Torna alla Home-Page


Home              Contattaci              Regolamento per gli autori e per chi vuole collaborare              Ultimi aggiornamenti nel sito


Cognizioni

DANTE ALIGHIERI

LA DIVINA COMMEDIA
CONVIVIO
COMMENTI


Purgatorio - Canto XXVII
Le macchie lunari
Zodiaco
Le comete
Trittico dantesco
La galassia
Le stelle cadenti
Le stelle del polo




La Galassia
Le comete


Forse...la Croce del Sud
di Paolo Bonavoglia
Un'aurora lunare in Italia?
di Pietro Torre
Astronomia e metafisica nello schema dantesco del Paradiso
di Clara Giovanetti



Purgatorio - Canto XXVII (1-6)

 

Sì come quando i primi raggi vibra
là dove il suo fattor lo sangue sparse,
cadendo Ibero sotto l’alta Libra,

e l’onda in Gange da nona riarse,
si stava il sole; onde il giorno sen giva,
quando l’angel di Dio lieto ci apparse.

Spiegazione letterale
Il Sole stava appunto nella posizione in cui sta quando sorge a Gerusalemme (dove morì colui che lo creò), mentre l’Ebro si trovava sotto la Libra e le acque del Gange erano riarse dall’ora meridiana (1); quindi (al Purgatorio) era il tramonto, quando l’angelo di Dio ci apparve.
Illustrazione astronomica
La situazione inversa di II, 1-9. Se a Gerusalemme il Sole vibra i primi raggi, alle foci del Gange, che è a 90° ad oriente, è mezzogiorno e al Purgatorio, che è antipode, è il tramonto; e se il Sole, che si trova nella costellazione dell’Ariete è alle foci del Gange, la notte, che si trova nella costellazione diametralmente opposta della Libra, è alle sorgenti dell’Ebro.

1. «Nona dicesi una parte dell’ufficio canonico che si recita a mezzodì, donde il traslato» (Steiner). Invece «nona» come termine orario corrisponde piuttosto alle tre pomeridiane.

Questa citazione si deve a Silvio Ulivelli delle Edizioni Remo Sandron in occasione della ristampa dell'opera "Commento astronomico della Divina Commedia" di Giovanni Buti e Renzo Bertagni, Edizioni Remo Sandron, che commenta tutti i passi astronomici della Commedia di Dante

orologio astronomico

Le macchie lunari
Beatrice spiega a Dante perché alcuni astri presentano delle diversità e in particolare perché si vedano delle macchie sulla superficie lunare. Se la differenza fosse causata da rarefazione e densità della materia in tutte le stelle vi sarebbe una sola virtù, distribuita in quantità diverse. Il secondo argomento opposto da Beatrice deriva dall'esperienza. Se le macchie fossero dovute alla rarefazione della materia ci sarebbero due alternative: la luna sarebbe bucata da parte a parte o sarebbe costituita da strati più o meno densi. Nel primo caso, sarebbe evidente nelle eclissi di sole; poiché la luna si trova tra il Sole e la Terra, i raggi solari dovrebbero attraversare quei buchi e le macchie risulterebbero luminose. Nel secondo caso, la parte densa dovrebbe ugualmente riflettere la luce del sole, come si può provare facendo un esperimento: mettendo davanti a noi due specchi ugualmente vicini ed un terzo un poco più lontano otterremmo questo risultato: l'immagine riflessa dal terzo specchio non sarà uguale, in grandezza, a quelle riflesse dagli altri due, tuttavia presenterà un' uguale luce, senza macchie.

Paradiso - Canto II

  64   La spera ottava vi dimostra molti
       lumi, li quali e nel quale e nel quanto
       notar si posson di diversi volti.

67   Se raro e denso ciò facesser tanto,
       una sola virtù sarebbe in tutti,
       più e men distributa e altrettanto.

70   Virtù diverse esser convegnon frutti
       di princìpi formali, e quei, for ch'uno,
       seguiterieno a tua ragion distrutti.

73   Ancor, se raro fosse di quel bruno
       cagion che tu dimandi, o d'oltre in parte
       fora di sua materia sì digiuno

76   esto pianeto, o, sì come comparte
       lo grasso e 'l magro un corpo, così questo
       nel suo volume cangerebbe carte.

