"Atlas
Coelestis" è una raccolta di composizioni scritte tra il
1997 ed il 2004, concepite come un'esplorazione del cosmo, un viaggio
musicale nello spazio e nel tempo che ha come punto di partenza la notte
del 7 Gennaio 1610, data in cui Galileo punta al cielo il telescopio
appena costruito e scopre che attorno a Giove gravitano quattro astri,
sconvolgendo così la concezione geocentrica dell'universo aristotelico.
Da ciò prende avvio un viaggio che, attraverso le note, porta
fino ai più remoti confini dello spazio. Dopo il preludio, Incanto,
che descrive il senso di stupore provato davanti alla volta celeste, Noctis Splendentia Signa, metamorfosi in partitura della mappa
stellare che riproduce l'aspetto del cielo osservato da Galileo in quella
storica notte. Pleiades è dedicata alla fittissima, delicata
ragnatela delle Pleiadi, gioiello delle notti invernali, mentre con Pulsar ci addentriamo sempre più nelle profondità
dei suoni archetipi, nelle meraviglie del cosmo, accompagnati dall'esatta
scansione ritmica della prima pulsar scoperta nel 1967 da Jocelyn Bell.
Siamo infine irrimediabilmente attratti dal buco nero di Cygnus X-1,
sorgente di raggi X nella costellazione del Cigno, che ci risucchia
in uno dei più grandi misteri dell'universo: cosa c'è
al di là di un buco nero? L'annullamento dello spazio-tempo in
una dimensione unica e contemporaneamente multipla? Una strada verso
universi paralleli? Un tunnel spazio-temporale? Il big bang di un neonato
universo in uno stratificato "pluriverso"? Astrorum nexus chiude il ciclo di composizioni con una melodia che solca gli spazi
interstellari perdendosi nelle profondità del cosmo, nell'infinito
e ancora oltre...
Note sulla genesi dei primi due brani composti per "Atlas Coelestis". Noctis splendentia signa
Sembrava
una data come tutte le altre, quel 7 gennaio 1610, invece fu proprio
quella la notte in cui la nostra visione dell'universo cambiò
definitivamente: il cielo immutabile di Aristotele venne spazzato via
per far posto al cosmo in continuo divenire che gli astronomi moderni
studiano costantemente con sempre nuovi esiti.
Da poco più di un mese ormai Galileo passava le notti di quel
freddo inverno all'aperto, anziché al calore della sua camera.
Aveva appena messo a punto un nuovo cannocchiale che ingrandiva gli
oggetti ben trenta volte, molto più potente di quelli costruiti
in Olanda nel 1608, nient'altro che giocattoli per avvicinare gli oggetti
lontani, a suo confronto. Con cannocchiale, penna ed attrezzi per il
disegno, lo studioso si era trasferito nel giardino della sua casa di
Padova e aveva cominciato a scrutare il cielo, prendendo appunti e disegnando
quello che di volta in volta il cannocchiale gli svelava: le valli,
le montagne, gli oceani della Luna, le miriadi di stelle che componevano
la Via Lattea, le nebulose, i pianeti... Ogni tanto lo stupore lo sopraffaceva
ed egli doveva fermarsi per prendere fiato e pulire il vetro appannato
del telescopio. Non poteva credere ai propri occhi: la Luna non era
una sfera perfettamente liscia come si era fino ad allora ritenuto,
"ma al contrario, disuguale, scabra, ripiena di cavità e
di sporgenze, non altrimenti che la faccia stessa della Terra..."
E poi le Stelle fisse, di "inimmaginabile frequenza", incredibilmente
più numerose di quelle visibili ad occhio nudo; la costellazione
di Orione, con cinquecento stelle mai viste prima; le Pleiadi, non più
sette ma quaranta sparse in una ristrettissima porzione di cielo. E
la Via Lattea, la cui natura era finalmente chiara: non una macchia
biancastra che attraversa il cielo ma "una congerie di innumerevoli
stelle, disseminate a mucchi". E ancora le nebulose di Orione e
del Presepe...
