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Astronomia

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L’Hubble Space Telescope: una nuova visione dell’Universo

di Corrado Ruscica

1. Introduzione

Nel 1929, un astronomo americano di nome Edwin Hubble cambia la nostra visione dell’Universo. Utilizzando il più grande telescopio terrestre dell’epoca – il telescopio di 2,5 m di Mount Wilson – egli scopre che oltre la nostra Via Lattea esistono altre galassie, tutte in allontanamento reciproco le une dalle altre. La scoperta di Hubble implica che l’Universo è in espansione e perciò esso deve avere avuto una origine indietro nel tempo alcune decine di miliardi di anni fa.

L’astronomo Edwin Hubble (in alto a sinistra) ed il telescopio di 2,5 m di Mt. Wilson (sotto) con il quale scoprì la recessione delle galassie nel 1929. In alto a destra, la rappresentazione della legge di Hubble nel diagramma velocità-magnitudine fotografica (Courtesy of NASA).

La priorità è  quella di costruire telescopi sempre più grandi e di grande potere esplorativo per osservare il nuovo Universo scoperto da Hubble. Tuttavia gli astronomi devono affrontare un problema e cioè l’atmosfera terrestre che rappresenta l’ostacolo maggiore alla qualità delle osservazioni.

Nel 1946, Lyman Spitzer propose una soluzione brillante anche se impraticabile: porre un telescopio in orbita nello spazio. Molti astronomi dell’epoca guardavano alla proposta di Spitzer con scetticismo ma le ricerche nell’ambito delle missioni spaziali, che erano cominciate tra gli anni ’20 e ’30 grazie alle idee di Robert Goddard, si realizzarono ben presto durante la II Guerra Mondiale quando un ingegnere tedesco Wernher von Braun giunse negli Stati Uniti per completare il lavoro di Goddard.

Si cercava di trasformare il programma tedesco V2 in un veicolo spaziale che potesse orbitare intorno alla Terra. I viaggi spaziali ebbero comunque inizio nel 1957 quando l’ex Unione Sovietica lanciò il suo primo Sputnik. In seguito, gli americani risposero con il loro primo satellite denominato Explorer One dando inizio alla corsa allo spazio.

Intanto l’ente americano per l’amministrazione dell’aeronautica spaziale – la NASA – veniva fondato nel 1958 e lo spazio diventava sempre più un luogo familiare. Il sogno di Spitzer stava per prendere forma quando nel 1968 l’Osservatorio Astronomico Orbitante, precursore del telescopio spaziale, veniva posto in orbita fornendo dei risultati incoraggianti.

Dopo il successo della conquista della Luna nel Luglio del 1969, la NASA cominciò a prendere sul serio il sogno di Spitzer: realizzare un grande telescopio spaziale. Fu nel 1977 che gli sforzi condotti dallo stesso Spitzer in supporto alla realizzazione del progetto ebbero il consenso dal Congresso.

In definitiva, grazie anche alla collaborazione dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), il grande telescopio spaziale divenne una realtà. Alla Lockheed Aerospace e alla Perkin-Elmer fu affidato il compito di realizzare il progetto per il veicolo spaziale mentre solo la Perkin-Elmer doveva realizzare il sistema delle ottiche e gli specchi.

Ci vollero due anni per lavorare circa 100 Kg di vetro che costituisce lo specchio principale di 2,4 m del telescopio spaziale. Nel 1984, il cuore del telescopio, denominato Edwin Hubble in onore dell’astronomo americano, venne trasportato alla Lockheed per essere completato e successivamente preparato per il lancio previsto per il 1990. Dopo oltre 40 anni il sogno di Spitzer diventava realtà.



Il telescopio spaziale Hubble in orbita a circa 600 Km dalla superficie della Terra. Il telescopio, costato circa 2 milioni di dollari, ha una sensibilità alla luce 30 volte meglio dei telescopi terrestri. Nella foto a destra, si nota lo specchio principale, del diametro di 2,4 m, dal quale la luce viene raccolta e riflessa allo specchio secondario, del diametro di 30 cm. (Courtesy of NASA/ESA, STScI)

1.2. Il telescopio spaziale Hubble: caratteristiche tecniche

Il telescopio spaziale Hubble è una sorta di autobus scolastico, lungo circa 13,3 m, e pesante come due giovani elefanti, circa 11.110 Kg. Si tratta di un telescopio riflettore costruito con lo stesso principio del telescopio di Newton del XVII secolo.

