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Filosofia

Giordano Bruno

Dichiarazione resa davanti al Tribunale del Sant'Uffizio di Venezia

...Io tengo un infinito universo, cioè effetto della infinita divina potenzia, perché io stimavo cosa indegna della divina bontà e potenzia che, possendo produr oltra questo mondo un altro ed altri infiniti, producesse un mondo finito.
Sì che io ho dechiarato infiniti mondi particulari simili a questo della Terra; la quale con Pitagora intendo uno astro, simile al quale è la Luna, altri pianeti ed altre stelle, le qual sono infinite; e che tutti questi corpi sono mondi e senza numero, li quali costituiscono poi la università infinita in uno spazio infinito; e questo se chiama universo infinito, nel quale sono mondi innumerabili.
DI sorte che è doppia sorte de infinitudine de grandezza dell'universo e de moltitudine de mondi, onde indirettamente s'intende essere repugnata la verità secondo la fede. Di più, in questo universo metto una providenzia universal, in virtù della quale ogni cosa vive, vegeta e si move e sta nella sua perfezione; e la intendo in due maniere, l'una nel modo con cui è presente l'anima nel corpo, tutta in tutto e tutta in qual si voglia parte, e questo chiamo natura, ombra e vestigio della divinità; l'altra nel modo ineffabile col quale Iddio per essenzia, presenzia e potenzia è in tutto e sopra tutto, non come parte, non come anima, ma in modo inesplicabile....

Giordano Bruno - De l'Infinito Universo et Mondi

Argomento del terzo dialogo

Nel terzo dialogo primieramente si niega quella vil fantasia della figura, de le sfere e diversità di cieli; e s'affirma uno essere il cielo, che è uno spacio generale ch'abbraccia gl'infiniti mondi; benché non neghiamo più, anzi infiniti cieli, prendendo questa voce secondo altra significazione; per ciò che come questa terra ha il suo cielo, che è la sua regione nella quale si muove e per la quale discorre, cossì ciascuna di tutte l'altre innumerabili.
Si manifesta onde sia accaduta la imaginazione di tali e tanti mobili deferenti e talmente figurati che abbiano due superficie esterne ed una cava interna; ed altre ricette e medicine che dànno nausea ed orrore agli medesimi che le ordinano e le esequiscono, e a que' miseri che se le inghiottiscono.

Secondo, si avertisce che il moto generale e quello de gli detti eccentrici e quanti possono riferirse al detto firmamento, tutti sono fantastici: che realmente pendeno da un moto che fa la terra con il suo centro per l'ecliptica e quattro altre differenze di moto che fa circa il centro de la propria mole. Onde resta, che il moto proprio di ciascuna stella si prende da la differenza che si può verificare suggettivamente in essa come mobile da per sé per il campo spacioso.
La qual considerazione ne fa intendere, che tutte le raggioni del mobile e moto infinito son vane e fondate su l'ignoranza del moto di questo nostro globo.

Terzo, si propone come non è stella che non si muova come questa ed altre che, per essere a noi vicine, ne fanno conoscere sensibilmente le differenze locali di moti loro; ma che altrimente se muoveno gli soli che son corpi dove predomina il foco, altrimente le terre ne le quali l'acqua è predominante; e quindi si manifesta onde proceda il lume che diffondeno le stelle, de quali altre luceno da per sé altre per altro.

Quarto, in qual maniera corpi distantissimi dal sole possano equalmente come gli più vicini partecipar il caldo; e si riprova la sentenza attribuita ad Epicuro, come che vuole un sole esser bastante all'infinito universo; e s'apporta la vera differenza tra quei astri che scintillano e quei che non.

Quinto s'essamina la sentenza del Cusano circa la materia ed abitabilità di mondi e circa la raggion del lume.

Sesto, come di corpi, benché altri sieno per sé lucidi e caldi, non per questo il sole luce al sole e la terra luce alla medesima terra ed acqua alla medesima acqua; ma sempre il lume procede dall'apposito astro, come sensibilmente veggiamo tutto il mar lucente da luoghi eminenti, come da monti; ed essendo noi nel mare, e quando siamo ne l'istesso campo, non veggiamo risplendere se non quanto a certa poca dimensione il lume del sole e della luna ne si oppone.

Settimo, si discorre circa la vanità delle quinte essenze: e si dechiara che tutti corpi sensibili non sono altri e non costano d'altri prossimi e primi principii che questi, che non sono altrimente mobili tanto per retto quanto per circulare. Dove tutto si tratta con raggioni più accomodate al senso commune, mentre Fracastorio s'accomoda all'ingegno di Burchio; e si manifesta apertamente che non è accidente che si trova qua che non si presuppona là, come non è cosa che si vede di là da qua, la quale, se ben consideriamo, non si veda di qua da là; e conseguentemente, che quel bell'ordine e scala di natura è un gentil sogno ed una baia da vecchie ribambite.

