L'ESPERIENZA
SOGGETTIVA DEL TEMPO
Dalla prima infanzia all'età adulta; dal presente come coscienza
al passato come memoria e al futuro come anticipazione. Una "geografia
del tempo" in culture diverse e in diversi ritmi di vita
La temporalità si può configurare come una dimensione fondamentale
dell'esistere.
Attraverso la dimensione della temporalità, l'uomo da un lato si
riconosce e si costruisce nel suo essere e nel suo divenire, dall'altro
si colloca e si pone in rapporto con il mondo degli altri soggetti e con
il mondo fisico. Ciascuno di noi, comparendo sull'orizzonte dell'essere,
si inserisce in un tempo che già c'è: un tempo storico e
un tempo cosmico. Queste due dimensioni interagiscono strettamente e continuamente,
e rappresentano, l'una per l'altra, condizione di possibilità dell'esperienza
e della conoscenza.
Le nozioni di tempo e di spazio, oltre ad essere le dimensioni entro cui
si collocano e si contestualizzano le esperienze del soggetto si possono
considerare le costruzioni culturali primarie intorno alle quali si sono
via via organizzati i diversi settori del sapere: nel tempo e nello spazio
il soggetto struttura la sua capacità di orientarsi, attiva il
processo di costruzione della sua identità personale, attraverso
una rete di relazioni fra soggettivo e sociale, fra società e natura,
fra presente e passato.
Il modello più antico è quello circolare, suggerito dall'alternarsi
del giorno e della notte, delle stagioni, delle fasi lunari; dal ritorno
delle costellazioni, ecc.). Il cerchio è finito e tuttavia su di
esso non si può fissare né un punto iniziale né uno
finale; lo si può percorrere all'infinito senza mai uscire da esso.
D'altra parte, eventi come la nascita e la morte, l'invecchiamento, il
deterioramento, a livello di vissuto ci fanno percepire la direzionalità
o irreversibilità del tempo. Queste esperienze inducono a privilegiare
la rappresentazione lineare del tempo rispetto a quella circolare. Tale
concezione genera però il bisogno di un ancoraggio. Questo è
possibile allacciando il tempo ad una sorgente che è fuori di esso,
una potenza divina che ha i caratteri della eternità (che equivale
all'assenza di tempo). L'uomo, senza rompere l'avanzamento lineare del
tempo, può spiritualmente tornare alle origini, quando scopre nel
mondo e in se stesso le tracce del divino, cioè della primitiva
sorgente dell'essere.
IL TEMPO NELL'ETÀ EVOLUTIVA
Nello studio dell'evolversi della temporalità è opportuno
tener conto, almeno nei primi anni di vita, di ritmi vitali spontanei
che di mano in mano vengono modellati in relazione alle esigenze ambientali,
ai condizionamenti della vita familiare e sociale.
I primi due anni di vita
Dai condizionamenti dei primi mesi di vita, gradualmente il bambino apprenderà
ad orientarsi nel tempo socializzato.
Si possono considerare un aspetto cognitivo ed un aspetto affettivo della
temporalità. Mentre il tempo soggettivo, con tutta la sua gamma
di differenze individuali, rimane più ancorato agli aspetti affettivi
dell'individuo, il tempo oggettivo è più strettamente legato
alla sua evoluzione cognitiva. Infatti sia nei soggetti con deficit intellettivi
che in quelli con turbe affettive sono presenti difficoltà di orientamento
nel tempo. Con la maturazione del soggetto il suo orizzonte temporale
si dilata progressivamente verso il passato e il futuro.
La nascita segna l'inizio dell'esistenza nel tempo. Nel neonato le tracce
temporali corrispondono ai ritmi vitali propri della specie. Il ritmo
è un dato fondamentale dell'esistenza del vivente. È come
se il neonato avesse un orologio interno che regola i processi biologici
La temporalità si viene strutturando ed evolvendo nel rapporto
dinamico tra il lattante con i suoi bisogni e l'ambiente circostante.
Il soggetto viene progressivamente a trovarsi immerso in una realtà
che è fondamentalmente temporale. L'ambiente costituisce un forte
agente condizionatore, con i suoi moduli e le sue cadenze. Ogni cultura,
ogni civiltà, impone le proprie cadenze.
All'inizio della vita la temporalità è vissuta a livello
inconscio come indistinzione fra Io e mondo.
Nel primo anno il soggetto vive in stretto rapporto con l'oggetto primario;
per lui non esiste né ieri né domani, ma solo il presente
vissuto come insoddisfazione-angoscia o come soddisfazione-gratificazione
derivante dall'oggetto. Quando la durata dell'attesa per la soddisfazione
dei bisogni supera il limite di tolleranza, il pianto diviene mezzo di
espressione del dispiacere e richiamo per l'adulto.
- Klein parla di angosce primarie di "annichilimento della vita",
e le ritiene provenienti dal lavorìo interno della pulsione di
morte.
- Bick presenta il trauma della nascita come una angoscia claustrofobica:
paragona il neonato ad "un astronauta che è stato sparato
fuori nello spazio senza una tuta spaziale".
- Tustin parla dei terrori primitivi in termini di "inondazioni",
di "cascate d'acqua", di "vortici", di "eruzioni",
ecc., e attribuisce la natura liquida e gassosa delle prime sensazioni
del Sé al vissuto intrauterino del feto, che è sospeso
nel liquido amniotico.
Nelle prime fasi dello sviluppo gli "oggetti" esterni sono vissuti
dal bambino come parte del suo corpo o come strettamente correlati ad
esso: si parla di "oggetti-sensazione", che inizialmente non
sono riconosciuti come distinti dal corpo. Il periodo precoce in cui gli
oggetti esterni e la madre sono vissuti come "oggetti-sensazione"
è chiamato "autismo primario normale". Le fasi di inevitabile
mancanza di soddisfacimento completo dei bisogni, permetteranno lo sviluppo
dei pensieri, delle memorie, delle immaginazioni.