La luce viene raccolta al telescopio e si riflette su uno specchio concavo primario del diametro di 2,4 m che funge da lente per focalizzare la luce. Più grande è lo specchio primario e migliore sarà la qualità delle immagini prodotte.

Dallo specchio primario la luce viene riflessa su uno specchio secondario più piccolo del diametro di 30 cm posto di fronte allo specchio principale e da qui la luce ritorna indietro attraverso un foro posto sul primario dove sono assemblati gli strumenti dietro il piano focale, dove cioè l’immagine viene focalizzata.

La risoluzione angolare del telescopio Hubble è di 0,05 secondi d’arco, in altre parole questo dato indica la nitidezza delle immagini fornite dal telescopio. In altre parole, possiamo dire che se noi avessimo gli occhi di Hubble e fossimo posti su un grattacielo di New York, riusciremmo a vedere due antenne separate di un metro poste su un grattacielo di San Francisco o di Los Angeles.


1.3. La scienza di Hubble: una nuova visione dell’Universo

Circa 400 anni fa, Galileo Galilei aprì una nuova visione del cosmo quando Egli puntò per la prima volta il suo telescopio, di recente invenzione, verso la volta celeste. Le prime immagini si riferivano ai crateri della Luna e alle lune di Giove, mettendo in evidenza che la Terra non era l’unico posto speciale nel cosmo.

Le scoperte di Galileo rivoluzionarono la visione dell’Universo. Allo stesso modo, il lancio e la messa in orbita del telescopio spaziale Hubble quattro secoli dopo hanno cambiato radicalmente le nostre conoscenze sulla natura e l’origine dell’Universo, dalla nascita alla morte violenta di stelle massive fino all’osservazione delle galassie più distanti nello spazio e nel tempo.

La luce raccolta dal telescopio spaziale varia in un intervallo di frequenze che vanno dal visibile fino al vicino infrarosso e ci permette di avere una qualità di immagini con una nitidezza e definizione senza precedenti.

Grazie alla sua posizione in orbita intorno alla Terra, Hubble può osservare il cosmo in maniera unica evitando le interferenze dell’atmosfera terrestre che causa spesso la distorsione delle immagini rendendole poco nitide nei telescopi terrestri.

Le oltre 14.000 immagini fornite dal telescopio spaziale durante la sua missione decennale hanno perciò dato nuovi indizi ed eliminato molti dubbi agli scienziati che si sono trovati a riscrivere nuove teorie sull’astrofisica dei corpi celesti, dal sistema solare fino alle galassie più remote.

Rappresentazione in coordinate galattiche delle sorgenti osservate da Hubble al 2003. La rappresentazione in falsi colori associa ad ogni sorgente un punto colorato che appartiene ad una determinata classe di oggetti celesti. Il piano della Via Lattea è proiettato lungo l’asse maggiore della figura. (Courtesy of NASA/ESA STScI)

I maggiori contributi ottenuti grazie alle osservazioni di Hubble si possono riassumere come segue:

· l’atmosfera dei pianeti

· la nascita, la vita e la morte delle stelle

· le proprietà delle galassie fino ai confini dell’Universo osservabile

· buchi-neri supermassivi e le galassie ospiti

· l’abbondanza degli elementi pesanti e leggeri

· l’età dell’Universo

· il destino dell’Universo

Alcune scoperte fondamentali di Hubble riguardano:

· la scoperta che le dimensioni delle galassie sono più piccole nell’Universo distante

· la scoperta del tasso di formazione stellare nei primi istanti di vita dell’Universo

· la scoperta riguardante la formazione di ammassi stellari giovani e massivi in seguito alla  collisione di galassie

· le galassie ospiti dei quasar

· l’osservazione di getti di materia provenienti dal centro di dischi di accrescimento attorno a stelle giovani


1.3.1 L’Hubble Deep Field

Grazie al potere esplorativo di Hubble, gli astronomi si sono spinti fino a distanze dell’ordine di 12 miliardi di anni-luce. Queste osservazioni “profonde” dell’Universo sono state raccolte in 350 immagini in quella che è stata chiamata la Hubble Deep Field, che costituisce uno dei “Programmi Tesoro” della missione del telescopio spaziale.

Una porzione dell’area di cielo profondo osservata da Hubble, nota anche come Deep Field. L’immagine del cielo, scelta a caso dagli astronomi, ci fa vedere una regione di un Universo giovane, quando le galassie si trovavano più vicine nello spazio-tempo e quando l’Universo aveva una età di circa 700 milioni di anni.

