Narra
le avventure del capitano francese Ettore Servadac, di stanza
in Algeria, il cui carattere ricorda i moschettieri narrati
da Dumas, che era il padrino letterario di Verne: turbolento,
intelligente, con la battuta pronta, generoso, impavido e ambizioso.
Per
dirla con le parole di Verne, un giovane predestinato a grandi
cose, con il vantaggio di avere avuto alla nascita, come madrine,
la fata delle avventure e quella della buona sorte.
Mentre
il capitano Servadac, assieme al suo fido attendente Ben Zuf,
dorme in una baracca sulla spiaggia algerina, una specie di
cataclisma fa crollare la modesta abitazione di legno.
Svegliati
dal trambusto, Servadac e Ben Zuf si ricompongono: tutto sembra
normale, salvo alcuni piccoli particolari.
I
nostri eroi sono diventati fortissimi, possono spiccare salti
incredibili e correre più veloci di un cavallo.
Inoltre,
quando mettono l’acqua sul fuoco per bollire un paio di uova,
l’acqua arriva al bollore molto in fretta. Un focolare più potente
? Niente di tutto questo: un termometro immerso nell’acqua rivela
che questa bolle a 66 gradi anziché a 100.
Altri
segni più evidenti (il rapido moto del Sole da Ovest verso Est
in circa 6 ore e la sparizione della Luna), suggeriscono al
capitano che qualcosa di veramente sconvolgente ha avuto luogo.
In
effetti una cometa, costituita da “tellururo d’oro”, ha sfiorato
la Terra e l’ha “sbucciata” per un certo spessore e per tutta
l’estensione del mediterraneo centro-occidentale, portando a
spasso la costa algerina per il sistema solare.
Scopertisi
gli unici abitanti del nuovo corpo celeste, Ben Zuf e il capitano
passano qualche attimo di profondo scoramento, salvo riprendersi
per organizzare la nuova vita quotidiana.
L’esplorazione
del nuovo astro li porta ben presto in contatto con altri superstiti.
Anzitutto
il conte Timascheff (rivale in amore del capitano), con ai suoi
ordini il tenente di vascello Procopio e l’equipaggio russo
della sua nave, la Dobryna, a bordo della quale inizia l’esplorazione
per mare del nuovo mondo.
Il
primo contatto con altri uomini avviene presso l’isola di Gibilterra,
asportata anch’essa dalla cometa.
Due
ufficiali e nove soldati inglesi occupano l’isola, e gli ufficiali
hanno dovuto risolvere alcuni problemi legati alle nuove brevi
giornate di 6 ore di luce e 6 ore di buio.
Nonostante
la brevità delle giornate sarebbero stati serviti ugualmente
4 pasti al giorno, e la paga giornaliera dei soldati sarebbe
rimasta invariata ?
Gli
ufficiali esaminano i problema e concludono che i fenomeni fisici
nulla possono contro i regolamenti militari e dato che l’Inghilterra
è abbastanza ricca da conformarsi alle nuove leggi dell’universo,
di fatto viene raddoppiato il numero dei pasti e lo stipendio
dei soldati.
Di
questo verrà naturalmente informato il comando.
Servadac
comunica agli inglesi che non c’è più nessun comando, anzi,
non c’è più nemmeno l’Inghilterra: con la tipica freddezza britannica
i due ufficiali fanno parlare inutilmente il capitano e il conte
Timascheff, che esaurite le forze si congedano da quel gruppo
di ottusi militari.
Il
successivo incontro avviene con un gruppo di spagnoli “indolenti
per natura” e con un mercante ebreo “usuraio dalla schiena pieghevole
e dal cuore vuoto, il rosicchiatore di scudi, il tosatore d’uova”
– una caratterizzazione dei personaggi da operetta ottocentesca.
Dall’isola
della Maddalena viene raccolta una bambina italiana di nome
Nina e per finire il moribondo astronomo Palmirino Rosette,
a suo tempo insegnante di fisica di Ettore Servadac, viene recuperato
dall’isola di Formentera.
Il
professor Rosette è un tipo veramente strano, la caricatura
dello scienziato e del vecchio insegnante, che tratta tutti
come perfetti somari, a suon di insulti e rimproveri.
Il
capitano Servadac, nel frattempo eletto all’unanimità Governatore
Generale di Gallia (questo il nome assegnato al nuovo corpo
celeste dal prof. Rosette), ritrova nell’astronomo il suo insegnate-aguzzino
delle scuole superiori, ma il rapporto si gioca sempre sul filo
del comico e del rispetto reciproco.
La
presenza dell’astronomo e le sue lezioni ai compagni di viaggio
chiariscono l’ambientazione astronomica: Gallia percorre il
sistema solare lungo un’orbita ellittica che la fa avvicinare
al Sole oltre l’orbita
di Venere, e allontanare fin oltre l’orbita di Giove.
<<Ora,
se da ciò dedusse che la Terra aveva dovuto alquanto
avvicinarsi al Sole, se ne convinse maggiormente quando ebbe
osservato un'altra volta quella splendida Venere, che perfino
i più indifferenti ammirano quando la sera o la mattina
essa esce dai raggi del Sole.