Le "ferite narcisistiche" più primitive, le angosce arcaiche,
i vissuti di separazione si riparano e si mentalizzano nelle esperienze
cosiddette di "simbiosi normale", esperienze di comunicazioni
intense, di intensi scambi di sguardi e di sorrisi tra il piccolo bambino
e il suo oggetto materno.
D. Marcelli ha studiato, da un punto di vista più cognitivo che
psicanalitico, il ruolo di questa ritmicità nello sviluppo dei
pensieri. Egli pone la questione del modo in cui la funzione simbolica,
cioè la funzione del pensare, si introduce e si inserisce nel funzionamento
percettivo-sensoriale del neonato. Secondo Marcelli, l'elemento che permette
il collegamento tra il registro dell'attività percettivo-sensoriale
ed il registro dell'attività del pensiero simbolico è il
fattore "tempo". È la ripetizione, ossia la ritmicità
delle esperienze e degli scambi tra il neonato e la madre, che permetterà
l'organizzazione di queste esperienze secondo un riferimento temporale.
Marcelli avanza l'ipotesi che la prima attività di un pensiero
indipendente sia un pensiero sul tempo, ossia sulla successione temporale.
La ripetizione e la ritmicità delle esperienze, che costituiscono
la condizione indispensabile della loro prevedibilità, devono congiungersi
con la capacità di attenzione. La prevedibilità, associata
alla capacità di attenzione, determina la capacità anticipatoria,
che permetterà al neonato di mettere in corrispondenza tra loro
gli stati affettivi e di sviluppare un pensiero sul tempo. Le capacità
di attenzione, di anticipazione, di dilazione, si fondono in realtà
in un'unica capacità: quella di tollerare la frustrazione.
Per quanto riguarda l'emergere dell'aspetto cognitivo della temporalità
sono particolarmente interessanti gli studi di Piaget.
Questi vede la costruzione del tempo parallela a quella dello spazio e
complementare a quella degli oggetti e della causalità. Lo sviluppo
del tempo, parallelo a quello dello spazio, procede da un egocentrismo
radicale (per cui il tempo si confonde con le impressioni psicologiche
di attesa, desiderio, sforzo, soddisfazione o insoddisfazione, e gli avvenimenti
sono immobilizzati in un continuo presente) ad una obiettivazione tale
che gli avvenimenti si concatenano in un ordine che finisce con l'inglobare
i ricordi.
Primo e secondo stadio:
il neonato si mostra capace di due operazioni che interessano l'elaborazione
delle serie temporali:
1. sa coordinare nel tempo i suoi movimenti ed esegue certi atti prima
di altri in ordine regolare (ad esempio apre la bocca e cerca il contatto
prima di succhiare; dirige la mano verso la bocca e anche la bocca verso
la mano prima di introdurre le dita fra le labbra, ecc.);
2. sa coordinare nel tempo le sue percezioni e anche utilizzare l'una
come segno dell'altra (ad esempio gira la testa quando ode un suono e
cerca di vedere quello che ha udito). Agli occhi dell'osservatore, gli
atti del bambino sembrano ordinarsi nel tempo e sembrano tener conto della
successione degli avvenimenti. Si parla di ordinamento pratico o serie
pratica. In breve, la serie pratica, per quanto ordinata nel tempo dal
punto di vista dell'osservatore, resta globale e indifferenziata dal punto
di vista del soggetto.
Terzo stadio
1. il bambino diventa capace, in presenza di uno spettacolo interessante,
di produrre un effetto esterno concepito come condizione causale di questo
spettacolo.
2. Comincia dunque ad agire sulle cose e ad utilizzare le relazioni che
esse presentano tra di loro.
3. Il tempo comincia ad applicarsi alla successione dei fenomeni.
4. Il bambino percepisce l'ordine dei fenomeni nella misura in cui ne
è stato egli stesso la causa. Compare un inizio di localizzazione
dei ricordi nel tempo.
5. Nascita di una coscienza del tempo e una percezione del prima e del
poi, ma questa percezione rimane relativa all'attività propria
del soggetto.
6. Non esiste ancora dunque un tempo obiettivo: basta che i fenomeni percepiti
si succedano indipendentemente da lui perché il bambino trascuri
l'ordine del loro svolgersi.
Quarto stadio:
l'obiettivazione del tempo progredisce.
1. il tempo comincia ad applicarsi agli avvenimenti indipendenti dal soggetto.
2. Si osservano le prime serie obiettive,
3. il "prima" e il "dopo" danno affatto luogo ad ordinamenti
sistematici e continui,
4. il tempo è un prolungamento negli avvenimenti della durata soggettiva
inerente all'attività del bambino stesso,
5. la memoria del bambino comincia a permettergli di ricostruire brevi
sequenze di avvenimenti indipendenti dall'Io, ma non ancora la storia
globale dei fenomeni percepiti nel mondo esterno né la valutazione
della durata degli intervalli.
Quinto stadio (detto anche stadio delle serie obiettive, intorno all'anno
di vita):
1. il tempo supera definitivamente la durata inerente all'attività
propria per applicarsi alle cose stesse e costituire il legame continuo
e sistematico che unisce gli uni agli altri gli avvenimenti del mondo
esterno,
2. l'ordinamento del tempo non si applica più soltanto a qualche
avvenimento privilegiato, ma a tutto il campo percettivo.
Sesto stadio (stadio delle serie rappresentative):
1. l'elaborazione del campo temporale esige lo sviluppo delle rappresentazioni,
2. il soggetto diventata capace di rievocare i ricordi non legati alla
percezione diretta,
3. da questo momento in poi la durata propria è collocata in rapporto
a quella delle cose, il che rende possibile insieme l'ordinamento dei
momenti del tempo e la loro misura in relazione con i punti di riferimento
esterni.
Il periodo dai due ai tre anni
Green denomina il periodo dai due ai tre anni la fase del tempo dell'orologio.
1. il fanciullo si adegua spontaneamente e in gran parte al regime temporale
della vita adulta,
2. la dimensione di tempo in cui egli vive è la giornata con le
sue varie fasi e sequenze.
