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Interpretazioni

da PRESTO CON FUOCO
di Roberto Cotroneo

Avrei voluto pensare alla musica come fosse un gesto magnanimo, un regalo del buon Dio nei sette giorni della Genesi: la musica frutto della creazione, assieme agli animali, alle piante, al sole, alla luna, alle stelle. Se c'è un buon motivo per pensare che Dio non esiste, è in questo universo muto, profondo, insopportabile. Da bambino guardavo le stelle e non pensavo solo che erano belle, che riempivano di luccichii tutta la volta del cielo; pensavo a quelle palle di fuoco, lontane miliardi di chilometri, mute, senza suono: perché il vuoto non diffonde musica, solo l’aria, gli oggetti, le cosa che vibrano, hanno un loro suono. Studiavo i pianeti e immaginavo le loro rivoluzioni in un mare di nulla e di buio, acceso soltanto da lontani bagliori, e pensavo che nessuna musica avrebbe potuto interrompere quel dramma del silenzio che doveva durare da milioni, miliardi di anni. E allora forse mi poteva consolare la presenza di un Artefice, o magari un Dio, un motore immobile capace di spezzare quest'orrore.
Sì, era meglio che un Dio esistesse, e fosse come una voce, o meglio una nota, magari grave, che interrompeva per qualche secondo quell'eterno universo muto, quel silenzio siderale.[...]
Ci ho pensato assai spesso a quel suono: meglio a quel rumore di fondo. E mi sono chiesto da quale strumento uscisse: non da un pianoforte, neppure da un’arpa, e da nessuno strumento che produce suoni attraverso vibrazioni di corde. Allora forse un tamburo di pelli tese, un rullio incessante? No, nemmeno quello; credo di essermi fermato a qualcosa di molto simile a un corno, o magari persino a un sassofono basso. Una sola nota, grave e bassissima, lunga, persino lenta, come una macchia d’olio che avvolge densamente l’universo, ma senza spezzarsi in rivoli o diramazioni, rimanendo costante, come una valanga vista al rallentatore.
Quello è il mio suono dell’universo , la giustificazione che un dio c’è, e non perché ha creato i pianeti, le stelle e l’uomo; ma perché geniale e razionale, dopo essersi compiaciuto di quello che aveva fatto, e di tutte le sue meraviglie; dopo che la sua mente aveva concepito l’infinito, ed era riuscito anche a riempirlo, quell’infinito, aveva sentito il bisogno di dare un suono a tutto questo, uno solo, indistinguibile, ma esistente: semplice, primitivo, come un vivente unicellulare, un’ameba sonora, un miracolo e un sollievo per tutti. Qual è la nota di Dio? Un do, un re, o forse un mi bemolle, un fa diesis.
E se non fosse una nota sola, e neppure un rumore, ma qualcosa di più complesso?
Un accordo di quinta, di settima, o persino un passaggio vero e proprio che si ripete all'infinito. E allora l'universo avrebbe una tonalità: eterna, fissa e costante, e scoprire la tonalità dell'universo vorrebbe dire accordarsi col mondo, con la totalità delle cose. Mi deluderebbe un universo in do maggiore: troppo definito. E non mi piacerebbe neppure che fosse in una tonalità minore, notturna, melanconica; sarebbe un universo triste. Forse preferirei che l'universo suonasse come un accordo: e allora vorrei un accordo musicale di quinta eccedente. Un suono formato da queste note, assai semplici: do, mi, sol diesis. La nota più alta, il sol diesis, apre l'accordo, lo estende all'infinito, e fa pensare a un universo sempre più concavo.


Segnalazione di Roberto Anglani


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