Interpretazioni
EDGAR
ALLAN POE
L'isola
della fata
L'isola
della fata" è un racconto di Edgar Allan Poe contenuto
nella raccolta "Racconti dell'impossibile" (edito
da Tascabili Economici Newton).
In questo racconto il protagonista si lascia travolgere dai
suoi pensieri nella suggestiva bellezza della natura che lo
circonda, portandolo a quelle che egli stesso definisce "fantasie",
sospese tra scienza e
misticismo, tra sogno e realtà.
[
]Amo,
invece, rimirare le vallate oscure, le rocce grigie, le acque
che sorridono silenziose, le foreste che sospirano in un sonno
inquieto, le vigili superbe montagne che dall'alto guardano
tutto - amo considerarle come le smisurate membra di un vasto
animato e sensibile insieme- un insieme la cui forma, cioè
la sfera, è la più perfetta e la più onnicomprensiva;
la cui orbita passa in mezzo ai pianeti; della quale è
mite ancella la luna; la cui vita è l'eternità;
il cui pensiero è quello di Dio; la cui gioia è
il sapere; i cui destini si perdono nell'immensità; la
cui conoscenza di noi è simile a quella che noi abbiamo
delle animaculae che infestano il cervello -un essere
che, di conseguenza, noi consideriamo puramente inanimato e
materiale, come forse quelle animaculae considerano noi.
I nostri telescopi e i nostri calcoli matematici ci assicurano
per ogni verso - nonostante le litanie dei più ignoranti
membri del clero - che lo spazio, e pertanto la massa godono
di grande considerazione da parte dell'Onnipotente. Le orbite
nelle quali si muovono le stelle sono le più adatte a
permettere le evoluzioni, senza collisioni, del maggior numero
di corpi celesti. Le forme di questi corpi sono tali da comprendere,
entro una data superficie, con precisione la massima quantità
di materia; mentre le superfici stesse sono dimensionate in
modo d'accogliere una popolazione più densa di quanta
potrebbe accoglierne un'uguale superficie sistemata altrimenti.
Né può considerarsi argomento per negare che la
massa sia un oggetto di Dio, il fatto che lo spazio è
infinito, perché può esservi un'infinità
di materia che lo riempie. E poiché noi vediamo chiaramente
che la vitalità di cui è dotata la materia è
un principio - anzi per quanto possiamo giudicare, il principio
guida delle azioni divine - , è privo di logica immaginare
che esso sia limitato alle regioni del piccolissimo in cui lo
troviamo nella vita quotidiana senza estenderlo a quelle dell'immenso.
Poiché troviamo che ogni ciclo si svolge entro un altro
ciclo, senza fine - tutti però ruotanti intorno ad un
lontanissimo centro unico che è il Dio stesso -, non
possiamo supporre per analogia che, allo stesso modo, ogni vita
sia dentro una vita, il più piccolo dentro il più
grande, e tutto entro lo Spirito Divino? In breve commettiamo
un errore insensato, per eccesso di presunzione, nel credere
che l'uomo, tanto nel suo destino attuale, quanto in quello
futuro, sia più importante nell'universo di quella <<zolla
di terra>> che egli coltiva e disprezza ed alla quale
nega un'anima per nessun'altra fondata ragione se non quella
che non la vediamo in azione. [
]
The island
of the fay
[...]I love to regard these as themselves but the colossal
members of one vast animate and sentient whole-a whole whose
form (that of the sphere) is the most perfect and most inclusive
of all; whose path is among associate planets; whose meek
handmaiden is the moon, whose mediate sovereign is the sun;
whose life is eternity, whose thought is that of a God; whose
enjoyment is knowledge; whose destinies are lost in immensity,
whose cognizance of ourselves is akin with our own cognizance
of the animalculae which infest the brain-a being which
we, in consequence, regard as purely inanimate and material
much in the same manner as these animalculae must thus
regard us.
Our telescopes and our mathematical investigations assure
us on every hand-notwithstanding the cant of the more ignorant
of the priesthood-that space, and therefore that bulk, is
an important consideration in the eyes of the Almighty. The
cycles in which the stars move are those best adapted for
the evolution, without collision, of the greatest possible
number of bodies. The forms of those bodies are accurately
such as, within a given surface, to include the greatest possible
amount of matter;-while the surfaces themselves are so disposed
as to accommodate a denser population than could be accommodated
on the same surfaces otherwise arranged. Nor is it any argument
against bulk being an object with God, that space itself is
infinite; for there may be an infinity of matter to fill it.
And since we see clearly that the endowment of matter with
vitality is a principle-indeed, as far as our judgments extend,
the leading principle in the operations of Deity,-it is scarcely
logical to imagine it confined to the regions of the minute,
where we daily trace it, and not extending to those of the
august. As we find cycle within cycle without end,-yet all
revolving around one far-distant centre which is the God-head,
may we not analogically suppose in the same manner, life within
life, the less within the greater, and all within the Spirit
Divine? In short, we are madly erring, through self-esteem,
in believing man, in either his temporal or future destinies,
to be of more moment in the universe than that vast "clod
of the valley" which he tills and contemns, and to which
he denies a soul for no more profound reason than that he
does not behold it in operation.[...]
Segnalazione
e commento di Francesca Benedetti
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EDGAR ALLAN POE
EVENING STAR - STELLA DELLA SERA
(1827)
'Twas
noontide of summer,
And mid-time of night;
And stars, in their orbits,
Shone pale, thro' the light
Of the brighter, cold moon,
'Mid planets her slaves,
Herself in the Heavens,
Her beam on the waves.
I gazed awhile
On her cold smile;
Too cold- too cold for me-
There pass'd, as a shroud,
A fleecy cloud,
And I turned away to thee,
Proud Evening Star,
In thy glory afar,
And dearer thy beam shall be;
For joy to my heart
Is the proud part
Thou bearest in Heaven at night,
And more I admire
Thy distant fire,
Than that colder, lowly light.
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Era
il culmine dell'estate,
E la notte a metà del suo cammino;
E le stelle, nelle proprie orbite,
Risplendevano pallide, per la luce
Della più fulgida, fredda luna,
Che tra i pianeti schiavi,
Ella stessa regina dei Cieli,
regnava col suo raggio sui flutti.
Io fissai per un po'
Il suo freddo sorriso;
Troppo freddo- troppo freddo per me-
Passò, come un sudario,
Una soffice nuvola,
E io mi voltai verso di te,
Orgogliosa Stella della Sera,
Nella tua gloria lontana,
Essendomi più caro il tuo bagliore;
Per la gioia del mio cuore
E' l'orgogliosa parte
Che sostieni in cielo la notte,
E di più ammiro
Il tuo fuoco lontano,
Piuttosto che quella più fredda, ordinaria luce
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Segnalazione e traduzione
di Francesca Benedetti
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