3. l'acquisizione del linguaggio (un elemento cardine dello sviluppo della
nozione temporale e contemporaneamente favorisce lo studio delle prospettive
temporali),
4. a due anni il bambino comincia ad usare vocaboli indicanti il futuro,
non utilizza ancora vocaboli riferentisi al passato, ma usa a volte a
sproposito il verbo al passato. In alcune prove, i soggetti di due-tre
anni hanno mostrato capacità di distinguere azioni passate e future
quando vengono usati tempi diversi.
5. a tre anni e mezzo diviene corretto l'uso dei tempi passato e futuro,
6. dal punto di vista pratico e personale, il bambino impara a controllare
sempre meglio i bisogni fisiologici e ad espletarli quando.
La seconda infanzia
Questa fase dello sviluppo, dai tre ai sei anni, è caratterizzata
dalla creatività e da un pensiero egocentrico.
1. A quattro anni è in atto l'orientamento nella giornata per quanto
attiene alla distinzione tra mattina e pomeriggio
2. intorno ai cinque anni il bambino comincia a chiedersi in termini operativi
quando un avvenimento è accaduto o potrà accadere, e a porre
questioni relative all'ora dell'orologio
3. il problema della successione (prima, poi; oggi, domani) si può
dire risolto, poiché all'uso di vocaboli temporali fa riscontro
l'acquisizione delle nozioni corrispondenti.
La terza infanzia
In questa fase, detta anche età scolare, che va dai sei agli undici
anni, l'aspetto temporale assume una grande importanza.
1. acquisizione dei codici base della vita sociale (lettura, scrittura,
calcolo) che consente al fanciullo una migliore interpretazione e comprensione
del mondo adulto,
2. ampliamento della competenza linguistica, che favorisce l'espressione
e la comunicazione interpersonale.
3. maturazione delle capacità intellettive che permettono operazioni
mentali sempre più complesse grazie ai processi di astrazione e
generalizzazione.
4. il fanciullo raggiunge la capacità di adeguarsi al tempo socializzato,
in cui domina il tempo oggettivo con i suoi parametri e i suoi strumenti
di misura, acquista la nozione di tempo con cui si intende la temporalità
nel suo aspetto più ampio, dal tempo nozionale inerente alla vita
sociale e alla cultura, all'utilizzo dei parametri convenzionali, al tempo
inteso come cambiamento e quindi implicante altre variabili come spazio
e movimento , al tempo come entità astratta che fluisce in maniera
lineare e continua.
L'adolescenza
1. Si instaura il pensiero logico-formale,
2. le operazioni formali permettono la formazione di un concetto di tempo
astratto che fluisce in maniera costante, lineare e irreversibile, a prescindere
dall'azione,
3. la maturazione della personalità, con i suoi tratti caratteristici
di introversione, di ricerca e scoperta dell'Io psichico, sottolinea l'aspetto
soggettivo del tempo, ossia il modo personale di vivere la temporalità.
4. dualismo fra tempo pubblico e tempo privato
5. si ha coscienza che vi sono tempi appena passati e tempi remotissimi,
un tempo in cui si è vissuti e dei ricordi che appartengono alla
propria esistenza. Per quanto riguarda la durata, vi è coscienza
che vi è un tempo dell'orologio e una durata soggettiva legata
agli eventi del momento e che le due valutazioni possono essere anche
non sovrapponibili, cioè discrepanti.
6. il passato individuale viene riconosciuto come facente parte dell'identità
personale e rivissuto con nuove connotazioni affettive, mentre il passato
collettivo acquista maggiore spessore attraverso l'apprendimento della
storia,
7. il futuro diviene il fulcro di aspettative più realistiche e
oggetto di programmazione con mete più o meno precise da raggiungere.
Nell'adolescente il futuro diviene proiezione delle proprie mete personali
e il passato oggetto di indagine introspettiva e di rielaborazione.
La nozione di tempo nell'età adulta
1. Si completa la scansione del tempo in passato, presente e futuro.
2. è evidente il rapporto di reciproca e mutua integrazione e dipendenza
delle tre dimensioni del tempo, nel senso che non vi è dubbio che
il futuro è radicato al passato quanto il passato necessita del
futuro.
3. in complesso l'orientamento nel tempo, oltre a risentire di situazioni
contingenti (come malattia, fatica, tono edonico) ed essere condizionato
da variabili esterne (come l'educazione, l'età, il sesso, lo status
sociale), si ha ragione di credere affondi le sue radici nella struttura
della personalità.
IL PRESENTE COME COSCIENZA
La dimensione temporale è una costruzione della coscienza. Cos'è
il presente? Si può rispondere che è attenzione della coscienza
ad eventi esterni e interni, elemento unico e onnicomprensivo, in quanto
ogni nostro pensiero e azione passa attraverso il presente, è l'insieme
di quanto stiamo percependo e vivendo come reale. Come afferma S. Agostino,
il presente contiene in sé ricordi del passato e anticipazioni
del futuro.
Vediamo il rapporto tra l'Io psichico o coscienza e la temporalità.
Ogni Io psichico è irrepetibile, e ad un certo punto della sua
evoluzione prenderà coscienza di sé. L'uomo prende coscienza
di essere identico solo a se stesso e diverso da tutti gli altri uomini.
Se la nozione di identità è strettamente connessa alla storia
dell'individuo e, in senso più lato, al passato della sua specie,
ne consegue che il tempo è la conditio sine qua non affinché
essa si affermi e si realizzi. Non si può concepire l'identità
al di fuori della dimensione temporale, così come non si può
concepire l'Io psichico a prescindere dalla durata. La temporalità
è quindi la primitiva e fondamentale caratteristica dell'Io psichico.