79   Se 'l primo fosse, fora manifesto
       ne l'eclissi del sol, per trasparere
       lo lume come in altro raro ingesto.

82   Questo non è: però è da vedere
       de l'altro; e s'elli avvien ch'io l'altro cassi,
       falsificato fia lo tuo parere.

85   S'elli è che questo raro non trapassi,
       esser conviene un termine da onde
       lo suo contrario più passar non lassi;

88   e indi l'altrui raggio si rifonde
       così come color torna per vetro
       lo qual di retro a sé piombo nasconde.

91  Or dirai tu ch'el si dimostra tetro
       ivi lo raggio più che in altre parti,
       per esser lì refratto più a retro.

94   Da questa instanza può deliberarti
       esperïenza, se già mai la provi,
       ch'esser suol fonte ai rivi di vostr' arti.

97  Tre specchi prenderai; e i due rimovi
        da te d'un modo, e l'altro, più rimosso,
        tr'ambo li primi li occhi tuoi ritrovi.

100  Rivolto ad essi, fa che dopo il dosso
        ti stea un lume che i tre specchi accenda
        e torni a te da tutti ripercosso.

103  Ben che nel quanto tanto non si stenda
         la vista più lontana, lì vedrai
         come convien ch'igualmente risplenda.
Una vera lezione di cosmologia
Il Poeta invita il lettore a cercare nella vastità delle alte ruote il punto nel quale il moto diurno equatoriale dei corpi celesti da levante a ponente si incontra con il moto annuo o zodiacale dei pianeti da ponente a levante. Questo è il punto di incontro dell'equatore e dello zodiaco e corrisponde agli equinozi di autunno e di primavera. Il cerchio zodiacale, nel quale si muovono le orbite del sole e dei pianeti, appare inclinato rispetto al piano equatoriale. Tale inclinazione (che è di circa 23 gradi e mezzo) provoca sulla Terra il variare delle stagioni, perché in tal modo il sole e i pianeti non vengono a trovarsi sempre sulla fascia equatoriale, ma si spostano a nord e a sud di essa. Se lo zodiaco fosse parallelo all'equatore, si avrebbero estati, primavere e inverni perenni, rispettivamente nelle regioni equatoriali, temperate e polari. In tal modo le influenze dei cieli non potrebbero realizzarsi che in parte e i germi di vita potenziale sulla terra rimarrebbero senza sviluppo. L'ordine cosmico risulterebbe gravemente alterato (nella distribuzione dei climi, delle ore diurne e notturne, dei fenomeni meteorologici ) anche nel caso in cui l'inclinazione fosse maggiore o minore di quella normale.

Paradiso - Canto X

 

  7   Leva dunque, lettore, a l'alte rote
       meco la vista, dritto a quella parte
       dove l'un moto e l'altro si percuote;

10   e lì comincia a vagheggiar ne l'arte
       di quel maestro che dentro a sé l'ama,
        tanto che mai da lei l'occhio non parte.

13   Vedi come da indi si dirama
        l'oblico cerchio che i pianeti porta,
        per sodisfare al mondo che li chiama.

16   Che se la strada lor non fosse torta,
       molta virtù nel ciel sarebbe in vano,
       e quasi ogne potenza qua giù morta;

19   e se dal dritto più o men lontano
       fosse 'l partire, assai sarebbe manco
       e giù e sù de l'ordine mondano. …….



Purgatorio – Canto I

19   Lo bel pianeto che d'amar conforta
       faceva tutto rider l'oriente,
       velando i Pesci ch'erano in sua scorta.

22   I' mi volsi a man destra, e puosi mente
       a l'altro polo, e vidi quattro stelle
       non viste mai fuor ch'a la prima gente.

25   Goder pareva 'l ciel di lor fiammelle:
       oh settentrional vedovo sito,
       poi che privato se' di mirar quelle!

28   Com'io da loro sguardo fui partito,
       un poco me volgendo a l'altro polo,
       là onde il Carro già era sparito,

31   vidi presso di me un veglio solo,
       degno di tanta reverenza in vista,
       che più non dee a padre alcun figliuolo.

