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Fantascienza

Le avventure di Ettore Servadac
(Attraverso il mondo solare)

1877
Collana "I viaggi straordinari"- Ed. Mursia

Narra le avventure del capitano francese Ettore Servadac, di stanza in Algeria, il cui carattere ricorda i moschettieri narrati da Dumas, che era il padrino letterario di Verne: turbolento, intelligente, con la battuta pronta, generoso, impavido e ambizioso.
Per dirla con le parole di Verne, un giovane predestinato a grandi cose, con il vantaggio di avere avuto alla nascita, come madrine, la fata delle avventure e quella della buona sorte.
Mentre il capitano Servadac, assieme al suo fido attendente Ben Zuf, dorme in una baracca sulla spiaggia algerina, una specie di cataclisma fa crollare la modesta abitazione di legno.
Svegliati dal trambusto, Servadac e Ben Zuf si ricompongono: tutto sembra normale, salvo alcuni piccoli particolari.
I nostri eroi sono diventati fortissimi, possono spiccare salti incredibili e correre più veloci di un cavallo.
Inoltre, quando mettono l’acqua sul fuoco per bollire un paio di uova, l’acqua arriva al bollore molto in fretta. Un focolare più potente ? Niente di tutto questo: un termometro immerso nell’acqua rivela che questa bolle a 66 gradi anziché a 100.
Altri segni più evidenti (il rapido moto del Sole da Ovest verso Est in circa 6 ore e la sparizione della Luna), suggeriscono al capitano che qualcosa di veramente sconvolgente ha avuto luogo.
In effetti una cometa, costituita da “tellururo d’oro”, ha sfiorato la Terra e l’ha “sbucciata” per un certo spessore e per tutta l’estensione del mediterraneo centro-occidentale, portando a spasso la costa algerina per il sistema solare.
Scopertisi gli unici abitanti del nuovo corpo celeste, Ben Zuf e il capitano passano qualche attimo di profondo scoramento, salvo riprendersi per organizzare la nuova vita quotidiana.
L’esplorazione del nuovo astro li porta ben presto in contatto con altri superstiti.
Anzitutto il conte Timascheff (rivale in amore del capitano), con ai suoi ordini il tenente di vascello Procopio e l’equipaggio russo della sua nave, la Dobryna, a bordo della quale inizia l’esplorazione per mare del nuovo mondo.
Il primo contatto con altri uomini avviene presso l’isola di Gibilterra, asportata anch’essa dalla cometa.
Due ufficiali e nove soldati inglesi occupano l’isola, e gli ufficiali hanno dovuto risolvere alcuni problemi legati alle nuove brevi giornate di 6 ore di luce e 6 ore di buio.
Nonostante la brevità delle giornate sarebbero stati serviti ugualmente 4 pasti al giorno, e la paga giornaliera dei soldati sarebbe rimasta invariata ?
Gli ufficiali esaminano i problema e concludono che i fenomeni fisici nulla possono contro i regolamenti militari e dato che l’Inghilterra è abbastanza ricca da conformarsi alle nuove leggi dell’universo, di fatto viene raddoppiato il numero dei pasti e lo stipendio dei soldati.
Di questo verrà naturalmente informato il comando.
Servadac comunica agli inglesi che non c’è più nessun comando, anzi, non c’è più nemmeno l’Inghilterra: con la tipica freddezza britannica i due ufficiali fanno parlare inutilmente il capitano e il conte Timascheff, che esaurite le forze si congedano da quel gruppo di ottusi militari.
Il successivo incontro avviene con un gruppo di spagnoli “indolenti per natura” e con un mercante ebreo “usuraio dalla schiena pieghevole e dal cuore vuoto, il rosicchiatore di scudi, il tosatore d’uova” – una caratterizzazione dei personaggi da operetta ottocentesca.
Dall’isola della Maddalena viene raccolta una bambina italiana di nome Nina e per finire il moribondo astronomo Palmirino Rosette, a suo tempo insegnante di fisica di Ettore Servadac, viene recuperato dall’isola di Formentera.
Il professor Rosette è un tipo veramente strano, la caricatura dello scienziato e del vecchio insegnante, che tratta tutti come perfetti somari, a suon di insulti e rimproveri.
Il capitano Servadac, nel frattempo eletto all’unanimità Governatore Generale di Gallia (questo il nome assegnato al nuovo corpo celeste dal prof. Rosette), ritrova nell’astronomo il suo insegnate-aguzzino delle scuole superiori, ma il rapporto si gioca sempre sul filo del comico e del rispetto reciproco.
La presenza dell’astronomo e le sue lezioni ai compagni di viaggio chiariscono l’ambientazione astronomica: Gallia percorre il sistema solare lungo un’orbita ellittica che la fa avvicinare al Sole oltre l’orbita di Venere, e allontanare fin oltre l’orbita di Giove.