Essa poggia sui due cardini di continuità e durata: continuità
nel senso che l'Io riconosce il vissuto personale come proprio passato,
durata nel senso che l'Io è in grado di situarsi nel presente nella
consapevolezza di una prospettiva temporale limitata. Nel concetto di
identità è implicita la nozione del divenire, il che significa
possibilità di mutamenti, pur nella continuità. E ciò
vuol dire situarsi nel proprio tempo esistenziale, ma anche in un tempo
collettivo, storico. La continuità, cioè l'essere immerso
nella propria storia, è garanzia di identità nel senso che
l'Io non riscontra vuoti o lacune nel suo tempo esistenziale.
IL PASSATO COME MEMORIA
Che cos'è il passato? A questa domanda si può rispondere
in chiave filosofica ed esistenziale con S. Agostino che "il passato
è il presente delle cose passate, ossia il presente del nostro
spirito che si volge a ciò che non è più".
Il passato è una struttura organizzata prettamente umana, che caratterizza
la vita personale e che di solito viene rappresentata mediante una linea
in cui collochiamo gli avvenimenti secondo un prima o un poi e secondo
un nesso di causa ed effetto. Non è un fascio di ricordi, né
un magazzino in cui possiamo frugare a piacere, ma un tentativo di ricostruzione
della vita passata attraverso il filtro del presente. Il passato è
discontinuo e frammentario perché minato dall'oblio e dall'attività
selettiva della memoria, oltreché dalla vita di routine.
Come nel futuro, anche nella costruzione del passato sono presenti una
componente cognitiva e una componente affettiva legata agli aspetti motivazionali
più profondi della personalità. L'aspetto cognitivo si serve
degli strumenti di misura del tempo per ordinare i ricordi e collocarli
entro uno schema spazializzato; d'altro canto gli eventi vengono immagazzinati,
rimossi o condannati all'oblio a seconda della loro valenza affettiva.
LA MEMORIA
La memoria mostra una caratteristica eccezionale: essa può rendere
presente il passato; è una specie di evidenza inconfutabile che
il passato non è, almeno in qualche senso, qualcosa che "non
è più". S. Agostino invita a considerare la memoria
come il presente del nostro passato. Non suonerebbe troppo paradossale
affermare che "l'uomo è memoria", in quanto ciascuno
è il presente del suo proprio passato. Per ciascuno di noi, il
passato della nostra esistenza non è affatto "qualcosa che
non è più"; esso ci appartiene nel senso profondo che
è costitutivo del nostro essere, che ci fa essere ciò che
siamo, in quanto è il nostro tempo individuale, ossia la nostra
vita.
L'affermazione secondo cui l'uomo è memoria si applica all'anziano
come a colui che sta compiendo il suo ingresso nell'esistenza: quest'ultimo
non può avere "ricordi" personali, tuttavia viene al
mondo avendo già una memoria oggettiva, esistenziale. Ma questa
memoria collettiva è recepita, interpretata e vissuta da ciascuno
in modo unico, divenendo così parte integrante del suo tempo.
Sul tempo individuale si innesta il tempo storico, nel momento in cui
ogni uomo sente che il suo tempo è cominciato prima di lui, ma
che tuttavia è suo, in quanto senza di esso egli non riuscirebbe
a comprendersi e a dare un senso alla vita e alle cose. Nella prospettiva
che il presente contiene il passato come suo costitutivo ineliminabile,
il tempo storico diventa depositario di valori e di sensi. Quindi anche
il tempo storico, non meno che il tempo individuale, è un tempo
vissuto, quindi contrassegnato da tutte quelle connotazioni che caratterizzano
il vissuto umano e che, in particolare, gravitano nell'area dell'interpretazione,
del senso e del valore.
Dunque le connessioni fra passato e memoria sono ovviamente strette. Partendo
dal presupposto che non si può parlare di vita psichica là
dove non vi è apprendimento e memoria, non si può parlare
di passato senza presupporre la ritenzione di esperienze vissute. Vita
sociale e cultura sono strettamente dipendenti dal passato e quindi connesse
alla memoria.
In linea generale, la rievocazione del passato suscita nell'uomo emozioni
e reazioni differenti e relative alla qualità del ricordo e al
tipo di esperienza vissuta, mentre i reperti che permettono di ricostruire
alcuni momenti o tappe del cammino dell'umanità suscitano emozione
e interesse nello specialista o nell'uomo di cultura. Un eccessivo ancoraggio
al passato e alla storia può indurre alla passività e attenuare
la canalizzazione delle energie psichiche normalmente dirette verso il
futuro.
DALLA SOLITUDINE NEL PRESENTE ALLA
NOSTALGIA DEL PASSATO
La solitudine, nel presente, spesso porta ad uscire dal presente e tornare
al passato con nostalgia.
La nostalgia, che a differenza della solitudine, può essere un'esperienza
condivisa, è un aspetto comune dell'esperienza umana. La sua essenza
consiste nel desiderio di far ritorno ad un passato idealizzato. La persona
capisce che il passato non può mai essere recuperato. Se è
normale che chiunque si trovi ad essere allontanato dal proprio ambiente
abituale sperimenti un certo senso di vuoto, e una diminuzione di interesse
per il mondo esterno, il quadro diventa invece patologico quando la reazione
mostrata dal soggetto risulta eccessiva, come per esempio nel caso del
bambino. Un effetti un eccessivo attaccamento al passato favorisce il
sentimentalismo e induce ad un progressivo restringimento del campo di
coscienza. Ne è esempio il lavoro di Proust che tende alla ricostruzione
del tempo perduto rinunciando a vivere il presente e a progettare il futuro.
Egli considera il presente come antagonista del passato e nota che le
sensazioni corporee possono favorire il ricordo perché risvegliano
stati psicosomatici già esperimentati.
PASSATO E CULTURA: IL RICORDO
Il termine "rappresentazione mentale" è strettamente
collegato all'immaginazione, poiché in entrambi i casi non ci si
riferisce a dati percettivi presenti. Oltre alle immagini mestiche, le
rappresentazioni mentali, occorre tener presente anche l'attività
immaginativa relativamente libera rispetto al vissuto e che si esprime
nella creatività.
