IL
TEMPO NELLA LETTERATURA MODERNA
ALESSANDRO MANZONI
Il poeta inizia osservando la storia e in particolare concentra l'attenzione
sul comportamento del singolo individuo, analizzando a fondo i motivi
che determinano le sue azioni e passioni, come si vede nelle sue principali
opere come Napoleone, il Conte di Carmagnola, Ermengarda ed I promessi
sposi.
Scavando così nell'animo dei personaggi Manzoni comprende lo scopo
ultimo della vita e, di riflesso, le vicende della storia passata, come
si vede bene nei "Promessi sposi" dove tutte le storie finiscono,
poi, per avere uno scopo a tempo dovuto e anche la più apparentemente
insignificante di queste partecipa alla realizzazione di un disegno divino
che, alla fine, dà una spiegazione a tutto.
In pratica il tempo serve a dare un senso alla vita: ci permette di sviluppare,
o comunque dì vedere sviluppato, un progetto superiore ai nostri
limitati orizzonti, che solo nella sua evoluzione chiarisce il suo scopo;
a noi, poi, il compito di dedurne la causa, l'effetto e il fine. Al Manzoni
interessa proprio il tempo perché ci permette di vedere i veri
valori che danno un senso e un fine alla nostra presenza nel mondo.
Con il Manzoni non assistiamo alla contrapposizione tra la realtà
del poeta (quella verticale) e il tempo, poiché questo è
lo strumento necessario affinché la realtà sveli il suo
significativo messaggio; così ne consegue che tutto sembra avere
un senso a suo tempo.
Il tempo non è un "reo tempo", come sarà invece
per il Leopardi, per il Manzoni si parla di un tempo provvidenziale, perché
ci permette di credere e di sperare.
Anche nei casi in cui il dramma personale è tale da non farci vedere
via di uscita (come in Napoleone o in Ermengarda), per il M. è
aperta la porta del paradiso, secondo una regola del dare e del ricevere
che non ci vede mai perdenti; pertanto se il male subito non si riscatta
in terra, come avviene a Renzo e Lucia, è certo che dopo la vita
avremo qualcosa di ancora più grande, "che i desideri avanza".
Ecco quindi il punto centrale della poetica manzoniana: il tempo non termina
mai, continua anche dopo la nostra vita terrena ed il vero possesso della
realtà, l'infinito tangibile, l'attimo eternità si potrà
avere solo dopo la morte, perché non fa parte delle cose di questo
mondo. Nel Manzoni non c'è lotta contro il tempo perché
questo non porta la fine definitiva di tutto, ma solo della parte fisica,
la meno importante; il tempo significa la fine di tutto solo per chi non
ha avuto la forza o la volontà di credere, come Don Rodrigo, perché
a tutti è data una opportunità di cambiare vita seguendo
altri criteri, come dimostrano le storie di Fra Cristoforo, dell'Innominato
e del Manzoni stesso, con la conversione.
Il M. ha osservato attentamente la storia e cercando le ragioni del dolore,
tra gli umili, nelle situazioni disperate, ha trovato quella forza per
andare avanti che proviene dalla certezza che il nostro travaglio terreno
abbia un senso: la forza che nasce dalla certezza.
Il Leopardi, al contrario, nel cercare una definizione della felicità,
ha trovato il deserto della non risposta, l'indifferenza del tutto, anche
del suo stesso dolore.
Il Manzoni dallo studio della storia trae la conclusione che il tempo
serve a dare uno scopo alla sofferenza e che questa, quando ha un senso
ed una fine, non è più una sofferenza; la prova evidente
è che il dolore, una volta passato, diventa una componente che
arricchisce il presente e lo rende ancor più piacevole.
Sarebbe come osservare al microscopio un piccolo oggetto: esso ci apparirà
enorme, mostruoso, ma sarà sufficiente allontanare l'occhio dalla
lente per riportare il piccolo particolare al complesso maggiore di appartenenza
e allora il piccolo "mostro" rivelerà la sua vera natura
e funzione.
