LUDOVICO ARIOSTO
1474
- 1533
Orlando furioso
Canto XXXIV
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67
Gli è ver che ti bisogna altro viaggio
far meco, e tutta abbandonar la terra.
Nel cerchio de la luna a menar t'aggio,
che dei pianeti a noi più prossima
erra,
perché la medicina che può saggio
rendere Orlando, là dentro si serra.
Come la luna questa notte sia
sopra noi giunta, ci porremo in via. -
68
Di questo e d'altre cose fu diffuso
il parlar de l'apostolo quel giorno.
Ma poi che 'l sol s'ebbe nel mar rinchiuso,
e sopra lor levò la luna il corno,
un carro apparecchiòsi, ch'era ad uso
d'andar scorrendo per quei cieli intorno:
quel già ne le montagne di Giudea
da' mortali occhi Elia levato avea.
69
Quattro destrier via più che fiamma
rossi
al giogo il santo evangelista aggiunse;
e poi che con Astolfo rassettossi,
e prese il freno, inverso il ciel li punse.
Ruotando il carro, per l'aria levossi,
e tosto in mezzo il fuoco eterno giunse;
che 'l vecchio fe' miracolosamente,
che, mentre lo passar, non era ardente.
70
Tutta la sfera varcano del fuoco,
ed indi vanno al regno de la luna.
Veggon per la più parte esser quel
loco
come un acciar che non ha macchia alcuna;
e lo trovano uguale, o minor poco
di ciò ch'in questo globo si raguna,
in questo ultimo globo de la terra,
mettendo il mar che la circonda e serra.
71
Quivi ebbe Astolfo doppia meraviglia:
che quel paese appresso era sì grande,
il quale a un picciol tondo rassimiglia
a noi che lo miriam da queste bande;
e ch'aguzzar conviengli ambe le ciglia,
s'indi la terra e 'l mar ch'intorno spande,
discerner vuol; che non avendo luce,
l'imagin lor poco alta si conduce.
72
Altri fiumi, altri laghi, altre campagne
sono là su, che non son qui tra noi;
altri piani, altre valli, altre montagne,
c'han le cittadi, hanno i castelli suoi,
con case de le quai mai le più magne
non vide il paladin prima né poi:
e vi sono ample e solitarie selve,
ove le ninfe ognor cacciano belve.
73
Non stette il duca a ricercar il tutto;
che là non era asceso a quello effetto.
Da l'apostolo santo fu condutto
in un vallon fra due montagne istretto,
ove mirabilmente era ridutto
ciò che si perde o per nostro diffetto,
o per colpa di tempo o di Fortuna:
ciò che si perde qui, là si
raguna.
74
Non pur di regni o di ricchezze parlo,
in che la ruota instabile lavora;
ma di quel ch'in poter di tor, di darlo
non ha Fortuna, intender voglio ancora.
Molta fama è là su, che, come
tarlo,
il tempo al lungo andar qua giù divora:
là su infiniti prieghi e voti stanno,
che da noi peccatori a Dio si fanno.
75
Le lacrime e i sospiri degli amanti,
l'inutil tempo che si perde a giuoco,
e l'ozio lungo d'uomini ignoranti,
vani disegni che non han mai loco,
i vani desideri sono tanti,
che la più parte ingombran di quel
loco:
ciò che in somma qua giù perdesti
mai,
là su salendo ritrovar potrai.
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Orlando
è portato oltre le soglie della pazzia, a causa dell'amore
spasmodico che prova per l'inafferrabile Angelica, principessa
del Catai. Astolfo va alla ricerca del senno perduto dell'amico,
e dopo avere, con il cavallo alato Ippogrifo, tentato di
scendere all'Inferno e raggiunto il Paradiso Terrestre,
trova l'evangelista S. Giovanni che gli rivela che ciò
che cerca lo troverà sulla Luna. Gli prepara il carro
che già fu di Elia, aggioga quattro cavalli rossi
come fiamma e appena il Sole è tramontato partono;
attraversano una cortina di fuoco che si rivela innocuo
e arrivano sulla Luna. Astolfo vede che il nostro satellite
è in parte liscio come l'acciaio, ma è proprio
come una piccola Terra, con i monti, valli, case e boschi
dove cacciano le ninfe. Subito viene portato in un vallone
dove è riposto tutto ciò che si perde sulla
Terra per le ragioni più diverse: i voti e le preghiere
che gli uomini rivolgono a Dio con animo poco sincero, i
sospiri degli amanti, il tempo perso al gioco, oppure sprecato
inseguendo progetti irrealizzabili.
Troverà anche molte altre cose, compresa la bellezza
delle donne: solo la pazzia manca quasi completamente "...ché
sta qua giù, ne' se ne parte mai..."
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