Il cosmo era adesso più profondo e più sconosciuto di
quanto non si fosse creduto fino a quel momento.
Ma la scoperta più incredibile e inattesa doveva ancora arrivare.
"Pertanto il giorno 7 gennaio del corrente anno 1610, alla prima
ora della notte seguente, mentre guardavo gli astri celesti col cannocchiale,
mi si presentò Giove..." Ma c'era qualcosa di strano attorno
al pianeta, tre stelline disposte esattamente sulla stessa linea, due
da un lato, una dall'altro. Una singolare coincidenza, pensò
in un primo momento Galileo, tre stelle fisse che si trovavano sullo
sfondo del cielo attraversato in quel momento da Giove. La notte seguente,
però, la disposizione era diversa, le tre stelline si trovavano
tutte ad occidente rispetto al pianeta, ciò forse significava
che Giove nel suo moto le aveva superate e che tutto rientrava nel normale
corso degli eventi celesti...o forse no. Per avere una prova definitiva
non rimaneva che aspettare ancora una notte. "Perciò col
più gran desiderio aspettai la notte seguente; ma fui deluso
nella mia speranza, perché il cielo fu da ogni parte ricoperto
di nubi." Il giorno 10 la costanza e la voglia di sapere di Galileo
venivano premiati da una meravigliosa scoperta: le stelline erano due
ed entrambe ad oriente rispetto al pianeta. Doveva quindi trattarsi
di corpi celesti che accompagnavano Giove... Dopo qualche notte le stelline
tornarono ad essere tre e poi addirittura quattro! Il fenomeno doveva
essere studiato con ancora maggiore attenzione, decise Galileo, e così
cominciò a segnare il loro numero e la posizione nelle varie
ore della notte finché capì la ragione di questo strano
balletto celeste: le quattro stelline altro non erano che lune in rotazione
attorno a Giove, così come la Luna attorno alla Terra, e nel
corso della loro orbita si disponevano ora da un lato ora dall'altro
del pianeta, talvolta dietro o davanti ad esso, rimanendo nascosti alla
vista.
Galileo aveva finalmente trovato ciò che cercava: la prova che
avrebbe definitivamente invalidato la teoria geocentrica già
fortemente messa in dubbio prima da Tycho Brahe e poi da Niccolò
Copernico. Se esisteva un altro pianeta attorno cui ruotavano addirittura
quattro satelliti, la Terra perdeva sempre più la sua posizione
privilegiata di centro del cosmo.
Aristotele aveva affermato un modello di universo in cui la Terra stava
al centro di un sistema di sfere ruotanti attorno ad essa, ma, per spiegare
il movimento apparentemente irregolare dei pianeti, era ricorso ad un
complicato e macchinoso sistema di sfere all'interno di altre sfere.
Tycho Brahe aveva invece teorizzato un modello in cui i pianeti ruotavano
attorno al Sole e tutti insieme intorno alla Terra. Copernico, infine,
aveva formulato la sua teoria eliocentrica che adesso trovava con Galileo
una dimostrazione.
Il 13 marzo 1610, appena dieci giorni dopo l'ultima osservazione, Galileo
dà alle stampe il Sidereus Nuncius, in cui annuncia al mondo
le sue sensazionali scoperte.
L'universo, dopo quella notte, non sarebbe stato più lo stesso.