Allo stesso modo il tempo ci permetterebbe di staccare l'occhio dalla
lente e valutare le cose nella loro interezza, senza l'emotività
che suscita in noi la percezione fugace di un particolare.
GIACOMO LEOPARDI
In un primo momento per il Leopardi il tempo è una forza negativa,
antagonista delle speranze umane, che distrugge in continuazione e senza
motivo ciò che creiamo e tutto quello in cui crediamo.
In seguito però si distaccherà da questa visione "foscoliana"
e troverà nel tempo un prezioso alleato per arrivare alle risposte
che sta cercando, infatti diviene l'elemento che gli permette di vedere
l'inutilità del presente e dimostrare lo sbaglio del passato e,
di conseguenza, l'inganno della vita.
L'uomo può ingannare il tempo impossessandosi di quella parte di
passato che ci interessa particolarmente conoscere e poi, grazie al ricordo,
conservarla e mantenerla viva, sottraendola alla istantaneità che
il tempo conferisce a tutte le cose.
Per il Leopardi assume particolare importanza il concetto di "rimembranza",
per usare un suo termine, intendendo che nel ricordo c'è qualcosa
in più, di struggente e suasivo, che rende piacevoli anche le cose
negative.
In effetti con il ricordo possiamo fermare il tempo e in questa ideale
situazione tanto le gioie come i dolori perdono la loro consistenza, diventano
puri, oggettivi modi di essere e non possono pertanto farci soffrire.
Il tempo inizia ad assumere il ruolo del vero responsabile dei nostri
piaceri ed affanni.
Nel "Sabato del villaggio" il Leopardi descrive una situazione
di festa: la vecchierella è contenta "novellando del suo buon
tempo" la donzelletta è entusiasta per quello che deve ancora
venire, abbiamo due esempi in cui la felicità del momento poggia
su delle certezze che risiedono nella dimensione del passato e del futuro.
Ma il tempo, cosi carico di aspettative che noi con la nostra fantasia
costruiamo nel prima o nel poi, non solo non viene mai, ma, se messo alle
strette, ci sopprime, a riprova del fatto che non sa e non può
perdere, come vediamo in "A Silvia", la quale "crolla all'apparir
del vero", oppure nel vecchierello del "Canto notturno",
che trova come punto d'arrivo al suo faticoso percorso "l'orrido
abisso" che pone fine alle sue sofferenze e al suo tempo.
Da queste considerazioni nasce la conclusione che sarebbe saggio non vivere
il tempo, ma lasciar scorrere la vita standosene seduti su di un sasso,
come fanno gli orientali, e lasciarla passare senza provare alcuna speranza
o emozione, in maniera apatica, poiché solo cosi evitiamo la delusione
di vedere annullato tutto quello che di bello abbiamo immaginato.
A questo punto però abbiamo la svolta: il crudele tempo ci ha,
si, distrutto le speranze del passato, ma ci ha anche svelato la verità,
quella oggettiva, che generalmente è nemica della poesia, ma che
per lui, a quel punto, rappresenta l'unica certezza, l'unica strada da
seguire per dare un senso ed un fine ad una, ricerca che gli è
costata il prezzo della vita: se il tempo distrugge con il presente tutte
le speranze del passato, il poeta può ragionevolmente affermare
l'inutilità del futuro e addirittura usarlo come strumento di verifica
della sua teoria.
A complicare ulteriormente le cose c'è da dire che se per il Foscolo
la dimensione verticale della poesia veniva in aiuto al poeta sottraendolo,
anche se momentaneamente, alla tirannia del tempo, per il Leopardi la
poesia non deve ingannare chi la scrive e chi la legge (e su questo punto
è polemico contro l'ottimismo dei contemporanei) ma deve inevitabilmente
registrare il fallimento anche di se stessa, in quanto incapace di fornire
risposte concrete ai bisogni innati dell'uomo.