Ottavo, che, quantunque sia vera la distinzione de gli elementi, non è in nessun modo sensibile o intelligibile tal ordine di elementi quale volgarmente si pone; e secondo il medesimo Aristotele, gli quattro elementi sono equalmente parti o membri di questo globo, se non vogliamo dire che l'acqua eccede; onde degnamente gli astri son chiamati or acqua or fuoco tanto da veri naturali filosofi quanto da profeti divini e poeti; li quali, quanto a questo, non favoleggiano né metaforicheggiano, ma lasciano favoleggiare ed impuerire quest'altri sofossi. Cossì li mondi se intendeno essere questi corpi eterogenei, questi animali, questi grandi globi, dove non è la terra grave più che gli altri elementi, e le particelle tutte si muoveno e cangiano di loco e disposizione non altrimente che il sangue ed altri umori e spiriti e parte minime, che fluiscono, refluiscono, influiscono ed effluiscono in noi ed altri piccioli animali. A questo proposito s'amena la comparazione, per la quale si trova che la terra, per l'appulso al centro de la sua mole, non si trova più grave che altro corpo semplice che a tal composizion concorre; e che la terra da per sé non è grave né ascende né discende; e che l'acqua è quella che fa l'unione, densità, spessitudine e gravità.

Nono, da che è visto il famoso ordine de gli elementi vano, s'inferisce la raggione di questi corpi sensibili composti che, come tanti animali e mondi, sono nel spacioso campo che è l'aria o cielo o vacuo. Ove son tutti que' mondi che non meno contegnono animali ed abitatori che questo contener possa, atteso che non hanno minor virtù né altra natura.

Decimo, dopo che è veduto come sogliano disputar gli pertinacemente additti ed ignoranti di prava disposizione, si fa oltre manifesto in che modo per il più delle volte sogliono conchiudere le disputazioni; benché altri sieno tanto circonspetti che, senza guastarsi punto, con un ghigno, con un risetto, con certa modesta malignità, quel che non vagliono aver provato con raggioni né lor medesimi possono donarsi ad intendere, con queste artecciuole di cortesi dispreggi, la ignoranza in ogni altro modo aperta vogliono non solo cuoprire, ma rigettarla al dorso dell'antigonista; perché non vegnono a disputar per trovare o cercar la verità, ma per la vittoria e parer più dotti e strenui defensori del contrario. E simili denno essere fuggiti da chi non ha buona corazza di pazienza.

Argomento del quarto dialogo

Nel seguente dialogo prima si replica quel ch'altre volte è detto, come sono infiniti gli mondi, come ciascun di quelli si muova e come sia formato. Secondo, nel modo con cui, nel secondo dialogo, si sciolsero le raggioni contra l'infinita mole o grandezza de l'universo, dopo che nel primo con molte raggioni fu determinato l'inmenso effetto dell'inmenso vigore e potenza; al presente, dopo che nel terzo dialogo è determinata l'infinita moltitudine de mondi, si scioglieno le molte raggioni d'Aristotele contro quella, benché altro significato abbia questa voce mondo appresso Aristotele, altro appresso Democrito, Epicuro ed altri.
Quello dal moto naturale e violento, e raggioni de l'uno e l'altro che son formate da lui, vuole che l'una terra si derrebe muovere a l'altra; e con risolvere queste persuasioni prima, si poneno fondamenti di non poca importanza per veder gli veri principii della natural filosofia.

Secondo, si dechiara che, quantunque la superficie d'una terra fusse contigua a l'altra, non averrebe che le parti de l'una si potessero muovere a l'altra, intendendo de le parti eterogenee o dissimilari, non de gli atomi e corpi semplici; onde si prende lezione di meglio considerare circa la natura del grave e lieve.

Terzo, per qual caggione questi gran corpi sieno stati disposti da la natura a tanta distanza, e non sieno più vicini gli uni e gli altri, di sorte che da l'uno si potesse far progresso a l'altro; e quindi, da chi profondamente vede, si prende raggione per cui non debbano esser mondi come nella circonferenza dell'etere, o vicini al vacuo tale in cui non sia potenza, virtù ed operazione; perché da un lato non potrebono prender vita e lume.

Quarto, come la distanza locale muta la natura del corpo, e come non; ed onde sia che, posta una pietra equidistante da due terre, o si starebbe ferma, o determinarebbe di moversi più tosto a l'una che a l'altra.
Quinto, quanto s'inganni Aristotele per quel che in corpi, quantunque distanti, intende appulso di gravità o levità de l'uno all'altro; ed onde proceda l'appetito di conservarsi nell'esser presente, quantunque ignobile, ne le cose: il quale appetito è causa della fuga e persecuzione.

Sesto, che il moto retto non conviene né può esser naturale a la terra o altri corpi principali, ma a le parti di questi corpi che a essi da ogni differenza di loco, se non son molto discoste, si muoveno.

Settimo, da le comete si prende argomento che non è vero che il grave, quantunque lontano, abbia appulso o moto al suo continente. La qual raggione corre non per gli veri fisici principii, ma dalle supposizioni della filosofia d'Aristotele, che le forma e compone da le parti che sono vapori ed exalazioni de la terra.

Ottavo, a proposito d'un altro argomento, si mostra come gli corpi semplici, che sono di medesima specie in altri mondi innumerabili, medesimamente si muovano; e qualmente la diversità numerale pone diversità de luoghi, e ciascuna parte abbia il suo mezzo e si referisca al mezzo commune del tutto; il quale mezzo non deve essere cercato nell'universo.

Nono, si determina che gli corpi e parti di quelli non hanno determinato su e giù, se non in quanto che il luogo della conversazione è qua o là.

Decimo, come il moto sia infinito, e qual mobile tenda in infinito ed a composizioni innumerabili, e che non perciò séguita gravità o levità con velocità infinita; e che il moto de le parti prossime, in quanto che serbino il loro essere, non può essere infinito; e che l'appulso de parti al suo continente non può essere se non infra la regione di quello.


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