L'idea di comporre Noctis Splendentia Signa mi è venuta proprio
durante la lettura del Sidereus Nuncius. Immaginavo Galileo con l'occhio
al telescopio, immerso nella notte siderea, che di tanto in tanto prende
appunti sul suo quaderno (che anni dopo ho visto, con molta emozione,
esposto ad una mostra). La precisione delle sue annotazioni fece nascere
in me il desiderio di seguire su una mappa stellare ciò che di
volta in volta egli descrive con entusiasmo e stupore. Allora ho ricostruito
al computer l'aspetto del cielo visto da Padova il 7 gennaio 1610, all'una
di notte, il momento ed il luogo, cioè, in cui Galileo vede per
la prima volta le lune di Giove. Come ho potuto constatare, il pianeta
era ben visibile quella sera, vicino alla Luna, tra le costellazioni
di Orione e del Toro, non lontano dalle Pleiadi; in quella mappa stellare
erano visualizzati tutti i corpi celesti che vengono descritti nel volumetto,
e ciò mi aiutava nella lettura e mi permetteva poi di andarli
a ricercare col mio piccolo telescopio. La mappa che avevo ottenuto
mi sembrava interessante anche dal punto di vista grafico e, quasi per
gioco, ho provato ad inserire nuovamente il foglio nella stampante e
sovrapporre dei righi musicali alla carta del cielo; così le
stelle si sono tramutate in suoni. Poi ho stabilito una tonalità,
mettendo in relazione le ore della notte con il circolo delle quinte,
che ha la forma del quadrante di un orologio. Calcolando la differenza
tra l'ora del tramonto e l'ora in cui Galileo osserva il cielo in quella
lontana notte del 1610, ho ottenuto la tonalità di mi bemolle.
Una caratteristica importante della partitura che avevo davanti agli
occhi mi sembrava la presenza della Luna, di Giove e di Urano in posizione
molto ravvicinata; sul pentagramma formavano un intervallo di quinta
che, trasposto in chiave di basso, costituiva un bordone da eseguire
con la mano sinistra del pianoforte. La partitura cominciava ad avere
un senso, ora dovevo trovare dei criteri esecutivi per i suoni che rappresentavano
le stelle. Innanzitutto mi sembrava logico mettere in relazione la grandezza
apparente delle stelle con la dinamica dei suoni, vale a dire: più
grande è la stella, maggiore è l'intensità con
cui la nota viene suonata. Per quanto riguarda la durata dei suoni,
ho preferito non stabilire norme rigide ma lasciare la libertà
di passare da una nota all'altra, così come, quando osserviamo
il cielo, siamo liberi di guardare una stella, goderne lo splendore
per poi passare ad un'altra. In questo senso anche l'esecuzione non
doveva essere necessariamente lineare, riga per riga come in una normale
partitura; si poteva scegliere se seguire il profilo di una costellazione,
ad esempio, o suonare le stelle più importanti, o semplicemente
spaziare liberamente con lo sguardo. A questo punto la composizione
era pronta, non restava che mettere le mani sul pianoforte ed ascoltare
se tutto questo aveva un senso musicale o se era solo un gioco, un divertente
esperimento grafico.
Ancora non riesco a dimenticare l'emozione provata la prima volta che
ho suonato Noctis Splendentia Signa, solo, nella penombra del mio studio.
Non riesco nemmeno a descriverla: è impossibile, per me, trascrivere
le suggestioni create da questo splendido linguaggio senza parole che
è la musica. Quello che avevo realizzato era una partitura in
cui le stelle si tramutano in suoni, un incanto, una magia, un volo
della fantasia, una mia personale variazione sul tema della Musica delle
Sfere Celesti vagheggiata da Pitagora e Platone e teorizzata da Keplero.
Ma il mio lavoro non ha nessuna pretesa di scientificità: l'astronomia
rimane solo uno spunto creativo. Pitagora aveva messo in relazione i
rapporti tra le lunghezze delle corde, gli intervalli musicali e le
orbite dei corpi celesti; Keplero era arrivato addirittura a stabilire
le note che ciascun pianeta emette nel corso della sua orbita. Ormai
sappiamo che le onde sonore sono vibrazioni che si propagano attraverso
corpi solidi, liquidi o gassosi come l'acqua o l'aria, e che di conseguenza
nessuna musica celeste si può udire negli immensi vuoti spazi
interstellari. Non ci resta altro che osservare il cielo ed immaginare
di ascoltarli, quei suoni, quieti e distanti, che attraversano lo spazio
ed il tempo per venirci ad incantare con storie mai udite prima...