L'INFINITO
La poesia esprime mirabilmente l'ansia romantica di superare il limite
razionale delle cose materiali per proiettarsi nella dimensione parallela
ed irrazionale delle nostre emozioni.In questo componimento il Leopardi
si getta in una sensazione metafisica, atemporale, grazie all'effetto
oscurante di una siepe la quale, lasciando immaginare al di là
"interminati spazi ... sovrumani silenzi e profondissima quiete",
determina la verticalizzazione "io nel pensier mi fingo"; il
poeta esce cioè dalla realtà dello spazio e del tempo.
Il poeta vuole percepire la sensazione di assenza dal tempo nel momento
in cui ci si trova e non dopo, quando, avendo ripreso il contatto con
la realtà temporale, è automaticamente uscito da quella
sensazione atemporale.
Leopardi riesce perfettamente a vivere la sensazione cosmica dell'infinito:
quando il rumore delle piante (realtà fisica) attiva la percezione
acustica, il poeta, che si trova nella realtà metafisica, al di
là della siepe, riesce a rimanere in bilico ("vo comparando")
tra le due realtà, di qua e di là dalla siepe.
Ecco allora la percezione dell'infinito: riuscire ad essere fuori dal
tempo con il pensiero, ed avere la prova tangibile (grazie al rumore delle
piante) di esserci.
Quello che il Leopardi scopre in questa nuova dimensione, è un
infinito pieno, dentro al quale il poeta naufraga piacevolmente spaziando
nel passato e nel futuro. padrone della situazione, alla scoperta di un
mondo nuovo, enorme, affascinante, smisurato che in seguito, purtroppo,
si dimostrerà vuoto, privo di un senso logico e di un senso storico.
Sembra che l'ansia romantica di vivere la vita analizzando a fondo tutte
le emozioni e il rigore illuminista di perseguire scrupolosamente il vero,
abbiano incanalato il Leopardi in una lotta drammatica e suicida contro
il tempo, il vero responsabile delle nostre emozioni quelle che danno
un senso alla vita.
Senza il tempo ogni sensazione non avrebbe inizio né fine e sarebbe
un0 normale stato di essere senza distinzione da altre sensazioni. La
stessa sensazione (bella o brutta che sia poco conta) diventa piacevole,
se inserita nel tempo passato, nel ricordo; pessima nel presente, perché
cosi rivela la sua vera natura; ambigua se riferita al futuro, perché
da una parte la fantasia la concepisce bella, dall'altra la ragione non
può prescindere dal dato oggettivo del passato.
GIOSUÈ CARDUCCI
Bisogna premettere che il Carducci è un grande ammiratore e conoscitore
della civiltà classica; conosce bene, anche perché docente
di latino e greco i caratteri profondi di quella cultura e si sente talmente
vicino a quel mondo che il passato non gli appare morto, anzi, più
vivo del presente, più originale come proposta di vita, più
valido come strada da seguire.
Egli vive in maniera conflittuale il rapporto passato/presente e non gli
resta facile trovare la sua precisa collocazione tra un mondo che non
gli appartiene più, ma al quale si sente profondamente legato,
ed un altro nel quale, suo malgrado, è costretto a vivere e confrontarsi.
Per di più il poeta non accetta compromessi: rifiuta sia le sdolcinatura
romantiche, oscillanti tra il sentimentalismo vuoto e l'eccessivo ottimismo
cattolico, sia le già viste verticalizzazioni le quali, non distinguendo
esattamente i confini tra fisico e metafisico, permettono al poeta di
spaziare in maniera arbitraria fuori dalla concretezza della realtà
e dai sentimenti provati sulla propria pelle.
Il poeta non può vivere a suo piacimento un po' qua e un po' là,
prendendo da entrambe quello che a lui più interessa in quel momento.
