STELLE: LANTERNE NEL CIELO

Magnitudine assoluta e apparente

I corpi celesti presentano all'occhio luminosità differenti. C'è una profonda differenza tra la luce che ci giunge da una stella e quella che invece essa produce in modo intrinseco.

La quantità di luce che arriva sulla Terra, detta illuminamento (I), si può misurare con il fotometro e si definisce:

I = energia/ superficie tempo e la sua unità di misura è J/ cm² s.

La quantità di luce intrinseca si definisce invece luminosità (L), e si definisce: L = energia/tempo.

Il primo tentativo, puramente qualitativo, di misurazione della luminosità stellare si deve ad Ipparco di Nicea (II sec. a.C.); più che misurazione dell'intensità luminosa esso si deve considerare come una classificazione. Egli divise le stelle visibili ad occhio nudo in sei grandezze. Le stelle più luminose erano dette di prima grandezza (m = +1), quelle brillanti la metà di queste erano di seconda grandezza, e così via fino alla sesta grandezza (m = +6), al limite della visione umana (senza un telescopio o altri aiuti ottici). Il sistema prendeva in considerazione solo le stelle, e non considerava la Luna, il Sole o altri oggetti celesti non stellari. 

Tale sistema rimase valido fino al XIX secolo, quando con l'avanzare delle scienze astronomiche si richiedeva una maggiore precisione nella descrizione dei fenomeni, e quindi un metodo sicuro di misurazione della luminosità. Alla "grandezza" stellare venne sostituita la magnitudine. 
Nel 1856, Pogson formalizzò il sistema definendo una stella di prima magnitudine come una stella che fosse 100 volte più luminosa di una stella di sesta magnitudine. Perciò, una stella di prima magnitudine si trova ad essere 2,512 volte più luminosa di una stella di seconda. La quinta radice di 100 (2,512) è conosciuta come rapporto di Pogson.

 

La scala di Pogson fu fissata in origine assegnando alla stella Polare una magnitudine di 2. Gli astronomi hanno in seguito scoperto che la Polare è leggermente variabile, e non è quindi all'altezza del compito. Oggi Vega viene usata come stella di riferimento.

Formula di Pogson: mette in relazione l'illuminamento alla magnitudine:

ma - mb = -2,5 log Ia/ Ib

La scala utilizzata è dunque logaritmica: la luminosità relativa di due oggetti è determinata dalla differenza delle loro magnitudini. Per esempio, una differenza di 3,2 significa che un oggetto è circa 19 volte più luminoso di un altro, perché il rapporto di Pogson elevato alla potenza di 3,2 è 19,054607...

Con questo metodo dunque otterrò anche numeri con la virgola, ad esempio: la stella polare che con il vecchio sistema era classificata di seconda grandezza ora possiamo dire che ha una magnitudine di 2.19. Inoltre possiamo abbracciare oggetti e stelle molto meno luminosi di quelli che con la vecchia classificazione erano annoverati nella VI grandezza (cioé l'ultima), avanzando semplicemente con i numeri, possiamo così considerare anche quegli oggetti deboli visibili al telescopio e quindi di magnitudine 7, 8, 10, 15... fino alla magnitudine 30 e oltre, che è il limite attuale (1997) osservato dall'Hubble Space Telescope.

Di conseguenza possiamo estendere la scala anche agli oggetti celesti più luminosi della I grandezza: pianeti, meteore luminose, grandi comete, Luna e Sole. Per questi oggetti che sono più luminosi della magnitudine 1 si usano anche il numero 0 ed i numeri negativi, così possiamo misurare la luminosità della stella Sirio, che ha magnitudine (m) - (meno) 1.5, della cometa Hale-Bopp m = - 2.0 di pianeti come Giove m= - 3, Venere al massimo m= - 4.2, della Luna m= - 12.6 ed infine del Sole m= - 26.8.

Il rapporto di luminosità che intercorre tra il Sole ed il più debole oggetto osservato nell'Universo dal telescopio spaziale è di circa 1023, vale a dire 10 miliardi di trilioni, un valore veramente astronomico!

Quella fin ora considerata era però la magnitudine apparente (m) delle stelle ovvero quella visibile dalla Terra senza tenere conto della loro distanza dal punto d'osservazione. Infatti, come detto in precedenza, la luminosità apparente spesso non corrisponde alla luminosità reale: un oggetto estremamente luminoso può apparire molto debole, se si trova ad una grande distanza.

La magnitudine assoluta (M) di un oggetto è la magnitudine apparente che esso avrebbe se si trovasse ad una distanza di 10 parsec (32,616 anni luce oppure 3×1014 chilometri). Più semplicemente, è una misura della luminosità intrinseca di un oggetto, senza tenere conto delle condizioni in cui si trova l'osservatore.

Un'equazione matematica lega la magnitudine apparente con la magnitudine assoluta, nota la distanza dell'oggetto.

Conosciuta la magnitudine apparente (m) e la distanza dell'oggetto (d) è possibile calcolare la magnitudine assoluta (M):

M = m + 5 - 5 log d

Questa formula viene ottenuta grazie alla formula di Pogson infatti:

M - m = -2.5 log [I10 Parsec/ I d]

Ma dato che I = L/ 4p

Si ottiene M - m = - 2.5 log [d²/100]

Da cui M - m = - 2.5( log d² - log 100) = - 2.5 ( 2log d - 2) = 5 - 5log d

Molte stelle visibili ad occhio nudo hanno magnitudini assolute che sarebbero capaci di formare ombre da una distanza di 10 parsec: Rigel (-7,0), Deneb (-7,2), Naos (-7,3), e Betelgeuse (-5,6). Per confronto, Sirio ha una magnitudine assoluta di 1,4 e il Sole ha una magnitudine assoluta di circa 4,5. Le magnitudini assolute delle stelle in genere sono comprese tra -10 e +17.

Confrontando invece con le magnitudini apparenti (cioè quello che si vede osservando il cielo notturno), Sirio è

-1,4. Venere arriva a -4.3 al suo massimo e la Luna piena è -12. L'ultimo oggetto con una magnitudine comparabile alla magnitudine assoluta delle stelle nominate più sopra fu visibile come una supernova circa mille anni fa; il suo resto è la nebulosa del Granchio, M1. Gli astronomi cinesi riferirono di poter leggere usando la sua luce, di vedere ombre causate da essa e di poterla osservare durante il giorno.