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Interpretazioni


VIRGILIO

Eneide

 
Libro III  

Eran le navi in su la rena addotte
per la più parte; era la gente intenta
a l'arti, a la coltura, ai maritaggi,
ad ogni affare; ed io lor ministrava
leggi e ragioni, e facea templi e strade,
quando fera, improvvisa pestilenza,
ne sopravvenne; e la stagione e l'anno
e gli uomini e gli armenti e l'aria e l'acque
e tutto altro infettonne; onde ogni corpo
o cadeva o languiva; e la semente
e i frutti e l'erbe e le campagne stesse
da la rabbia di Sirio e dal veleno
de l'orribil contage arse e corrotte,
ci negavano il vitto. Il padre mio
per consiglio ne diè che un'altra volta,
rinavigando il navigato mare,
si tornasse in Ortigia, e che di nuovo
ricorrendo di Febo al santo oracolo,
perdon gli si chiedesse, aíta e scampo
da sí maligno e velenoso influsso,
ed alfin del cammino e de la stanza
chiaro ne si traesse indrizzo e lume.



  Canto X


......  Mentre ciò Turno e gli altri ausoni duci
stavan meravigliando, ecco a la riva
si fa pien d'armi e di navili il mare.
Enea di cima al capo e da la cresta
del fin elmo spargea lampi e scintille
d'ardente fiamma; e gran lustri e gran fochi
raggiava de lo scudo il colmo e l'oro,
come ne la serena umida notte
la lugubre e mortifera cometa
sembra che sangue avventi, o 'l sirio Cane
quando nascendo a' miseri mortali
ardore e sete e pestilenza apporta
e col funesto lume il ciel contrista.

Trad. di Annibal Caro  ed. De Agostini


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