Il passato è morto, non possiamo risuscitarlo per illuderci in
quella realtà senza tempo; il poeta sta rigorosamente al di qua
della siepe, le frequenti reminiscenze del passato non gli impediscono
di rimanere saldamente nel presente, vivendolo, tuttavia, in funzione
del passato.
In pratica è il passato stesso che vive ancora e che ritorna, che
si ripropone e si impone sul presente per la sua maggiore vitalità.
Pertanto anche il Carducci, come tutti i poeti, ferma il tempo, ma solo
perché una concreta e reale epoca passata si appropria della vita
del poeta, del suo essere nel presente, per manifestarsi in tutta la sua
originalità.
Anche in questo caso siamo di fronte ad una verticalizzazione, tuttavia
non passiva, contemplativa ed immobile, ma viva, alla Manzoni, senza però
la morale cristiana, semmai una morale civile e politica il più
possibile oggettiva.
Il passato entra in conflitto con il presente e si impone, mentre il poeta
finisce per rappresentare il teatro dì questo scontro.
In Comune rustico, ad esempio, la rustica virtù dell'epoca comunale
si impone su di uno squallido ed imbelle presente e mentre lo spirito
vitale del Medioevo, rivive tra le noci della Carnia, il poeta sembra
che assista, compiaciuto, a questa fantastica reminiscenza.
Il poeta vive nel presente la suggestione del passato, il tutto senza
incorrere nelle sdolcinature romantiche. Esaltare il sentimento non vuol
dire scivolare necessariamente nel sentimentalismo astratto ed artefatto.
Ne è esempio Alla stazione in una mattina d'autunno.
Il nero convoglio del treno si deforma lentamente in un mostro "conscio
di sua metallica anima", con occhi di fuoco, sbuffi ansimanti, sussulti
inquieti.
Questo mostro altro non è che la materializzazione del tempo, infatti
getta il fischio che "sfida lo spazio" e, complice il fumo,
la pioggia, la nebbia novembrina, si porta via inesorabilmente il piacere
presente della vista della sua donna, "del viso dolce di pallor roseo
della sua amata Lida sparisce dal presente portata via dal treno, da un
simbolo di movimento che rappresenta il tempo che, come sempre accade,
nel suo scorrere porta con sé anche alcune parti di noi.
Il tempo, per un materialista ateo come il Carducci, rappresenta lo spazio
che ci separa dalla morte, cioè dalla fine del tempo. Ecco allora
spiegata l'intensità delle passioni e dei sentimenti del poeta,
esaltati proprio dalla fugacità del tempo che abbiamo a disposizione
e dalla certezza della fine del tempo che ci è concesso.
Si racconta che gli antichi romani, durante i banchetti tenessero sempre
ben in vista uno scheletro e questo non certo per guastarsi la festa,
anzi, semmai per accrescerla, infatti solo costantemente al cospetto della
fine si può apprezzare il presente, vivere il durante, o almeno
provarci. Questa lezione è ben presente nel Carducci, infatti il
richiamo di quelli di là è ossessivamente presente nelle
sue opere e questo motivo sottolinea l'attenzione che il poeta dedica
al tempo, l'unico elemento capace di esaltare le nostre sensazione in
misura della loro permanenza; il tutto compreso nell'arco di una vita
considerata solo dentro il perimetro della durata fisica che il tempo
le concede.
GIOVANNI PASCOLI
Giovanni Pascoli è uno scrittore che per tutto il corso della
sua vita ha mantenuto con il tempo un rapporto di tipo conflittuale, nel
senso che vi instaura dei legami e delle complicità, che rendono
originale, e sotto alcuni aspetti anche geniale, la sua visione del mondo
e della vita in genere.
