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Cognizioni




 ROSETTA LOY
Brani da:

Le strade di polvere (Premio Campiello 1988)

Il romanzo narra la storia di una famiglia, o meglio di una casa poderale, e dei suoi componenti della zona del Monferrato fra l'inizio del 1800 (campagna di Napoleone in Italia) e gli anni attorno al 1870.
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Subito dopo il vecchio Nadal si svegliò a quella specie di catalessi in cui sembrava caduto e si mise a parlare, aveva una voce flebile e dolcissima e nel rombo di quella piena che sembrava dovesse capovolgere la barca raccontava delle stelle e del loro percorso. Parlava, lui vecchio e ignorante, di Cassiopea e di Berenice, della costellazione di Orione mentre Gavriel sudava a tenere ritta la barca. Le sue mani erano ferite e non ce la facevano più a tenere i remi e aveva paura di morire così nel nero dell'acqua insieme a quel vecchio.

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A Gioacchino piacciono gli alberi, le rane che saltano nei fossi, i filari di viti dove le lepri schizzano via tra i solchi.
Ma più di tutto gli piacciono le stelle e quando sarà grande farà l'astronomo. Lo dice al Prevosto che gli insegna il latino e invece delle Favole di Fedro vuole che gli legga qualcosa sulla luna e gli astri. Ma il Prevosto dice che il latino deve impararlo se vuole un giorno conoscere i nomi delle stelle e cercare di capire il loro mistero. Andare nelle città dove ci sono cupole che riproducono tutto il firmamento.

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Lo sfondo è incerto; dietro il ritratto, a inchiostro di china, è segnata la data del 22 luglio 1842.
Il giorno dell'eclissi totale di sole che precipitò per alcuni istanti il paese nella notte più nera. Un giorno certamente felice per Gavriel.
E` importante, tanto importante che lo segnò sul ritratto.
Anche dell'eclissi si parlò a lungo e per molto tempo divenne un punto di riferimento, separò il prima dal dopo.

A vederla dalla collina della Gru andarono in molti e Luìs che conosceva l'ora esatta si avviò che era ancora buio seguito dagli schiavandari che portavano in collo i bambini più piccoli con le teste ciondolanti dal sonno. Gli uccelli cominciavano appena a muoversi tra le foglie e Luìs parlava di quello che avrebbero visto di lì a poco. Quando arrivarono in cima alla collina ognuno si sparse poco distante dagli altri sul pendio che dominava la vigna. Le ultime stelle erano sparite e il sole che cominciava a spuntare dalle colline colpiva la cascina di mattoni rossi. Dalla stalla il contadino portò il latte appena munto e Luìs tirò fuori il canocchiale che teneva custodito nella borsa.
Gavriel sedeva in disparte e sulla strada chiara di polvere vedeva salire altra gente, chi a piedi e chi sul carro. Si era sparsa la voce che Luìs, che aveva letto tanti libri, avrebbe mostrato cose mai avvenute prima e la Rosetta del Fracin tornata per qualche giorno al suo paese saliva anche lei insieme ai fratelli. Era incinta di pochi mesi ma quel bambino già si avvertiva nello sguardo infossato, languido, nella mollezza dei gesti e nel bianco particolare della carne. Aveva l'affanno per la salita.
Il suo amore di un tempo per Luìs non era un segreto per nessuno, molti li avevano incontrati almeno una volta mano nella mano e c'era chi li aveva sorpresi a baciarsi; e ora tutti guardavano Luìs per vedere cosa avrebbe fatto. Ma Luìs la salutò appena, il canocchiale puntato là verso il cielo dove si perdevano gli ultimi colori dell'alba. La Rosetta del Fracin si sedette in terra lasciando andare lunghe le gambe sulle zolle, esausta, e Gavriel le offrì la sua giacca perché potesse stare più comoda. La terra, le disse, era ancora umida.
La Rosetta del Fracin lo ringraziò e gli fece posto perché potesse sedere anche lui. Poi rimasero in silenzio a ascoltare Luìs che contava i minuti reggendo in mano l'orologio che era stato del Sacarlott.
E prima che Luìs finisse di contare il sole iniziò a sparire.
In un attimo un buio senza ombre, cieco, un buio da fine del mondo li inghiottì insieme ai campi e alle case sparse sulle colline, agli uccelli muti di colpo. Dallo spavento la Rosetta del Fracin afferrò la mano di Gavriel, lui sentì il suo palmo pieno, molle, e intrecciò le dita alle sue. Era la mano di Gavriel fredda e dura e stringeva forte, sempre più forte mentre sentiva le dita della Rosetta avvinghiarsi alle sue, le unghie che gli entravano nella carne.
Qualcuno, in quel buio, lanciò un urlo, lungo quanto durò l'eclissi. Quando il sole scivolò fuori dalla luna e ricomparvero i colori e le ombre degli alberi, tutti si girarono dalla parte da cui quell'urlo era venuto: sotto il portico della cascina il Chirassun era steso in terra con la testa spaccata.

I brani sono stati segnalati da M. Bruschi

Documenti e disegni dell'eclisse dell'8 luglio 1842 osservata all'osservatorio astronomico di Brera (Milano)


Di questa eclisse totale parla Giovanni Virginio Schiaparelli nelle sue memorie.

" La mattina dell'8 luglio 1842, appunto nello svegliarmi, entra mia madre nella camera come un fulmine, gridando: " vieni a vedere l'eclisse!". Messi in fretta i calzoni, mi affacciai alla finestra; era. Il momento della totale disparizione del disco solare. Assicuro che, per ricordarmi del fatto, non ebbi bisogno di ricevere alcuna ceffata simile a quella che Benvenuto Cellini e del padre come ricordo della salamandra. Già nel secondo libro di lettura che si usava allora nella mia scuola, io avevo letto che, talvolta, la luna nasconde il sole, producendo oscurità in pieno giorno. Ora io la vedevo appunto come un disco nerissimo che copriva tutto il sole, intorno e circondata da una bella aureola. Dopo di aver seguito le varie fasi nel loro decremento, volli conservare memoria dell'avvenuto, con un disegno a colori. Più si accrebbe la mia meraviglia quando mi dissero che esistevano uomini capaci di predire tali fenomeni in giorno, ora e minuto. Egli, allora, il desiderio di esser uno di quelli, e l'ardita ambizione di essere partecipe ai consigli che governano l'universo".

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