L'immagine mnestica più o meno vivida di un avvenimento accaduto
si può definire ricordo quando è possibile collocarla in
un contesto spazio-temporale; si può dire faccia parte del passato
del soggetto se si inserisce in uno schema di eventi.
Il passato è dunque uno schema spazio-temporale, il tentativo di
razionalizzare in maniera ordinata e soggettiva la sequenza della vita
vissuta, ovvero è l'organizzazione soggettiva impressa ai ricordi
con riferimento a parametri oggettivi e al significato attribuito al ricordo
stesso. Per lo più il ricordo è un insieme di immagini che
il soggetto connette per ricostruire un episodio della sua vita.
Oltre ai ricordi, al passato inerisce anche tutto quel bagaglio di conoscenze
ed esperienze che condizionano il presente, il bagaglio culturale che
l'adulto civilizzato possiede ed utilizza a livello inconscio in quanto
fa parte ormai della sua struttura mentale La conoscenza o cultura non
prevede ovviamente il ricordo o la rappresentazione mnemonica del contesto
spazio-temporale in cui la nozione è stata appresa.
Lo psicologo di maggior rilievo che ha tentato di costruire una teoria
sui fenomeni della memoria è, senza dubbio, Frederic Bartlett.
Questi parte dal presupposto che non si può studiare la memoria
se non in connessione con la percezione, il pensiero e la dinamica affettiva
del soggetto. Il ricordare è un'attività costruttiva che
poggia su schemi che sono in continuo mutamento, che presuppongono l'influenza
del passato e del pensiero. Il ricordo non è una copia dell'evento,
ma conoscenza e ricordo. La memoria è influenzata dagli atteggiamenti
e dagli interessi che hanno la loro radice nella vita affettiva ed anche
in fatti sociali, il processo mnemonico si può dunque sintetizzare
come interazione dinamica fra eventi e soggetto..
Piaget condivide la concezione di Bartlett della memoria come processo
attivo ed utilizza il concetto di schema applicandolo all'età evolutiva:
gli schemi si organizzano con l'avanzare dell'età e dello sviluppo
cognitivo, e di conseguenza i ricordi subiscono trasformazioni in dipendenza
dei mutamenti che avvengono negli schemi.
Rapaport concepisce la funzione mnestica come strettamente connessa alle
pulsioni e alla personalità. Vi è una organizzazione pulsionale
dei ricordi legata ai processi primari e una organizzazione concettuale
degli stessi dipendente dai processi secondari.
PASSATO PERSONALE
Da alcune ricerche sperimentali è risultato che i primi ricordi
risalgono ad un'età variabile dai due ai quattro anni. Gli stessi
dati emergono anche dalle indagini cliniche e dall'analisi di soggetti
nevrotici in Freud (egli ritiene che si tratti di ricordi di carattere
banale e pertanto li denomina "ricordi di copertura").
L'autenticità dei primi ricordi è dubbia, in quanto a volte
si tratta di fatti raccontati dai familiari. Lo stesso Freud afferma che
soltanto a partire dal sesto o settimo anno , o addirittura dal decimo,
è possibile una ricostruzione del passato nel senso di una catena
ordinata di eventi. I primi due o tre anni di vita, a suo avviso, per
quanto molto ricchi di esperienze affettive, sarebbero rimossi nell'inconscio
e soggetti all'oblio assoluto.
Sulla linea freudiana e sulla base dei presupposti del neurofisiologo
Glees, ai nostri giorni viene attentamente considerata l'età prenatale
in relazione a comportamenti psicopatologici nell'età adulta. Secondo
Graber, direttore dell'Istituto di psicologia prenatale di Vienna, è
possibile spesso correlare le conseguenze delle tracce mnestiche del periodo
embrionale-fetale, natale e neonatale sullo sviluppo della personalità,
e soprattutto in relazione ad alcune turbe nevrotiche. Ad esempio, claustrofobia
e agorafobia sarebbero corrispettivi di parto lungo e difficile o di nascita
prematura.
Interrogandosi sulla qualità dei ricordi infantili, l'adulto ritrova
immagini mnestiche piuttosto vaghe e poco delineate (tipo flash). Caratteri
meglio delineati possono avere i ricordi della fanciullezza, più
chiari, ma altrettanto puntuali e circoscritti a particolari elementi.
Per intravedere sequenze più lunghe, occorre addentrarsi nei ricordi
dell'adolescenza (periodo delle operazioni formali). Nell'età adulta
i ricordi vengono riferiti a sequenze di episodi. Gli episodi destinati
a lasciare tracce persistenti spesso hanno avuto una profonda risonanza
nella sfera affettiva.
La memoria trattiene anche materiale in attesa di essere interpretato.
Una delle ipotesi più accreditate a questo proposito è quella
di Greeg di trasformazioni che avvengono nel deposito mnestico (in relazione
ad una diversa prospettiva di interessi, bisogni e valori, determinati
dall'avanzare dell'età e dall'acquisizione di nuove esperienze).
L'OBLIO, CIOÈ IL CONTRARIO DEL
RICORDO
Le tracce su cui si ricostruisce il passato sono minate dall'oblio che
si presume sia il frutto di un complesso di fattori quali il decadimento
autonomo delle tracce, l'interferenza del presente che avanza, il mutamento
di bisogni e interessi, la rimozione di contenuti conflittuali.
Una trattazione della costruzione del passato, il cui fondamento è
il ricordo, non può prescindere dal suo contrario, che è
l'oblio, in termini patologici denominato amnesia (l'amnesia e il disorientamento
temporale sono indici di disturbo della personalità).
I tentativi di interpretazione del fenomeno della dimenticanza, che determina
forti lacune e una forte perdita di eventi del passato, si possono ricondurre
alle quattro correnti principali della psicologia. Ciascuna di esse non
esaurisce il problema.
1) TEORIA DEL DECADIMENTO DELLE TRACCE.