Dobbiamo premettere che il Pascoli vive in un periodo storico-culturale
nel quale lo slancio ottimistico di poter spiegare i misteri del mondo
(Illuminismo) e l'inquietudine di allargare il perimetro delle nostre
conoscenze al di là del confine della ragione (Romanticismo), hanno
già da tempo ceduto il passo alla fredda ed inequivocabile constatazione
della realtà oggettiva (Realismo) che porta con sé tutta
la delusione degli ideali non realizzati o, comunque, solo parzialmente
conseguiti.
In questo periodo di fine secolo, mentre il quadro politico-sociale è
scosso da numerose tensioni di varia natura e finalità, ecco che
si aprono le porte del Decadentismo, la risposta degli intellettuali ed
artisti che non si rassegnano ad accettare il dato oggettivo della realtà
e continuano ad inseguire valori ed ideali nuovi, pur avendo la percezione
che non esistano più certezze assolute e che, al massimo, si possa
intraprendere una ricerca limitata al dato personale, all'interno del
proprio bagaglio affettivo e cognitivo.
In questo nuovo contesto di smarrimento, di assenza di punti di riferimento
stabili, lo scrittore si trova incanalato in una ricerca che lo porta
ancor dì più dentro se stesso e vicino a delle conclusioni,
generalmente non previste o dichiarate, che ruotano intorno alla definizione
del tempo
Il 10 Agosto 1867, al non ancora dodicenne "Zìvanì",
Giovannino (cosi lo chiamavano in famiglia), venne a mancare la presenza
fisica e l'affetto del padre; da lì a poco altri gravi lutti familiari
disgregarono l'unità della famiglia Pascoli.
Da quel momento, per il nostro poeta, succede qualcosa di sconvolgente:
quel brutto momento si fissa dentro di lui e rappresenta un freno tenace
al tempo che scorre per gli anni a venire.
Il P. rifiuta la realtà futura a tal punto di vivere il resto degli
anni ancorato a quella data: continua a crescere, ma rimane sempre dentro
quel momento, cioè a dodici anni.
Quell'evento è cosi importante che non lo abbandona per tutto il
resto della vita, diviene un attimo-eternìtà che assorbe
tutta la sua vita futura.
Il P. non ferma il tempo per uscirne momentaneamente fuori, per affacciarsi
in dimensioni più ampie e soddisfacenti, il poeta vuol vivere il
tempo che scorre, è attaccato alle vicende concrete della vita
che scorre, solo che il tempo nel quale è immerso si sviluppa in
una dimensione parallela, non coincidente assolutamente con quella degli
altri e di tutto il resto.
Il P., come già abbiamo visto con gli altri poeti precedenti, non
accetta la dura legge del tempo che gli ha portato via il valore più
grande che possedeva: il calore dell'unità familiare.
Il poeta si trova pertanto a dover operare una scelta: oltrepassare il
trauma del 10 Agosto, affrontando il tempo futuro senza indugiare su quello
trascorso, oppure rimanere al di qua dell'ostacolo, verticalizzando la
propria attenzione alla ricerca di nuove certezze o risposte ai numerosi
interrogativi: il poeta sceglie la seconda strada ma elabora una teoria
tutta sua.
L'ostacolo che ha interrotto il tranquillo scorrere della sua vita, la
morte del padre, determina un effetto boomerang, nel senso che (e qui
sta la sua peculiarità) trasporta il P. indietro negli anni trascorsi.
Il 10 Agosto rappresenta per lo scrittore il punto d'arrivo del tempo
nel quale vuole vivere; quello che viene dopo è un percorso a ritroso
che procede nel passato ricercando le cause e le risposte alle domande
che non hanno avuto spiegazione.
Il poeta va indietro nel proprio tempo, vivendo da adulto la realtà
di quando era fanciullo e, cosi facendo, scopre un mondo nuovo, che lo
appaga, che gli permette di oltrepassare, con l'intuizione, quell'ostacolo
altrimenti invalicabile; finalmente può affrontare la realtà
di tutti i giorni con la sensibilità e la comprensione folgorante
del "fanciullino".
