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Fantascienza

Giulio Verne e il grande telescopio lunare
Dalla Terra alla luna
Intorno alla Luna

di Paolo Morini

“Dalla Terra alla Luna” ed è uno dei romanzi che maggiormente hanno creato il mito di Verne anticipatore del progresso tecnologico del XX secolo:

Giulio Verne, è uno scrittore che non ha certo bisogno di grandi presentazioni, anche perché molti dei suoi racconti sono stati trasposti in opere cinematografiche e perciò hanno acquistato una notevole notorietà.
Basti ricordare “Viaggio al centro della Terra”, “Ventimila leghe sotto i mari”, “Michele Strogoff”, “L’isola misteriosa”, “Il giro del mondo in 80 giorni”.
Di Giulio Verne si è spesso parlato dal punto di vista del contenuto profetico dei suoi romanzi, aspetto che è decisamente notevole nel suo romanzo “Dalla Terra alla Luna”.
La storia che viene narrata è inizialmente ambientata a Baltimora, negli Stati Uniti.
La Guerra Civile è da poco terminata e i soci di un club molto esclusivo, il “Gun Club” (letteralmente “Club del Cannone”), si trovano in uno stato di forzata inoperosità a causa del clima di pace.
Ormai il club è diventato una specie di noioso ritrovo in cui i soci, esperti di balistica anche dal punto di vista pratico, come documentano le loro mutilazioni, passano il tempo fra il ricordo di passate imprese e lo scoramento per l’inattività alla quale sono costretti.

Proprio mentre pare non esserci via d’uscita a questa situazione di stallo, ecco che il presidente del club, Barbicane, convoca una assemblea straordinaria nel corso della quale dà un annuncio straordinario : il Gun Club si farà promotore di una iniziativa il cui risultato finale sarà quello di spedire un proiettile nientemeno che sulla superficie del nostro satellite naturale, la Luna !
Il presidente Barbicane viene letteralmente portato in trionfo dai soci del Gun Club e, passato il primo entusiasmo, viene convocato un comitato tecnico-scientifico per studiare il problema dal punto di vista della sua realizzazione.

 

 

Si effettuano i calcoli necessari e si stabiliscono le dimensioni del cannone : date le enormi dimensioni, il cannone non avrà un supporto, ma verrà fuso direttamente nel terreno e sparerà il suo proiettile verso lo zenit.

Viene interpellato l’osservatorio di Cambridge che fornisce le indicazioni circa l’epoca del lancio e l’ubicazione in termini di latitudine del cannone.

Il luogo per costruire il cannone viene stabilito in Florida e inizia subito la parte organizzativa dell’impresa. Quando i lavori di costruzione sono quasi terminati, compare uno strano personaggio, Michelle Ardan, che chiede a Barbicane di sostituire il proiettile, previsto inizialmente come una sfera cava, con una vera e propria navicella.

Questo ardimentoso viaggiatore vuole infatti essere il primo uomo ad arrivare sulla Luna.

Dopo un primo momento di incredula perplessità, si dà il via alla costruzione della navicella e Michelle Ardan non solo convince tutti di quanto sia sensato il suo viaggio, ma convince lo stesso Barbicane e il Capitano Nicholl, suo detrattore, ad imbarcarsi con lui e a risolvere per via pratica le loro dispute in fatto di balistica.

Il romanzo termina con la loro partenza verso lo spazio esterno.La storia fu proseguita da Verne in un successivo romanzo, “Intorno alla Luna”, in cui seguiamo i tre coraggiosi proto-astronauti i quali, una volta partiti, non riescono a raggiungere la superficie della Luna : a causa di un errore di calcolo si ritrovano ad orbitare attorno ad essa senza a riuscire ad effettuare lo sbarco.Si rilassano un momento osservando la faccia nascosta per poi gettassi a capofitto nella risoluzione del loro problema.
Trovano infine il modo di uscire dall’impasse : accendono i razzi che avrebbero dovuto frenare la velocità dell’atterraggio sulla Luna per usciredall’orbita e poter finalmente mettere piede sul nostro satellite.
Ma la “sfortuna” è in agguato e per un errore di valutazione la spinta impressa alla navicella fa in modo che essa esca sì dall’orbita lunare, ma per ritornare
verso la Terra.
Il rientro avviene in mare e i tre eroi, una volta recuperati, godono della fama e della celebrità che consegue ad una impresa così straordinaria.
I biografi di Verne raccontano che lo scrittore, poco prima di morire (il 24 marzo 1905), consegnò il manoscritto del romanzo “Dalla Terra alla Luna” a un suo nipote, dicendogli di conservarlo con cura, dal momento che avrebbe assistito al viaggio di uomini verso la Luna e avrebbe così potuto valutare l’esattezza delle sue previsioni.
In effetti, con circa un secolo di anticipo, Giulio Verne anticipò le modalità di volo della missione Apollo 8, effettuato nel dicembre 1968.
Indovinò con esattezza inoltre la nazione che avrebbe effettuato il primo lancio verso la Luna (gli Stati Uniti d’America), il mese in cui il lancio sarebbe avvenuto (dicembre), il numero di uomini a bordo (tre), il sistema di rientro a Terra (l’ammaraggio), nonché il luogo di ammaraggio (l’Oceano Pacifico).
Infine, il luogo della partenza del proiettile, in Florida, venne situato nel romanzo a un centinaio di km di distanza dal punto in cui sarebbe sorta la base di Cape Kennedy, da cui effettivamente partirono le missioni Apollo.

