Alla fine, stanco di aspettare, si lamentò con Melquìades
del fallimento della sua iniziativa, e lo zingaro diede
allora una prova convincente di onestà: gli restituì
i dobloni in cambio della lente, e gli lasciò inoltre
delle mappe portoghesi e diversi strumenti di navigazione.
Scrisse di suo pugno una succinta sintesi degli studi del
monaco Hermann, che lasciò a sua disposizione perché
potesse servirsi dell'astrolabio, della bussola e del sestante.
Josè Arcadio Buendìa trascorse i lunghi mesi
di pioggia chiuso in uno stanzino che aveva costruito in
fondo alla casa perché nessuno turbasse i suoi esperimenti.
Tralasciò completamente i propri doveri domestici,
rimase nel patio per notti intere a sorvegliare il corso
degli astri, e fu sul punto di contrarre un'insolazione
mentre cercava di stabilire un metodo esatto per cercare
il mezzogiorno. Quando fu esperto nell'uso e nel maneggio
dei suoi strumenti, ebbe una nozione dello spazio che gli
permise di navigare per mari incogniti, di visitare territori
disabitati e di allacciare rapporti con essere splendidi,
senza bisogno di lasciare il suo laboratorio.
Fu in quel periodo che prese l'abitudine di parlare da solo,
vagando per la casa senza badare a nessuno, mentre Ursula
e i bambini si rompevano la schiena nell'orto per coltivare
il banano e la malanga, la manioca e l'igname, la ahuyama
e la melanzana.
Improvvisamente, senza alcun preavviso, la sua attività
febbrile si interruppe e fu sostituita da una specie di
allucinazione. Rimase come stregato per parecchi giorni,
continuando a ripetere a sé stesso a voce bassa una
filza di sorprendenti congetture, incapace egli stesso di
dar credito al proprio raziocinio. Alla fine, un martedì
di dicembre, verso l'ora di pranzo, esplose in un colpo
solo tutta la carica del suo tormento.
I bambini avrebbero ricordato per il resto della loro vita
l'augusta solennità con la quale il padre si sedette
a capotavola, tremante di febbre, consunto dalla veglia
prolungata e dal fermento della sua immaginazione, e rivelò
la sua scoperta:
"La terra è rotonda come un'arancia."
Ursula perse la pazienza. "Se devi diventare pazzo,
diventalo per conto tuo," gridò. "Ma non
cercare di inculcare ai bambini le tue idee da zingaro."
Josè Arcadio Buendìa, impassibile, non si
lasciò intimorire dalla disperazione di sua moglie,
che in un eccesso di collera gli spezzò l'astrolabio
per terra.
Ne costruì un altro, riunì nella stanzetta
gli uomini del villaggio e dimostrò loro, con teorie
che risultavano incomprensibili a tutti, la possibilità
di tornare al punto di partenza navigando sempre verso l'oriente.
Tutto il paese era convinto che Josè Arcadio Buendìa
avesse perduto il senno, quando arrivò Melquìades
a mettere le cose a posto. Esaltò pubblicamente l'intelligenza
di quell'uomo che per pura speculazione astronomica aveva
stabilito una teoria già provata in pratica, anche
se sconosciuta fino a quel momento a Macondo,
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