La cosa non avviene certo in maniera automatica ed immediata, infatti
il poeta cerca negli anni futuri di confrontarsi con i nuovi tempi e i
nuovi ideali dell'epoca, ma dopo il fallimento di questo incontro maturerà,
gradualmente, quell'effetto boomerang che caratterizza tutta la sua ricerca
futura.
Più si allontana dall'ostacolo, più riesce a vedere oltre
questo, la comprensione aumenta col crescere della distanza: un regredire
per progredire nella conoscenza della verità e ottenere, magari,
anche una spiegazione altrimenti irraggiungibile.
Sono molte le poesie del P. (si pensi ad esempio a "Nebbia"),
dove l'ostacolo che impedisce' di vedere con gli occhi, ci permette di
capire con la mente.
La poesia offre al poeta la possibilità di continuare a vivere
nella realtà a lui congeniale e, magari, a suggerirgli anche qualche
soluzione ai problemi che affliggono da sempre l'esistenza; la poesia
gli permette di scegliersi il tempo in cui vivere e il P. coglie questa
opportunità applicandola in pratica alla propria vita. Nel percorso
a ritroso il poeta trova le spiegazioni al dubbio di oggi nelle certezze
di ieri, fino a risalire all'anima originale di noi stessi, all'"Adamo",
come dice lui, dal quale tutti ci siamo allontanati. e al quale tutti
dobbiamo (il plurale adesso è d'obbligo) ritornare, se vogliamo
dare un senso e un perché alla vita.
La soluzione pascoliana consiste pertanto nell'aggiustare il tempo alla
realtà che viviamo e non, come generalmente avviene, il contrario.
In questa maniera il P. ottiene la tanto ricercata sintonia tra realtà
e tempo, una condizione ideale di estremo benessere che forse è
alla base di tante ricerche e speculazioni intellettuali, ma il dato ancor
più significativo è che non c'è' più contrasto
tra l'uomo (nel tempo) e il poeta (fuori dal tempo) ora l'uomo diventa
poeta direttamente, non c'è più il distacco, la finzione
poetica tipicamente ottocentesca, ormai l'arte è vita e il poeta
è l'uomo.
Da questa teoria pascoliana un dubbio tuttavia rimane e cioè perché
il poeta abbia scelto proprio un momento di grande dolore, voglia rimanere
legato al momento più brutto della sua vita, come si riscontra
in moltissime sue poesie. In effetti il passato nel quale il P. vive e
si compiace di viverci, non è il male, anzi, proprio l'opposto:
è l'ultimo momento di una felicità che solo in quelle eccezionali
situazioni si manifesta a noi in tutto il suo potenziale affettivo; il
male è quello che è venuto dopo, quando il dolore ha lasciato
il posto alla rassegnazione per il dato di fatto. L'attesa per il padre
assassinato, che è alla base di tante e belle poesie, rappresenta
l'ultimo momento in cui è sentita l'unità familiare, la
speranza ultima che esalta il valore della famiglia unita, mentre la paura
della sua disgregazione compatta ed esalta ancor di più il valore
di quella unione.
IL FUTURISMO (con
riferimento ai Crepuscolari)
Con il Futurismo il nostro argomento arriva ad una svolta sostanziale,
infatti questi artisti pongono il tempo alla base della loro nuova e rivoluzionaria
visione della vita.
La protesta è indirizzata al passato perché tanto i romantici
quanto i decadenti (per citare solo quelli che abbiamo preso in esame),
hanno fallito nella loro ricerca: i primi, con miti ed ideali, i secondi
con intuizioni ed irrazionalità, entrambi non sono riusciti a congiungere
il tempo interiore delle proprie emozioni cori quello esterno delle percezioni,
e proprio da questo scarto doloroso avrebbero scritto le opere ben note.
I Futuristi propongono di vivere nel tempo, nella dinamicità di
tutte le cose che ci circondano; osservare il tempo che scorre in noi
o nelle cose è il sistema migliore per perdere tempo, per non vivere.
