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Fantascienza


Jules Verne
I cinquecento milioni della Bégum
recensione di Paolo Morini



In occasione del centenario della morte di Verne, l’editore Fanucci ripropone al pubblico italiano “I cinquecento milioni della Bégum”.

Nella postfazione al romanzo di Sandro Pergameno,  viene messo in evidenza il fatto che questo romanzo rappresenta un punto di svolta nell’opera narrativa di Verne: dall’ingenuo ottimismo dei Viaggi Straordinari si passa a una visione più seria e riflessiva sul potere della scienza e della tecnologia che, in mani sbagliate, possono portare l’umanità alla rovina.



Il romanzo è la storia di due personaggi e di due ideologie opposte: da un lato abbiamo il dottor Sarrasin, scienziato francese, che dedica una grossa somma di denaro proveniente dalla eredità di una sua lontana parente (la Bégum Gokool, nobile indiana di immensa ricchezza) per realizzare un sogno utopistico, una città in cui siano realizzate tutte le possibile migliorie tecniche e sociali in fatto di igiene e  condizioni di vita.

Queste condizioni aumentano a dismisura la forza produttiva degli abitanti e la città, Franceville, è un florido giardino che prospera in armonia con la natura.

Franceville, situata presso la costa ovest americana, ha un nemico: il professor Schultze, grande chimico tedesco, che ha idee diametralmente opposte rispetto al dottor Sarrasin.

Co-erede della fortuna della Bégum, usa la sua quota dell’eredità per dar vita al suo ideale, Stahlstadt, la Città dell’Acciaio.

Costruita da una folle tecnologia prussiana,in essa la scienza è stata soggiogata dalle forze del male, con lo scopo di costruire armi potentissime per distruggere la disprezzata Franceville.

L’arma finale è un cannone, una Grande Berta ante litteram, che deve far giungere sulla città nemica proiettili offensivi progettati da quel genio della chimica che è il dottor Schultze: bombe all’anidride carbonica, che ghiacciano e asfissiano le vittime, e razzi in grado di innescare centinaia di incendi in un attimo.

Il lieto fine è scontato e vince la fiducia nel progresso, ma non una fiducia cieca: se la salvezza non nasce dalla forza degli ideali, e fortunosa e quindi effimera. 

I lettori di Verne non sono estranei all’uso narrativo dei grandi cannoni (vedi “Dalla Terra alla Luna”) e il cannone del dottor Schultze, come quello di Barbicane, utilizza non la polvere nera ma il fulmicotone come carica esplosiva.

Ma la carica somministra al proiettile una tal velocità che, anziché superare le poche decine di km che separano Stahlstadt da Franceville, entra in orbita attorno alla Terra, diventandone un satellite artificiale ... una grossolana sopravvalutazione da parte del pur preparatissimo Schultze !

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