Da un articolo di Luigi Viazzo sulla Rivista Coelum




TRITTICO DANTESCO
Parole finali delle cantiche della Divina Commedia


Inferno
………….
136   salimmo sù, el primo e io secondo,
         tanto ch'i' vidi de le cose belle
         che porta 'l ciel, per un pertugio tondo.

139   E quindi uscimmo a riveder le stelle.

Purgatorio
…………
142    Io ritornai da la santissima onda
          rifatto sì come piante novelle
          rinnovellate di novella fronda,

145    puro e disposto a salire a le stelle.

Paradiso
………….
142    A l'alta fantasia qui mancò possa;
          ma già volgeva il mio disio e 'l velle,
          sì come rota ch'igualmente è mossa,

145    l'amor che move il sole e l'altre stelle.

Segnalato da Paolo Volpini



LA GALASSIA
Paradiso · Canto XIV

99     Come distinta da minori e maggi
          lumi biancheggia tra' poli del mondo
          Galassia sì, che fa dubbiar ben saggi;

102   sì costellati facean nel profondo
          Marte quei raggi il venerabil segno
          che fan giunture di quadranti in tondo.

La Via Lattea appare come una lunga striscia bianca che si snoda fra i due poli celesti. Nell'ambito di questa striscia sono, tuttavia, individuabili numerose stelle, più o meno luminose.
Nel mondo medievale circolavano diverse teorie sulla natura e la formazione della Via Lattea, che Dante raccoglie e discute nel Convivio


LE STELLE DEL POLO
Inferno - Canto XXVI



126     e volta nostra poppa nel mattino,
de' remi facemmo ali al folle volo,
sempre acquistando dal lato mancino.

129     Tutte le stelle già de l'altro polo
vedea la notte, e 'l nostro tanto basso,
che non surgëa fuor del marin suolo.

132     Cinque volte racceso e tante casso
lo lume era di sotto da la luna,
poi che 'ntrati eravam ne l'alto passo,

135     quando n'apparve una montagna, bruna
per la distanza, e parvemi alta tanto
quanto veduta non avëa alcuna.

Segnalazione di Francesco Mariotti

Ulisse vede ormai le stelle dell'emisfero australe, e non vede più o vede molto bassa la stella Polare tanto che essa non sorge dal mare. Egli dovrebbe quindi essere all'Equatore o averlo superato.

Cinque volte si era acceso e oscurato il lume della luna da quando erano partiti: erano trascorsi quindi cinque noviluni e cinque pleniluni, quindi 5 lunazioni.


 

LE STELLE CADENTI
Paradiso - Canto XV

13    Quale per li seren tranquilli e puri
         discorre ad ora ad or subito foco,
          movendo li occhi che stavan sicuri,

18    e pare stella che tramuti loco,
         se non che da la parte ond'e' s'accende
         nulla sen perde, ed esso dura poco...

 

LE COMETE
Paradiso - Canto XXIV

         Così Beatrice; e quelle anime liete
         si fero spere sopra fissi poli,
12     fiammando, volte, a guisa di comete.

 