Nella prima parte del romanzo, quando nessuno sospetta ancora che quella che sta iniziando è la prima tappa dell’esplorazione del cosmo da parte dell’uomo, la commissione scientifica dal Gun Club studia le caratteristiche tecniche dell’impresa.
La prima discussione riguarda il proiettile da far arrivare sulla Luna.
Il segretario del Gun Club, J.T.Maston, realizza immediatamente che “...questo proiettile deve essere abbastanza grosso da attirare l’attenzione degli abitanti della Luna, ammesso che ve ne siano”.
Il presidente Barbicane aggiunge che c’è una ragione ancora più importante perché il proiettile abbia dimensioni di un certo rispetto. Infatti “...non è sufficiente lanciare un proiettile e poi non occuparsi più di lui; bisogna che lo seguiamo durante il percorso fino al momento del suo arrivo”.
“Ma allora” interviene il maggiore Elphiston “dovreste dare a questo proiettile dimensioni enormi ?”
Risponde il presidente Barbicane : “Voi sapete che gli strumenti ottici hanno raggiunto una grande perfezione; con certi telescopi siamo arrivati ad ottenere ingrandimenti di 6000 volte e a ravvicinare la Luna a 40 miglia. Ora a questa distanza gli oggetti che abbiano 60 piedi di lato sono perfettamente visibili. Se non siamo riusciti a spingere oltre la potenza di penetrazione dei telescopi, ciò è stato perché questa potenza si ottiene a scapito della chiarezza, e la Luna non emana una luce abbastanza intensa perché si possano fare ingrandimenti che vadano al di là di questo limite .... Se io riesco a diminuire la densità dell’atmosfera attraversata dalla luce della Luna, non ho reso questa luce più intensa ?  Per ottenere questo risultato mi sarà sufficiente installare un telescopio su qualche alta montagna; ed è quello che faremo. “
“E che ingrandimento sperate di ottenere così ?”, chiede il maggiore Elphiston.
“Un ingrandimento di 48000 volte, che ci porterà la Luna a sole 5 miglia, e così gli oggetti, per essere visibili, non dovranno avere che 9 piedi di diametro”, risponde Barbicane.



A noi astrofili, anche se il nostro strumento ha una apertura di 10 o 20 cm e non possiamo disporre di telescopi di qualche metro di apertura, questi valori dell’ingrandimento (6000x o addirittura 48000x) suonano perlomeno strani, in quanto siamo abituati a ragionare in termini di ingrandimento il cui ordine di grandezza arriva ad un massimo di 2-3 volte il diametro del nostro telescopio espresso in mm.
Anzi la regola più diffusa vuole che sia di scarsa utilità superare un ingrandimento pari al doppio del diametro in mm con i rifrattori (quindi 200x con un 100 mm), mentre con i riflettori è opportuno limitarsi a valori leggermente inferiori.
Il presidente Barbicane afferma che “con certi telescopi” in grado di fornire 6000x, la Luna si avvicina come se fosse situata a 40 miglia di distanza.
Considerato che un miglio terrestre equivale a 1.609.344 metri, ricaviamo una distanza effettiva della Luna pari a
40 X 6000 X 1.609.344 = 386243 km

valore sostanzialmente uguale alla distanza media Terra-Luna (384.400 km).
Innanzitutto vediamo se a questa distanza attraverso un ingrandimento di 6000 volte è possibile scorgere un oggetto di 60 piedi di lato (1 piede = 0.3048 metri, quindi 60 piedi = 18.3 metri).
Un oggetto di queste dimensioni posto a 384400 km sottende un angolo pari a 0.0098 secondi di arco , per cui a 6000 ingrandimenti la sua dimensione angolare risulterebbe essere pari a 58.9”.
Questo valore equivale al diametro angolare di una moneta da 500 lire osservata ad occhio nudo a 88 metri di distanza, o ancora paragonabile alle dimensioni della falce di Venere in prossimità della congiunzione inferiore.
Ricordiamo anche che il disco del pianeta Giove ha un diametro di circa 40” ad occhio nudo all’opposizione e che la sua osservazione a 200 ingrandimenti porta il diametro apparente a 133’, pari a più di 4 volte il diametro apparente della Luna piena vista ad occhio nudo.
 
