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Cognizioni

Miguel de Unamuno
(Bilbao 1864 - Salamanca 1936)

Questa lirica fu ispirata a Unamuno dalla lettura del "Canto notturno di un pastore errante dell'Asia" di Giacomo Leopardi. Vi sentiamo, infatti, lo stesso stile incalzante, nel susseguirsi delle domande, e la stessa malinconica inquietudine.
Aldebaràn è la stella più luminosa della costellazione del Toro, la stella a cui si rivolge il poeta con la tristezza dell'uomo che si trova smarrito di fronte ai tanti misteri dell'universo.
Forse Aldebaràn, dall'alto della sua posizione di "rubino acceso sulla fronte di Dio", e dal tempo del suo vagare, conosce i segreti della nascita e della morte degli uomini e delle cose, ma anche per essa è riservato un futuro di morte e dissoluzione e dovrà finire, avvolta nel suo sudario di spazio, nelle tenebre senza fine

ALDEBARAN

Sulla fronte di Dio rubino acceso,
Aldebaran,
pertugio di mistero,
perla di luce in sangue,
quanti giorni hai veduto tu la terra,
grumo di polvere,
rotare negli spazi?

Hai visto il sole, appena nato, emergere?

L'hai visto forse, diamante in fiamme,
staccarsi dall'anello
che fu già questo coro di pianeti
che or gli girano intorno,
del suo lume al riparo,
come giocan guardati dalla madre,
pendenti dai suoi occhi,
tranquillamente i figli?

Sei tu un occhio del Signor che veglia,
ognora desto,
un occhio che le tenebre perlustra
e va contando i mondi
della sua greggia?


Forse alcuno gli manca?
O forse alcun gli è nato?

E di tutto il visibile più oltre,
che c'è dall'altra parte dello spazio?

Più in là dell'infinito,
dì, Aldebaran, che resta?

Dove hanno fine i mondi?

Vanno tutti solinghi, silenziosi,
senza mai raggrupparsi;
tutti si guardano attraverso il cielo
e seguon senza posa
ciascuno solitario il suo sentiero?

Non brami, dimmi, accompagnarti a Sirio
e baciar la sua fronte?

Non riunirà il Signore
un giorno tutte le celesti stelle
in un unico ovile?

Non formerà con esse
una rosa di luce sul suo petto?

Quali amori impossibili
cela l'abisso?

Quali messaggi di millenni d'ansia
mandano le comete?

Siete fratelli? Dimmi,
Aldebaran, ti duole
il dolore di Sirio?

Tutti andate a un sol punto?

Lo senti il sole?
E me, mi senti?

Sai che respiro e soffro in questa terra
- grumo di polvere -,
sulla fronte di Dio rubino acceso,
Aldebaran?
[…]
E quando tu morrai?

Quando il tuo lume infine
si scioglierà per sempre nelle tenebre?

Quando freddo ed oscuro
- lo spazio è il tuo sudario -,
senza fine cadrai e senza scopo?

Questa volta notturna della Terra
ricamata d'enigmi,
questa stellata tela
di una tenda da campo miserabile
è la stessa che un dì vide la cenere
che i nostri piedi or calcano,
quando su umane fronti
forgiò occhi viventi?

Oggi si leva in vortici
quando il vento la sferza
E già fu petti respiranti vita!
E questa vostra polvere di stelle,
quel rotondo arenile,
su cui rotola il mare delle tenebre,
non fu anch'esso un superiore corpo,
non fu sede di un'anima,
Aldebaran?

Non lo è ancor oggi, Aldebaran ardente?

Non sei tu forse, stella misteriosa,
goccia di sangue vivo
nelle vene di Dio?

Non è il suo corpo il tenebroso spazio?

E quando tu morrai,
che ne farà di te codesto corpo?

Dov'è che, in lotta per la tua salute,
Dio dovrà segregarti, stella morta,
Aldebaran?…

Sulla mia tomba, Aldebaran, effondi
la tua luce di sangue,
e se alla terra torneremo un giorno,
ti trovi io fermo, Aldebaran, tacendo
dell'eterno mistero la parola!

Se la Supreme Verità cingesse
gli uomini, torneremmo tutti al nulla!

Di eternità il tuo silenzio è pegno,
Aldebaran!

Segnalazione di Tomaso Avoscan (Associazione Astrofili Agordini Cieli Dolomitici)

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