Fosforo o Lucifero, Espero o Vespro, come la chiamavano gli
antichi, la stella della sera, la stella del mattino, la stella
del pastore - mai altro astro ebbe tanti nomi, tranne forse
l'astro della notte - Venere insomma, si offriva allo sguardo
del Capitano Servadac sotto la forma di un disco relativamente
enorme. Era come una piccola Luna, e si vedevano benissimo
le sue fasi a occhio nudo. Ora piena, ora in quadratura ,
tutte le sue parti erano nettamente visibili. La curvatura
della sua falce mostrava che i raggi del Sole rifratti dalla
sua atmosfera penetravano in regioni in cui il Sole doveva
essere tramontato. La qualcosa provava che su Venere vi era
un'atmosfera; altrimenti gli effetti di rifrazione non si
sarebbero potuti osservare. Certi punti luminosi della falce
erano alte montagne alle quali Schroeter avvedutamennte ha
dato un'altezza dieci volte maggiore di quella del Monte Bianco,
ossia la centoquarantaquattresima parte del raggio del pianeta.
..
Il pericolo non proveniva ancora da Mercurio, ma da Venere,
con cui la Terra poteva scontrarsi. Verso il 18 gennaio ,
la distanza dei due astri era ridotta a circa un milione di
leghe. L'intensità luminosa del pianeta faceva gettare
agli oggetti terrestri delle ombre oscure. Lo si vedeva ruotare
su sé stesso in 23 ore e 21 minuti: il che dimostrava
che la durata dei suoi giorni non era mutata. Si potevano
intravedere le nuvole i cui strati, continuamente carichi
di vapori, rigavano il suo disco. Si vedevano le sette macchie,
che come sostenne Bianchini, sono veri mari comunicanti tra
loro. Infine, il superbo pianeta era visibile da più
giorni: visibilità che lusingò il capitano Servadac,
infinitamente meno di quanto avesse lusingato il generale
Bonaparte, quando, durante il Direttorio, vide Venere in pieno
mezzogiorno e lasciò che gli si dicesse che era la
sua stella.>>
Particolarmente
interessante è la lettura del capitolo III della seconda parte
dal titolo “Alcune variazioni sul tema tanto noto delle comete,
del sistema solare e altre”, soprattutto in parallelo con un
testo di astronomia.
La
prontezza di spirito di Servadac riesce a risolvere i problemi
legati alla vicinanza del Sole all’inizio e alla sferza del
freddo interplanetario poi, nonché quelli causati dalle bizze
del mercante ebreo Isacco e dalle stravaganze del prof. Rosette.
Infine
riesce a ricondurre tutti sulla Terra approfittando di un nuovo
passaggio radente della cometa sul nostro pianeta.
Solo
gli Inglesi, rimasti stupidamente soli per difendere la loro
colonia, sono condannati a un triste destino: la cometa si spezza
(come la cometa Gambart scrive Verne) e Gibilterra, solidale
al frammento distaccatosi, lascia Gallia per un viaggio senza
ritorno nello spazio.
La
dipartita della guarnigione inglese provoca un cruccio assai
modesto: in fondo chi è causa del suo mal pianga sé stesso.
Il ritorno avviene in modo così
fortunoso e incredibile che i protagonisti del viaggio decidono
di seppellire nella propria memoria gli avvenimenti, tanto paradossale
sembrerebbe il loro racconto.
Tutti lo possono fare con l’eccezione dell’astronomo
di bordo della cometa, il prof. Rosette: tenuto in nessun conto
dai colleghi terrestri per le sue teorie inconsuete, durante
il viaggio riesce a raccogliere elementi a favore delle sue
speculazioni.Inizialmente disposto ad ammutinarsi
per continuare il viaggio anziché tornare sulla Terra, solo l’astuzia e il savoir faire di
Servadac avranno la meglio sulla sua testardaggine.
Una
volta a casa l’astronomo dà alle stampe il suo resoconto astronomico
dell’avventura ma il suo libro, invece che come un nuovo “Sidereus
Nuncius”, viene accolto come l’ennesima stravaganza.
Fra
le tante pubblicazioni scritta in risposta, quella che riassume
meglio l’impatto della storia del professore
sulla comunità scientifica ha il titolo “Storia di un’ipotesi”.
Il
romanzo si chiude su note matrimoniali.
Si
apprende che la giovane signora che tanto attizzava i cuori
del capitano Servadac e del conte Timascheff si era sposata
durante la loro assenza: grosso sospiro di sollievo, i due possono
restare amici senza doversi sfidare in duello come stava per
accadere nelle prime pagine.
Nina
(la ragazzina italiana) e Pablo (il più giovane del gruppo degli
spagnoli), adottati rispettivamente da Servadac e dal conte
Timascheff al ritorno dal viaggio interplanetario, dopo qualche
anno si sposano, ben felici di aver perso l’occasione di essere
l’Adamo e l’Eva di un nuovo mondo ...
|