 

Walter Ferreri, nel suo “Il libro dei telescopi” riporta che in generale si stima che l’occhio umano abbia un potere risolvente pari a 1’. Ferreri fa notare che questo è vero in certi casi, ma non sempre.

Si può infatti verificare che osservando una stella doppia le cui componenti siano separate di 1” (con uno strumento ovviamente che abbia un potere risolvente uguale o superiore) un ingrandimento di  60x, che porta la separazione apparente a 1’, non è sufficiente per vedere le due componenti separate. Si dovrà invece salire a 180-240x per poterle vedere.

 



Il motivo di questa discrepanza è duplice :
·      da un lato il potere risolvente di 1’ è un po’ elevato; in realtà si può contare su 75-80”
·     
dall’altro lato la risolvenza di 80” si raggiunge con un diametro pupillare di 2 mm; se la pupilla è più dilatata la capacità risulta nettamene inferiore, 2 o 3’ (con oggetti appena percettibili si arriva a 12’)

Se però gli oggetti sono illuminati e ben contrastati, il potere risolvente dell’occhio può arrivare a distinguere particolari molto più fini, anche se sottendono angoli di 20” o addirittura inferiori (viene citato il caso della percezione dei fili delle linee aeree osservando panorami ben illuminati).

Sembra quindi che 6000x siano sufficienti per vedere un oggetto di 60 piedi di diametro.

Quindi con un ingrandimento 8 volte superiore (48000x) sarebbe possibile scorgere oggetti di diametro 8 volte minore (7.5 piedi).
Giusta quindi la conclusione di Barbicane, che ipotizza per il proiettile un diametro di 9 piedi ( 2.74 metri).

Ovviamente l’ingrandimento dell’immagine è utile solo se l’obiettivo dello strumento è di per sé in grado di rivelare i dettagli che vogliamo esaminare, se cioè ha un potere risolvente adeguato.

Gli astrofili sanno che, nell’osservazione delle stelle doppie, il diametro della lente o dello specchio è fondamentale per stabilire in anticipo se una data stella doppia sarà visibile: a seconda delle dimensioni del nostro strumento possiamo infatti tracciare una linea di confine immaginaria fra le stelle doppie osservabili e quelle al di fuori della nostra portata. In ottime condizioni di seeing, e tanto più la costruzione dello strumento sarà accurata, quanto più riusciremo ad avvicinarci a questo limite ed anche a superarlo. 

Un valore convenzionale del potere risolutivo, espresso in secondi d’arco, è dato dalla formula :

12
PR =
_____
D[cm]
in cui D[cm] è il diametro della lente o dello specchio in centimetri.
Questo valore convenzionale, che si presta alla maggior parte delle condizioni di osservazione, può essere moltiplicato per 0.4 per esprimere la dimensione angolare dei più piccoli dettagli visibili (come dire che un obiettivo da 12 cm, con un potere risolvente di 1”, può consentire la percezione di dettagli di 0.4”).

Quindi il telescopio che a 6000x consente di percepire un oggetto di 18.3 metri a 384400 km deve avere un potere risolvente di 0.0098” e quindi un diametro

12 X 0.4
D = ______ = 490 cm
0.0098
pari quindi al famosissimo telescopio da 5 metri di apertura di Monte Palomar.
Il proiettile da 9 piedi sottende un angolo 6.7 volte inferiore e perciò di altrettanto dovrebbe aumentare l’apertura del telescopio.
Si ottiene quindi che il telescopio di Barbicane in grado di lavorare a 48000x avrebbe dovuto avere un’apertura pari ad almeno 33  metri, valore veramente di tutto rispetto anche ai nostri giorni, dove si sta arrivando solo ora ad aperture effettive o equivalenti superiori ai 10 metri.



