:
Son fuor di me. Tutto quassù m'è nuovo
Tutto stupir mi fa.
Emilio:
Depor non puoi
Le false idee che ti formasti in terra,
E ne stai sì lontano. Abbassa il ciglio;
Vedi laggiù d'impure nebbie avvolto
Quel picciol globo, anzi quel punto?
Scipione:
Oh stelle!
È la terra?
Emilio:
Il dicesti.
Scipione:
E tanti mari,
E tanti fiumi, e tante selve, e tante
Vastissime provincie, opposti regni,
Popoli differenti? e il Tebro? e Roma?
Emilio:
Tutto è chiuso in quel punto.
Scipione:
Ah padre amato,
Che picciolo, che vano,
Che misero teatro ha il fasto umano!
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