È la più antica e la più comune spiegazione dell'oblio,
sostenuta da Platone, Aristotele e Cartesio. Il tempo tende ad indebolire
le tracce e le associazioni fra di esse. A questo principio l'esperienza
comune può facilmente obiettare che molto spesso esperienze recenti
risultano più sfuocate che ricordi lontani e perciò questo
principio è forse applicabile a materiale "neutro".
2) TEORIA DELL'INTERFERENZA. Secondo
questa teoria le tracce potrebbero teoricamente essere conservate all'infinito
se altre tracce non venissero a sovrapporsi ad esse. Alcune ricerche sperimentali
dimostrano , a favore di questa teoria, che la ritenzione è migliore
dopo un periodo di riposo trascorso nel sonno che dopo un intervallo di
normale attività.
3) TEORIA DELLA GESTALT. Questa dottrina
pone l'accento sul concetto di struttura. Il soggetto struttura il materiale
secondo schemi personali e sociali.
4) TEORIA PSICANALITICA. L'approccio
clinico, tipico di questa teoria, si applica al vissuto di esperienze
traumatizzanti o socialmente non accettabili. Poiché queste esperienze
generano ansia e rischiano di compromettere l'equilibrio psichico, l'individuo
mette in atto un meccanismo di difesa, quello della rimozione. La rimozione
viene attivata anche per le esperienze della prima infanzia, che sono
legate a impulsi sessuali e aggressivi. La censura mantiene nell'inconscio
i suddetti contenuti di coscienza, condannandoli all'oblio. L'oblio è
impossibilità di rievocazione. Schachtel sostiene che l'oblio non
si può spiegare col meccanismo della rimozione, in quanto si dovrebbe
supporre che tutto il materiale infantile sia sgradevole. Sembra più
plausibile l'ipotesi che la memoria utilitaristica dell'adulto non possa
servire a ricordare le esperienze infantili. Infatti le categorie della
memoria adulta non sono idonee a ritenere le esperienze infantili. La
vita del bambino è informata al principio del piacere, mentre quella
dell'adulto obbedisce al principio di realtà.
DAL PASSATO PERSONALE AL PASSATO COLLETTIVO
Considerando il passato personale e quello collettivo e i loro rapporti,
si possono individuare diverse categorie di eventi che dalla sfera personale
procedono verso il sociale:
a) ricordi o memorie familiari
b) ricordi o memorie ambientali
c) ricordi o memorie di gruppi
d) ricordi o memorie di popoli o nazioni.
Le memorie del passato sono numerosissime e collegate alla storia di altre
nazioni. Qualunque sia il grado di cultura di un determinato popolo, i
ricordi della storia personale e collettiva hanno grande rilevanza, e
ciò risulta evidente dal senso di estraneità che individui
e gruppi avvertono quando si trasferiscono in un altra nazione. I sociologi
ed alcuni antropologi sostengono che vi sia una memoria di gruppo, ma
ciò rimane a livello intuitivo.
Nella concezione junghiana di incoscio collettivo è implicita l'idea
della conservazione del passato come insieme di elementi primitivi e comuni
a tutta l'umanità. Jung tuttavia ammette differenziazioni della
psiche in relazione alla razza, alla tribù, alla famiglia. Gli
archetipi sono al di sopra di queste differenziazioni , perché
rappresentano un modo universale di simbolizzare la realtà.
IL FUTURO COME ANTICIPAZIONE
Il futuro è una costruzione prettamente umana derivante dalla
capacità di immaginare dei cambiamenti prossimi e lontani o di
programmare azioni a breve o a lungo termine. Esiste un periodo, la cui
durata è estremamente incerta, che si estende dall'oggi alla conclusione
dell'esistenza, entro il quale la fantasia può organizzarsi anticipando
le evenienze possibili.
Bisogna distinguere l'attesa dall'anticipazione. Attesa è quella
del neonato che si protende per succhiare il latte alla vista del biberon
o del seno materno. Ma solo l'anticipazione è un processo tipicamente
umano, poiché "rivela la capacità di prevedere o predire
eventi futuri, anche quando non vi siano eventi esterni direttamente o
indirettamente collegati a quegli eventi" (Arieti).
Sulla base dell'attesa e dell'anticipazione si sviluppa l'angoscia o la
speranza. Nel concetto stesso di azione è implicita l'idea di un
fine da raggiungere e pertanto una protensione nel tempo. La protensione
nasce dalla motivazione, che costituisce la molla dinamica che collega
i tre aspetti del tempo: essa nasce nel passato, passa attraverso il presente
e modella il futuro. Così il tempo che l'uomo ha davanti a sé
non è più un elemento sconosciuto generatore di angoscia,
ma un bene prezioso, lo strumento indispensabile attraverso cui raggiungere
importanti obiettivi, ciò che consente di realizzare la propria
personalità e di soddisfare bisogni fondamentali dell'esistenza.
S. Agostino definisce il futuro come "il presente delle cose future",
ossia come propensione dell'anima verso ciò che non è ancora,
quindi come anticipazione degli eventi, e pertanto come costruzione tipica
della mente umana.
In termini scientifici il futuro si può definire come tempo strutturato,
poiché esso trova supporto in schemi di riferimento oggettivi e
in rappresentazioni mentali derivanti dall'esperienza. In questa definizione
si possono intravedere le due interpretazioni di base del futuro:
accentuazione cognitiva, per cui il futuro è un complesso
di rappresentazioni mentali suffragate da esperienze passate,
accentuazione motivazionale-affettiva, che s'innesta sulla proiezione
di bisogni. La necessità di integrazione fra i due fattori appare
evidente se si considera la motivazione come processo da cui scaturiscono
rappresentazioni mentali strettamente connesse con la vita affettiva del
soggetto.
DIMENSIONE SPAZIO-TEMPORALE E
PERSONALITÀ
Uno studio molto valido è quello di A.J. Rabin, in cui l'autore
prende in considerazione la prospettiva verso il futuro e la forza dell'Io.