È inutile rincorrere la realtà in movimento per fermarla
e ridurla al nostro stato contemplativo, dobbiamo invece competere con
la sua caratteristica costitutiva, cioè il movimento.
In pratica i Futuristi, che ce l'hanno con "L'immobilità pensosa"
del passato, con i musei e le biblioteche, che cercano addirittura di
fuggire dal rigo della pagina, dopo aver eluso le regole della sintassi
e della grammatica, non ricercano una ribellione fine a se stessa, stanno
solamente velocizzando il punto di osservazione della realtà quotidiana,
al fine di potersi congiungere realmente con essa.
I futuristi avevano capito che per fermare il tempo bisognava correre
più veloci di questo; solo cosi, con il movimento, si poteva trovare
il punto di contatto con la realtà.
Sarebbe come quando con l'auto si percorre una strada parallela alla ferrovia:
solo se si raggiunge la stessa velocità del treno quell'interno,
con le persone, le stoffe, le luci, gli oggetti, si rivela a noi in tutta
la sua nuda realtà, solo allora le cose si manifestano in quello
che realmente sono.
Se invece restiamo fermi e lasciamo passare il treno, quel determinato
scompartimento, appena percepito dalla vista e non ancora ben fissato
dalla mente, si arricchisce di una sensazione, mista di curiosità
e mistero, così veniamo trasportati dal fascino che acquistano
le cose in movimento; un fascino che da sempre ha determinato stupore,
meraviglia è disparate congetture mentali, da parte di chi osserva
immobile il fenomeno, come si è visto, sin dall'antichità,
con il culto del sole e della luna.
Gli artisti del Futurismo volevano rappresentare la velocità, "il
movimento aggressivo, l'insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto
mortale, lo schiaffo e il pugno". Lo dicono chiaramente quando affermano
che il mondo si è arricchito di una bellezza nuova: "la bellezza
della velocità" e mi pare doveroso non appuntare l'attenzione
solo sulla "velocità", ma sulla "bellezza"
della velocità.
Ci fanno capire, cioè, che solo nella velocità, essendo
noi per primi in movimento, possiamo cogliere quella sensazione che tutti
abbiamo avvertito e più intensamente soprattutto, quelli che si
sono fermati ad osservare il fluire del tempo sulla propria vita.
Secondo i futuristi non dobbiamo subire il tempo, racchiudere in noi stessi
un attimo passato per riviverlo, a nostro piacimento (verticalizzazione):
più subiamo il fascino del tempo, più ci allontaniamo dalla
realtà.
Il Futurismo avrebbe dunque intuito una cosa rivoluzionaria, cioè
che quella sensazione struggente, che determina poi le creazioni artistiche
nei vari campi di espressione, non sarebbe derivata dalla realtà
che viviamo, ma dal fatto che questa sia nel tempo e più è
percepito il tempo di quella realtà, più noi siamo toccati
da quel fascino.
Da qui la convinzione della inutilità della poesia e della necessità
della sua fine; questo il significato del titolo "Uccidiamo il chiaro
della luna" del manifesto del 1909.
La percezione del tempo determina in noi una sensazione panica estetica
che si spiega solo col nostro bisogno di capire il mistero del tempo che
da sempre affascina e stupisce tutti, poiché custodisce il senso
della nostra stessa esistenza.
L'esperienza del Futurismo è particolarmente importante poiché
imposta il problema in una ottica del tutto nuova, inoltre si trova spesso
in contrasto con tutta la tradizione precedente.
Questa grande originalità non ha però avuto un lungo seguito,
un po' per gli eventi bellici seguiti da li a poco, un po' perché
non da tutti è stato recepito il significato profondo, nascosto
dietro le appariscenti e rumorose espressioni di questi artisti; è
significativo comunque il fatto che il futurismo sopravviva, in quantità
variabile, in quasi tutte le avanguardie estetiche del '900 e che Futurismo
non sia solo Marinetti o manifesti di programmi stravaganti mai attuati.