Nel discorso di Barbicane circa la possibilità di ottenere ingrandimenti elevati con un telescopio, l’unico problema su cui viene posto l’accento è costituito dal fatto che più si ingrandisce e meno gli oggetti osservati appaiono luminosi.
La soluzione è presto trovata : è sufficiente diminuire la densità dell’atmosfera attraversata dalla luce della Luna, per rendere la sua luce più intensa, e per ottenere questo risultato basta installare un telescopio su qualche alta montagna.
In un capitolo del romanzo dedicato alla installazione del telescopio, apprendiamo che Barbicane fa installare il telescopio sulla vetta del Long’s Peak, sulle Montagne Rocciose, ad una quota di 3210 metri.
Lo schema ottico è quello del riflettore di Herschel, per evitare la perdita di luce dovuta allo specchio secondario.
Lo specchio ha un diametro di 16 piedi (4877 mm, di poco inferiore al riflettore di Monte Palomar) e la lunghezza focale è di 280 piedi (85.34 metri), con un rapporto focale di f/17.5 : basta applicare un oculare Vixen Lanthanium da 2.5 mm di focale e siamo già a 34136x !
Nello stesso capitolo vengono ricordati i maggiori telescopi dell’epoca, il riflettore di Herschel di 4.5 piedi di diametro (1372 mm) e 36 piedi di focale (10.97 m), e il famoso Leviatano di Birrcastle, in Irlanda, di proprietà di Lord Rosse, di 6 piedi di diametro (1829 mm) e 48 piedi di focale (14.6 m).
Ad entrambi vengono attribuiti ingrandimenti massimi rispettivamente di 6000x e 6400x.
 


Quindi possiamo dire di aver stabilito il fatto che l’osservatorio sulle Montagne Rocciose approntato dal Gun Club per seguire l’impresa, non avrebbe potuto rendere conto dell’arrivo del proiettile da nove piedi di diametro sulla Luna, in quanto al di fuori della capacità di questo strumento di rendere accessibile alla vista un particolare così piccolo.
E questo indipendentemente dall’ingrandimento utilizzato.
Sul fattore di ingrandimento utilizzabile su di un dato telescopio, abbiamo visto che l’ingrandimento serve a portare a livello del potere risolvente dell’occhio i dettagli che possono essere risolti dal telescopio tramite l’elemento ottico principale, lente o specchio che sia.
Walter Ferreri riporta per un obiettivo da 500 cm di diametro, quindi della stessa
dimensione del telescopio di Barbicane, i seguenti valori di ingrandimento:
·      un ingrandimento minimo di 714x, che dà luogo ad una pupilla di uscita di 7 mm di diametro
·      un ingrandimento risolvente di 2500x che fa sì che oggetti della grandezza del potere risolvente del telescopio, pari in questo caso a 0.024”, vengano visti sotto l’angolo apparente di 1’, pari al potere risolvente dell’occhio
·      un ingrandimento massimo teorico o utile pari a 8333x, che fa sì che i dettagli più fini discernibili al telescopio (pari a 0.4 volte il potere risolvente e in questo caso sottendenti un angolo di 0.0096”) siano percepibili sotto un angolo apparente di 80”, valore del potere risolvente dell’occhio spesso più verosimile rispetto al valore di 1’ spesso citato in letteratura
·      un ingrandimento massimo effettivo pari a 1564x, che deriva da una valutazione puramente empirica
A parte i casi particolari dell’osservazione delle stelle doppie , nei quali l’ingrandimento viene forzato a 3 volte il diametro in millimetri dell’obiettivo, Walter Ferreri cita il fatto che nessuno dei grandi osservatori visuali ha mai trovato utili ingrandimenti superiori a questo valore.
Sempre da “Il libro dei telescopi” leggiamo che il planetologo Gerard Kuiper si limitava a 900x con il riflettore da 208 cm dell’Osservatorio McDonald nelle osservazioni di Marte. Audoin Dollfus, per Marte e Saturno, utilizzava 900x e 1000x con il rifrattore da 60 cm del Pic du Midi, e Ferreri stesso riporta che sulle stelle doppie risulta accettabile il valore di 1000x con il rifrattore da 42 cm dell’Osservatorio di Torino..
Ancora Kuiper utilizzava 1200x per stimare le dimensioni di Plutone al riflettore da 5 metri di Monte Palomar, l’Antoniadi arrivava a 2500x per i satelliti di Giove con il rifrattore da 83 cm di Meudon e R.G. Aitken, in condizioni particolarissime e solo sulle stelle doppie arrivava a 3000x con il rifrattore da 91 cm di Lick.
Non dobbiamo inoltre dimenticare che fra il nostro telescopio e la stella o pianeta che vogliamo osservare si trova uno strato d’aria di notevole spessore, i cui movimenti e turbolenze fanno “bollire” l’immagine rendendoci impossibile apprezzare i dettagli più fini, che pure sarebbero alla portata del nostro strumento.
A causa della turbolenza dell’aria, infatti, e pur rispettando le proporzioni fra gli ingrandimenti e il diametro, non è la stessa cosa osservare a 200x attraverso un telescopio da 10 cm o a 2000x attraverso un telescopio da un metro di apertura.
Quando è presente una turbolenza valutabile fra 1”e 2”, valore molto comune, Ferreri ci dice che non è possibile utilizzare ingrandimenti superiori ai 300-400x con nessuno strumento.
Sembra quindi che, per quanto Barbicane abbia sparato in alto con il suo cannone, non abbia neanche lontanamente raggiunto le vette ipotizzate per il suo telescopio.

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