Astrologia? No, grazie!

Il gazzettino ON LINE L'informazione interattiva del Nord-est

Martedì, 27 Dicembre 2005
«Triste è quel popolo che ha bisogno degli oroscopi e del credere alle stelle. E' come assistere alla definitiva perdita dell'intelligenza umana».

Molto più che critico, Ulderico Bernardi, sociologo, esprime con una radicale severità la propria opinione su quella parte di umanità che - invece di fare onesti auspici - è devota, più che mai a fine anno, all'astrologia, a quel desiderio incontrollato di voler affidare il proprio destino alla volta celeste e alla fluttuazione dei suoi pianeti
.Una grande comunità alla ricerca di una speranza per il futuro in una sfera di cristallo. «Può far sorridere. Eppure è proprio questo che accade.

E accade nonostante la ragione ci permetta di comprendere come la speranza concreta di un domani migliore, non dipenda da un puntino luminoso lassù nel cielo, ma molto più semplicemente dall'intelligenza.

Ciò a cui assistiamo ogni giorno dell'anno, e soprattutto in questo periodo di feste natalizie, è davvero la caduta del senso del proprio valore. E' un'umiliazione continua per l'intelletto». Cosa si sente di dire a chi crede che il domani possa in qualche modo essere influenzato dalle previsioni?

Di guardare un po' più al passato che al futuro. Perché la speranza trova sicuramente conforto e slancio nel passato. Specialmente quando il passato in questione è quello veneto. Inutile piangersi addosso, dunque, e credere che la notizia di una ripresa economica possa giungere da un oroscopo. Si provi, invece, ad osservare cosa i nostri nonni e bisnonni hanno fatto per trasformare una delle regioni più povere del paese in una tra le più floride d'Europa.

La ricchezza più vera, quella più tangibile è nella nostra storia, nella nostra memoria. Purtroppo, abbiamo perso il senso del confronto, dell'azione. Si è smarrita la fiducia nel capitale umano in nome di divinità inesistenti.
Perché non è neppure il senso religioso che accompagna la speranza oggi, bensì una specie di demone che si scatena dentro ad un popolo di adulatori del fatalismo. Il fatalismo, però, si sa, non conduce a nulla di buono»

Invece il fatalismo, quello che rimanda alla passività innanzitutto, sembra essere piuttosto diffuso. «Senza comprendere quanto il fatalismo rappresenti la negazione dell'uomo, di tutto quello che ruota intorno a lui e al suo futuro. Mentre, ripeto, che sarebbe opportuno guardare un po' di più al nostro ieri per riprenderci i nostri valori».
[..]
Annamaria Bacchin