Secondo le teorie del Self, di derivazione psicoanalitica, fra le funzioni
tipiche dell'Io risultano la capacità di dilazionare e anticipare.
Pertanto il controllo dell'impulsività, ossia la capacità
di posporre bisogni e gratificazioni, è indice di un Io ben strutturato,
mentre l'impulsività è da considerare come una disfunzione
dell'Io.
In molte condizioni di patologia neuropsichica dell'uomo sembra di vedere
come con una lente d'ingrandimento fasi temporanee dello sviluppo normale.
Ogni condizione patologica ha una sua specifica caratterizzazione spazio-temporale.
La depressione clinica è una reazione anomala alle difficoltà
esistenziali. Nella depressione vi è la sensazione di sospensione
del tempo. Il tempo sembra non trascorrere mai; si attende vagamente "qualcosa"
e nello stesso tempo si è incapaci di sopportare questa attesa.
Come afferma lo psicanalista P. Male, il paziente con depressione si rifiuta
di investire il mondo degli oggetti, degli esseri; per lui "niente
non serve a niente", il mondo è vuoto.
F. Ladame parla di una rottura nel sentimento di continuità, cui
si accompagna l'angoscia terrificante del deserto mentale, del nulla.
Questa poesia, di una adolescente di 18 anni con depressione clinica,
comunica con grande efficacia il vissuto depressivo:
Io mi guardo
e non vedo niente.
un viso senza nome,
senza forma, senza sguardo.
Io sono sola
ho perso la nozione del tempo
con la quale vivevo
ho dimenticato la nozione di vita
nella quale io credevo
Il soggetto con psicosi sembra incapace di sperimentare sensazioni, sentimenti
e fantasie e si trova imprigionato in un mondo freddo, immobile, eterno.
Nelle psicosi vi è un'alienazione totale delle dimensioni personali
dello spazio e del tempo. Nel mondo della psicosi è difficile introdurre
la dimensione del tempo, sia del tempo cronologico sia del tempo come
cornice entro cui collocare le esperienze perché possano assumere
la valenza di ricordi. Il tempo psicotico non sembra poter uscire dalla
dimensione dell'oscillazione e della circolarità.
Per questi pazienti sembra non esistere lo spazio dentro di sé
e non viene tollerato lo spazio tra sé e l'altro, necessario per
lo stabilirsi di una comunicazione.
Pensiamo ai soggetti con psicosi autistica. Questi pazienti esprimono
un esasperato bisogno di immutabilità, che si manifesta con un
rifiuto ossessivo e angosciato di ogni cambiamento dell'ambiente circostante.
Con il loro bisogno disperato di esperienze sempre uguali (pensiamo ad
esempio ai movimenti stereotipati), con il loro terrore per tutto ciò
che è sconosciuto, questi pazienti sembrano essersi fermati allo
stato di neonati. Come i neonati essi hanno bisogno di un ambiente protetto
e semplificato, dove le esperienze nuove devono essere presentate con
estrema cautela.
UNA "GEOGRAFIA DEL TEMPO"
Il ritmo che scandisce la nostra vita quotidiana marca una profonda differenza
nella nostra condizione esistenziale.
Nella teoria musicale, il termine tempo si riferisce al ritmo o velocità
alla quale un pezzo viene eseguito. Il tempo musicale, come il tempo dell'esperienza
umana, è estremamente soggettivo. All'inizio di ogni brano musicale
classico il compositore inserisce un'annotazione non quantitativa di tempo:
largo o adagio (per suggerire un tempo lento), allegro o presto (per tempi
veloci), accelerato o ritardato (per tempi variabili). La stessa cosa
è vera per il tempo umano. Si possono anche suonare le stesse note
nella stessa sequenza, ma rimane sempre questa questione del tempo. Dipende
dalla persona, dal compito e dall'ambiente.
Le ricerche di Levine ruotano intorno all'idea base che il tempo caratterizzi
in modo implicito ma fondamentale non solo le vite individuali, ma anche
le impronte distintive delle diverse culture. Questo spiega il comportamento
in funzione sia dell'individuo sia dell'ambiente in cui vive. La percezione
e la gestione del tempo quotidiano cambiano in funzione del modo in cui
ogni cultura imprime nei suoi componenti, al di là della loro stessa
consapevolezza, il senso dello scorrere del tempo.
Le osservazioni di Levine sull'individuazione e misurazione delle differenze
tra luoghi "lenti" e luoghi "veloci", si traducono
in una proposta di avvicinamento tra culture diverse. Le culture che marciano
al tempo dell'orologio sono altamente prevedibili e razionalizzano i tempi
lavorativi e i tempi dell'attesa; ma le culture che marciano al tempo
degli eventi o della natura sono in genere più rispettose dei periodi
di incubazione e di preparazione, che appaiono "vuoti" ai nostri
occhi troppo efficienti, e sono più attente al tempo "perso"
nell'attesa o in interazioni sociali non immediatamente finalizzate.
Spesso siamo sconcertati dall'apparente bizzarria di una cultura differente
dalla nostra, ma, più in generale, da tutto il relativismo culturale
del tempo e dalla relatività della nostra stessa cultura. Quello
stesso tempo, che ad un occidentale può sembrare "vuoto"
o "perso" (ad esempio in una lunga conversazione intorno ad
una tazza di tè), può essere segno di cortesia e di volontà
di conoscenza reciproca per un indiano. Il modo in cui ci muoviamo nel
tempo è, in fin dei conti, il modo in cui viviamo le nostre vite.
Lo studio delle costruzioni temporali di un popolo offre una preziosa
prospettiva per cogliere la psicologia della sua cultura, ed anche della
nostra.
Il ritmo di vita ha molte sfaccettature e trascende le semplici misure
di velocità o lentezza.
Per il fisico, la durata di un secondo è precisa e non ambigua.
Nel campo dell'esperienza psicologica, invece, quantificare un'unità
di tempo è una operazione considerevolmente più rozza. L'orologio
psicologico, o la velocità alla quale si ha l'impressione che il
tempo passi, è distorto da una moltitudine di fattori psicologici,
ognuno dei quali può avere effetti profondi sul modo di percepire
il ritmo della vita.