Pleiades
Le Pleiadi sono un ammasso di stelle molto giovani che splendono circondate
da una nube di gas luminoso. Sono ben visibili nel cielo invernale a nordest,
nella costellazione del Toro, piccolo gruppetto di stelle la cui forma
ricorda, più in piccolo, l'Orsa Maggiore. Ad occhio nudo se ne
contano sei o sette (Alcione, Atlante, Elettra, Maia, Merope, Pleione,
Taigete), ma quando Galileo vi puntò il cannocchiale fu stupito
di scoprirne una quarantina circa, oltre quelle già note. Oggi
sappiamo che le Pleiadi sono circa 500, lontane da noi 400 anni luce.
Nella mitologia greca le Pleiadi erano le sette figlie di Atlante e Pleione:
Orione il cacciatore incontrandole se ne innamorò e le inseguì
per sette anni, finchè Zeus non ebbe compassione di loro e le trasformò
in stelle, ponendo il Toro a loro difesa. Ancora adesso, in cielo, Orione
sembra rincorrerle inutilmente ogni notte, fino all'alba.
Per la composizione di Pleiades ho utilizzato la mappa stellare ingrandita
delle Pleiadi, sovrapponendo, come in Noctis Splendentia Signa, una serie
di pentagrammi che mi permettessero di attribuire altezze diverse alle
varie stelle. Ma questo non mi bastava per rendere la caratteristica di
questo ammasso stellare, cioè la nube di gas che le avvolge. Allora
ho provato a scorrere le dita sulla cordiera del pianoforte durante tutto
il brano, tenendo premuto il pedale di risonanza: questo effetto mi riportava
alla mente l'impressione di un sottile e luminoso velo di gas. Per dare
l'idea, poi, di punti di luce che bucano questo velo, ho pensato di utilizzare
una tecnica largamente usata da John Cage, il pianoforte preparato: questo
artificio consiste nell'inserire tra le corde del piano pezzettini di
metallo, legno o gomma che permettono di dare maggiore evidenza ai suoni
armonici. Così, dopo una lunga preparazione dello strumento, ho
ottenuto un risultato che soddisfaceva pienamente il mio desiderio di
rendere in suoni l'emozione che dà la visione di questo straordinario
ammasso stellare.
GIOVANNI RENZO
Pianista, compositore
Nato a Messina nel 1962, si
diploma al Conservatorio "Corelli" della sua città natale
in Pianoforte Principale nel 1986, perfezionandosi in seguito a Roma con
Martin Joseph, ai Seminari Nazionali di Musica Jazz di Siena con Enrico
Pieranunzi e Bruno Tommaso, alla Berklee Summer School di Perugia con
Bud Fredman in composizione e orchestrazione, e all'Accademia Musicale
Chigiana di Siena con Ennio Morricone in musica per film.
Si esibisce regolarmente in concerti e festivals in tutta Italia, alternando
l'attività concertistica all'insegnamento e alla composizione.
Scrive musica per pianoforte e per vari organici cameristici e orchestrali,
rivolgendosi con particolare impegno al teatro ed al cinema.
Attualmente insegna Musica e Canto presso il Laboratorio Teatrale dell'E.A.R.
"Teatro di Messina".
L'equilibrio tra improvvisazione e composizione è il tratto distintivo
della musica di Giovanni Renzo. L'elemento dell'improvvisazione è
sicuramente derivato dalla sua profonda esperienza jazzistica, sostenuta
peraltro da una salda formazione classica. Ma il carattere personalissimo
delle sue composizioni, nelle quali spicca una vena melodica spesso malinconica,
rende inesaustiva qualsiasi definizione univoca.
GIOVANNI RENZO
Pianista, compositore
Altre notizie biografiche, discografia
nel sito Web: http://www.giovannirenzo.it/ E-mail: info@giovannirenzo.it
INVITIAMO I VISITATORI A SEGNALARCI ALTRE OPERE MUSICALI ISPIRATE
ALL'ASTRONOMIA O CON RIFERIMENTI ALL'ASTRONAUTICA. LE SEGNALAZIONI
PIŁ INTERESSANTI SARANNO PUBBLICATE CON IL NOME DEL MITTENTE AL
QUALE ANDRANNO I RINGRAZIAMENTI DELLA REDAZIONE.