<<Ora, se da ciò dedusse che la Terra aveva dovuto alquanto avvicinarsi al Sole, se ne convinse maggiormente quando ebbe osservato un'altra volta quella splendida Venere, che perfino i più indifferenti ammirano quando la sera o la mattina essa esce dai raggi del Sole.
Fosforo o Lucifero, Espero o Vespro, come la chiamavano gli antichi, la stella della sera, la stella del mattino, la stella del pastore - mai altro astro ebbe tanti nomi, tranne forse l'astro della notte - Venere insomma, si offriva allo sguardo del Capitano Servadac sotto la forma di un disco relativamente enorme. Era come una piccola Luna, e si vedevano benissimo le sue fasi a occhio nudo. Ora piena, ora in quadratura , tutte le sue parti erano nettamente visibili. La curvatura della sua falce mostrava che i raggi del Sole rifratti dalla sua atmosfera penetravano in regioni in cui il Sole doveva essere tramontato. La qualcosa provava che su Venere vi era un'atmosfera; altrimenti gli effetti di rifrazione non si sarebbero potuti osservare. Certi punti luminosi della falce erano alte montagne alle quali Schroeter avvedutamennte ha dato un'altezza dieci volte maggiore di quella del Monte Bianco, ossia la centoquarantaquattresima parte del raggio del pianeta.
……..
Il pericolo non proveniva ancora da Mercurio, ma da Venere, con cui la Terra poteva scontrarsi. Verso il 18 gennaio , la distanza dei due astri era ridotta a circa un milione di leghe. L'intensità luminosa del pianeta faceva gettare agli oggetti terrestri delle ombre oscure. Lo si vedeva ruotare su sé stesso in 23 ore e 21 minuti: il che dimostrava che la durata dei suoi giorni non era mutata. Si potevano intravedere le nuvole i cui strati, continuamente carichi di vapori, rigavano il suo disco. Si vedevano le sette macchie, che come sostenne Bianchini, sono veri mari comunicanti tra loro. Infine, il superbo pianeta era visibile da più giorni: visibilità che lusingò il capitano Servadac, infinitamente meno di quanto avesse lusingato il generale Bonaparte, quando, durante il Direttorio, vide Venere in pieno mezzogiorno e lasciò che gli si dicesse che era la sua stella.
>>

Particolarmente interessante è la lettura del capitolo III della seconda parte dal titolo “Alcune variazioni sul tema tanto noto delle comete, del sistema solare e altre”, soprattutto in parallelo con un testo di astronomia.
La prontezza di spirito di Servadac riesce a risolvere i problemi legati alla vicinanza del Sole all’inizio e alla sferza del freddo interplanetario poi, nonché quelli causati dalle bizze del mercante ebreo Isacco e dalle stravaganze del prof. Rosette.
Infine riesce a ricondurre tutti sulla Terra approfittando di un nuovo passaggio radente della cometa sul nostro pianeta.
Solo gli Inglesi, rimasti stupidamente soli per difendere la loro colonia, sono condannati a un triste destino: la cometa si spezza (come la cometa Gambart scrive Verne) e Gibilterra, solidale al frammento distaccatosi, lascia Gallia per un viaggio senza ritorno nello spazio.

La dipartita della guarnigione inglese provoca un cruccio assai modesto: in fondo chi è causa del suo mal pianga sé stesso.
Il ritorno avviene in modo così fortunoso e incredibile che i protagonisti del viaggio decidono di seppellire nella propria memoria gli avvenimenti, tanto paradossale sembrerebbe il loro racconto.  Tutti lo possono fare con l’eccezione dell’astronomo di bordo della cometa, il prof. Rosette: tenuto in nessun conto dai colleghi terrestri per le sue teorie inconsuete, durante il viaggio riesce a raccogliere elementi a favore delle sue speculazioni.Inizialmente disposto ad ammutinarsi per continuare il viaggio anziché tornare sulla Terra,  solo l’astuzia e il savoir faire di Servadac avranno la meglio sulla sua testardaggine.

Una volta a casa l’astronomo dà alle stampe il suo resoconto astronomico dell’avventura ma il suo libro, invece che come un nuovo “Sidereus Nuncius”, viene accolto come l’ennesima stravaganza.
Fra le tante pubblicazioni scritta in risposta, quella che riassume meglio l’impatto della storia del professore  sulla comunità scientifica ha il titolo “Storia di un’ipotesi”.
Il romanzo si chiude su note matrimoniali.
Si apprende che la giovane signora che tanto attizzava i cuori del capitano Servadac e del conte Timascheff si era sposata durante la loro assenza: grosso sospiro di sollievo, i due possono restare amici senza doversi sfidare in duello come stava per accadere nelle prime pagine.
Nina (la ragazzina italiana) e Pablo (il più giovane del gruppo degli spagnoli), adottati rispettivamente da Servadac e dal conte Timascheff al ritorno dal viaggio interplanetario, dopo qualche anno si sposano, ben felici di aver perso l’occasione di essere l’Adamo e l’Eva di un nuovo mondo ...  

Tavola di P. Philoppoteaux

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