CONVIVIO
La Galassia

Capitolo XIV
1
. Appresso le comparazioni fatte de li sette primi cieli, è da procedere a li altri, che sono tre, come più volte s'è narrato. Dico che lo Cielo stellato si puote comparare a la Fisica per tre proprietadi, e a la Metafisica per altre tre: ch'ello ci mostra di sé due visibili cose, sì come le molte stelle, e sì come la Galassia, cioè quello bianco cerchio che lo vulgo chiama la Via di Sa' Iacopo; e mostraci l'uno de li poli, e l'altro tiene ascoso; e mostraci uno suo movimento da oriente ad occidente, e un altro, che fa da occidente ad oriente, quasi ci tiene ascoso. Per che per ordine è da vedere prima la comparazione de la Fisica, e poi quella de la Metafisica.
2. Dico che lo Cielo stellato ci mostra molte stelle; ché secondo che li savi d'Egitto hanno veduto, infino a l'ultima stella che appare loro in meridie, mille ventidue corpora di stelle pongono, di cui io parlo. Ed in questo ha esso grandissima similitudine con la Fisica, se bene si guardano sottilmente questi tre numeri, cioè due e venti e mille.
3. Ché per lo due s'intende lo movimento locale, lo quale è da uno punto ad un altro di necessitade. E per lo venti significa lo movimento de l'alterazione; ché, con ciò sia cosa che, dal diece in su, non si vada se non esso diece alterando con gli altri nove e con sé stesso, e la più bella alterazione che esso riceva sia la sua di sé medesimo, e la prima che riceve sia venti, ragionevolemente per questo numero lo detto movimento significa.
4. E per lo mille significa lo movimento del crescere; ché in nome, cioè questo mille, è lo maggiore numero, e più crescere non si può se non questo multiplicando. E questi tre movimenti soli mostra la Fisica, sì come nel quinto del primo suo libro è provato.
5. E per la Galassia ha questo cielo similitudine grande con la Metafisica. Per che è da sapere che di quella Galassia li filosofi hanno avute diverse oppinioni. Ché li Pittagorici dissero che 'l Sole alcuna fiata errò ne la sua via e, passando per altre parti non convenienti al suo fervore, arse lo luogo per lo quale passò, e rimasevi quella apparenza de l'arsura: e credo che si mossero da la favola di Fetonte, la quale narra Ovidio nel principio del secondo di Metamorfoseos.
6. Altri dissero, sì come fu Anassagora e Democrito, che ciò era lume di sole ripercusso in quella parte, e queste oppinioni con ragioni dimostrative riprovaro. Quello che Aristotile si dicesse non si può bene sapere di ciò, però che la sua sentenza non si truova cotale ne l'una translazione come ne l'altra.
7. E credo che fosse lo errore de li translatori; ché ne la Nuova pare dicere che ciò sia uno ragunamento di vapori sotto le stelle di quella parte, che sempre traggono quelli: e questo non pare avere ragione vera. Ne la Vecchia dice che la Galassia non è altro che moltitudine di stelle fisse in quella parte, tanto picciole che distinguere di qua giù non le potemo, ma di loro apparisce quello albore, lo quale noi chiamiamo Galassia: e puote essere, ché lo cielo in quella parte è più spesso e però ritiene e ripresenta quello lume. E questa oppinione pare avere, con Aristotile, Avicenna e Tolomeo.
8. Onde, con ciò sia cosa che la Galassia sia uno effetto di quelle stelle le quali non potemo vedere, se non per lo effetto loro intendiamo quelle cose, e la Metafisica tratti de le prime sustanzie, le quali noi non potemo simigliantemente intendere se non per li loro effetti, manifesto è che 'l Cielo stellato ha grande similitudine con la Metafisica.
 

Le comete, (e Marte)

Trattato II - Capitolo XIII -

[...]si è che esso Marte, [sì come dice Tolomeo nel Quadripartito], dissecca e arde le cose, perché lo suo calore è simile a quello del fuoco; e questo è quello per che esso pare affocato di colore, quando più e quando meno, secondo la spessezza e raritade de li vapori che 'l seguono: li quali per lor medesimi molte volte s'accendono, sì come nel primo de la Metaura è diterminato. E però dice Albumasar che l'accendimento di questi vapori significa morte di regi e transmutamento di regni; però che sono effetti de la segnoria di Marte. E Seneca dice però, che ne la morte d'Augusto imperadore vide in alto una palla di fuoco; e in Fiorenza, nel principio de la sua destruzione, veduta fu ne l'aere, in figura d'una croce, grande quantità di questi vapori seguaci de la stella di Marte. [...]


INDEX

INVITIAMO I VISITATORI A SEGNALARCI ALTRE OPERE LETTERARIE ISPIRATE ALL'ASTRONOMIA. LE SEGNALAZIONI PIÙ INTERESSANTI SARANNO PUBBLICATE CON IL NOME DEL MITTENTE AL QUALE ANDRANNO I RINGRAZIAMENTI DELLA REDAZIONE.


Segnalazioni


Le opere presenti in questo sito sono state pubblicate senza fine di lucro 
e solo a scopo divulgativo o di recensione.


© Copyright Astrocultura UAI  2008