Se prendiamo in esame il romanzo di Aldo Palazzeschi "Le sorelle
Materassi", notiamo ad esempio come la lezione del Futurismo sia
assimilata in maniera sostanziale e non ostentata in forma provocatoria.
Il racconto di Palazzeschi descrive la vita immobile delle sorelle velocizzata,
all'improvviso, dalla venuta del nipote. Le abitudini di vita e i valori
morali, immutati per molti anni, cadono di fronte all'accelerazione delle
vicende seguenti: Remo infatti rappresenta il nuovo, colui che sa cogliere
al volo le opportunità, che non dà tempo al tempo; cosi
anche le tranquille sorelle vengono trasportate dal turbinio degli. avvenimenti.
Alla fine poco importa se rimangono indebitate se, cioè, nessuna
nuova certezza sostituisce i vecchi valori: nelle sorelle rimane la nostalgia
per quei movimentati giorni, per aver vissuto ad una velocità superiore
alle proprie possibilità.
Quando Remo sarà partito, la vita riprenderà il suo ritmo
lento e si parlerà ancora a lungo di lui, così come all'inizio
della storia si ricordava l'eccezionale incontro con il Papa e questa
analogia, tra il sacro ed il profano, non mi pare casuale.
Anche i poeti Crepuscolari sembrano aver intuito qualcosa di simile; con
il rifiutare tutto il materiale poetico tramandato, hanno finito per analizzare
la realtà nella sua essenzialità congenita, cioè
senza il tempo; solo cosi, infatti, hanno potuto' descrivere le cose a
loro care scansando quella languida sensazione determinata dal tempo.
I Crepuscolari, dal canto loro, hanno osservato la realtà alla
sua stessa velocità, ma, contrariamente ai Futuristi, non alle
velocità "nuvolaresche", bensì da fermi e loro
possono a ben diritto rivendicare quella posizione poiché per metà
lo sono veramente: scrivono con la loro metà ancora viva, quella
legata alle sensazioni portate dal tempo ma traggono ispirazione dall'altra,
quella già morta, quella più vicina alla verità delle
cose, quella verità che si legge distintamente solo quando il tempo
si è fermato.
Questi poeti colgono della realtà gli aspetti immobili, quelli
che si ripetono monotoni, quelli che girano alla stessa velocità
della loro vita. Si aggrappano alle cose che svaniscono nel tempo, con
maggior attenzione a quelle vecchie, proprio perché sono più
vicine alla distruzione abbracciano di slancio tutto ciò che sta
per finire come attratti dal destino comune.
Nessuno meglio di loro ha dato un volto al tempo, ha definito "l'odore
del passato": la polvere sulle cose, le foto ingiallite, la bellezza
sfiorita, un angolo di città visto dalla finestra, la musica ripetitiva
dell'organino dell'ambulante, la vita spiata al di là del vetro,
da chi sente di non appartenervi più ed essere già in gran
parte nel passato.
Dal punto di vita artistico, quello dei Crepuscolari è un osservatorio
privilegiato, poiché possono sincronizzarsi con la realtà
esterna, riuscendo a percepire, da vivi, la condizione di sensazione determinata
dal tempo.
I Crepuscolari, dal canto loro, hanno osservato la realtà alla
sua stessa velocità, ma, contrariamente ai Futuristi, non alle
velocità "nuvolaresche", bensì da fermi e loro
possono a ben diritto rivendicare quella posizione poiché per metà
lo sono veramente: scrivono con la loro metà ancora viva, quella
legata alle sensazioni portate dal tempo ma traggono ispirazione dall'altra,
quella già morta, quella più vicina alla verità delle
cose, quella verità che si legge distintamente solo quando il tempo
si è fermato.
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