Le differenze individuali aggiungono ancora ulteriore complessità
al problema della precisione nella percezione del tempo. Ad esempio, gli
estroversi sono più precisi nello stimare il tempo rispetto agli
introversi. Per alcune persone, la distorsione della durata del tempo
è un'abilità che viene coltivata, è una strategia
attiva e cosciente per controllare il ritmo degli eventi. Pensiamo ai
maestri buddisti e, in un ambito completamente diverso, agli atleti particolarmente
dotati. Nello Zen l'estremo rallentamento del tempo è una sensazione
completa di assenza di tempo (nirvana).
Molti studi psicologici hanno dimostrato che l'espansione temporale è
una capacità facilmente alla portata dei comuni mortali. Ma c'è
anche un lato oscuro della dilatazione temporale. Rallentare il tempo
non è sempre un dono. Come tutti sanno, la sensazione di avere
troppo tempo può essere estremamente oppressiva. Quando la durata
sembra troppo lenta, la vita viene percepita come semplicemente noiosa.
Per definizione, una delle caratteristiche della noia è una mancanza
di interesse in qualsiasi cosa accada, che, a sua volta, ci priva dell'energia
che serve a creare lo stimolo necessario a sospingere la velocità
con cui passa il tempo ad un livello più piacevole.
GLI SBALZI TEMPORALI
I fisici hanno stabilito che il tempo dell'universo - il suo scorrere
dal Big Bang ad oggi - non è stato fluido e continuo. Fondamentale
per la teoria della relatività di Einstein è l'aver capito
che il tempo non è assoluto. A livello subatomico, è chiaro
che le particelle si muovono sia indietro che avanti nel tempo. Ogni particella,
secondo la teoria del campo, ha il proprio schema ritmico di energia e
la nuova fisica descrive il movimento del tempo fisico come accidentato.
Sbalzi nello spazio, nello spazio-tempo, derivano dalle dinamiche dell'attrazione
gravitazionale.
Lo stesso può essere detto per l'esperienza psicologica della durata
nel tempo sociale. A differenza dell'apparentemente invariabile movimento
del tempo sull'orologio, il flusso del tempo psicologico è più
accidentato in certi momenti e più uniformemente fluido in altri.Vivere
il tempo degli eventi
VIVERE IL TEMPO DEGLI EVENTI
Si può vivere secondo il tempo degli orologi e secondo il tempo
degli eventi. Quando il tempo degli eventi predomina, gli orari sono determinati
dalle attività.
Secondo gli studi del sociologo R. Lauer, quando le persone del tempo
degli eventi ascoltano l'orologio, sentono l'orologio della natura. Le
culture del tempo dell'orologio danno, invece, per scontata la realtà
del tempo come fisso, lineare e misurabile. Per esse il tempo è
denaro.
Quando predomina il tempo degli eventi, il modello economico del tempo
dell'orologio ha poco senso. Il tempo e il denaro sono entità indipendenti.
Coloro che seguono il tempo degli eventi, sostengono che il tempo non
dovrebbe essere sprecato in rapporto al denaro, ma dovrebbe essere messo
a disposizione per le persone che entrano a far parte della propria vita.
Le culture che seguono il tempo dell'orologio tendono ad essere meno flessibili
nel modo di programmare le loro attività. Alle persone che vivono
in queste ultime piace concentrarsi su una attività alla volta
secondo una sequenza lineare (persone monocroniche). Coloro che invece
seguono il tempo degli eventi tendono a preferire un'organizzazione policronica
in cui prevale l'inclinazione o l'ispirazione di passare da un'occupazione
ad un'altra.
È però troppo semplicistico considerare il ritmo lento come
sinonimo di salutare e il ritmo veloce come nocivo, i valori culturali,
specialmente valori così profondi come quelli riguardanti il tempo,
raramente si dividono in categorie così ben distinte di buono e
cattivo. Il ritmo di vita ha, in effetti, conseguenze fondamentali per
la qualità della vita e proietta la sua ombra sulla salute fisica
e psicologica degli individui e sul benessere sociale delle comunità,
ma le conseguenze sono molto spesso un misto di buono e di cattivo.
IL BENESSERE FISICO
È stato scoperto che persone con malattie delle coronarie sono
inclini ad una sindrome comportamentale caratterizzata da un senso di
mancanza di tempo, ostilità e competitività Non è
sempre detto, però che un tempo veloce sia sinonimo di stress e
malattia, vi sono soggetti che, pur avendo un ritmo di vita molto elevato,
sono moderati per il resto (alcool, fumo, ecc.), ed inoltre se il ritmo
veloce è inserito in una rete di valori, questo attutisce lo stress.
IL BENESSERE PSICOLOGICO
Sembra ragionevole ipotizzare che un lento ritmo di vita renda anche
le persone più felici. Le culture che enfatizzano la produttività
creano un senso di mancanza di tempo e un sistema di valori che favorisce
il pensiero individualistico. Tutto ciò ha conseguenze sia positive
sia negative per il benessere delle persone: il numero di suicidi e il
benessere psicologico sono entrambi più alti in culture individualistiche.
A favore di un ritmo veloce è per esempio che le persone con un
ritmo di vita veloce possono essere capaci di trovare il tempo per gli
altri. Un ritmo di vita lento non garantisce affatto che la gente investirà
il tempo così risparmiato per mettere in pratica un comportamento
sociale ideale.
Il filosofo ebreo A. Herschel osservava : "Sei giorni a settimana
per dominare il mondo, il settimo giorno per dominare se stessi [
]
Nell'oceano tempestoso del tempo e del lavoro ci sono delle isole di immobilità,
dove l'uomo può approdare ad un porto e reclamare la sua dignità.
L'isola è il settimo giorno, il Sabbath, un giorno di distacco
dalle cose, dagli strumenti e dagli affari pratici e anche di devozione
allo spirito".
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