La luce proveniente da questi oggetti remoti ha viaggiato per miliardi di anni prima di essere raccolta dal telescopio Hubble che ha potuto vedere indietro nel tempo un Universo quando aveva una età pari al 5% di quella attuale.

Queste lunghe esposizioni ci hanno rivelato che le galassie esistevano già quando l’Universo aveva meno di un miliardo di anni. Per rendere una idea della Deep Field possiamo dire che Hubble è stato in grado di rivelare circa 1000 galassie contenute in una area di cielo grande quanto l’area di un granellino di sabbia proietatto sulla volta celeste alla distanza di un braccio.

Se estrapoliamo queste osservazioni su tutto il cielo possiamo stimare che l’Universo contenga almeno 100-120 miliardi di galassie. Queste galassie si trovano a epoche diverse durante la loro fase di evoluzione, come se fossero distribuite per così dire lungo un cono profondo alcuni miliardi di anni-luce.

Il potere esplorativo di Hubble permette agli astronomi di risolvere in definitiva le forme e le dimensioni delle galassie distanti e di studiare quindi come esse evolvono nel tempo.

Quello che si è trovato è che le galassie distanti mostrano delle forme frammentarie e irregolari che prendono, nel corso della loro evoluzione, la forma delle maestose galassie a spirale o ellittiche che noi vediamo oggi nel recente passato.  Inoltre si è potuto capire come la maggior parte delle stelle si siano formate quando l’Universo aveva una età dell’ordine di alcune centinaia di milioni di anni dalla sua nascita.


2. Fenomeni violenti

Tra le immagini più spettacolari fornite dal telescopio spaziale Hubble dobbiamo mettere in evidenza i fenomeni violenti che riguardano le collisioni tra galassie, l’attività nucleare presente nei nuclei di quelle galassie dove si presuppone la presenza di grossi buchi-neri e le esplosioni di alta energia che rimangono ancora un mistero per l’astrofisica moderna.


2.1. Collisioni cosmiche

Uno degli esempi più spettacolari di collisioni cosmiche osservate con il telescopio spaziale Hubble è quello delle galassie “Le Antenne” così chiamate storicamente per la loro forma a due baffi, osservate dai telescopi terrestri, che si dipartano dal loro nucleo centro dell’interazione gravitazionale.



Hubble ci ha fornito nuovi dati relativi alle collisioni cosmiche che avvengono tra le galassie. In questo spettacolare esempio sono mostrate le galassie “Antenne”. In alto a sinistra l’immagine ripresa a Terra, dove si nota la forma a due baffi che si dipartono dal nucleo. Nella foto a colori, Hubble ci permette di focalizzare l’attività violenta della collisione tra le due galassie a spirale. Si notano i nuclei più brillanti delle due galassie, le nuove stelle, in blu, che si stanno formando in seguito all’interazione gravitazionale e le regioni più scure associate al gas e alle polveri. (Courtesy of NASA/ESA STScI)



Grazie alle dettagliate immagini di Hubble, e come in una scena di un incidente stradale, gli astronomi cercano di ricostruire l’impatto avvenuto tra le due galassie a spirale.

Utilizzando modelli in computer grafica, gli astronomi simulano ciò che è accaduto tra le due galassie, specificando la forma, la dimensione, la velocità e la direzione del moto, in accordo alle leggi della fisica.

I modelli danno una situazione analoga a quella osservata, ed, eventualmente, permettono di prevedere l’evoluzione successiva all’interazione gravitazionale. Collisioni come queste possono durare per centinaia di milioni di anni e, molto probabilmente, erano più frequenti nel lontano passato quando cioè le galassie si trovavano molto vicine tra loro nello spazio.


2.2. Buchi-neri galattici

Molte galassie, se non quasi tutte le galassie, possiedono immensi e massivi buchi-neri nei loro nuclei. Noi non siamo in gradi di osservarli direttamente ma gli strumenti a bordo di Hubble, gli spettrografi, possono misurare gli effetti che essi hanno sulla materia che li circonda, che è un pò come rivelare la loro presenza.

I buchi-neri vennero teorizzati più di 200 anni fa ed in seguito furono postulati dalla teoria della relatività generale di Einstein. La scoperta di galassie con nuclei attivi convinse molti astronomi a credere sull’esistenza di buchi-neri giganti che agiscono come il motore-centrale delle galassie attive. L’eccesso dell’emissione di radiazione proveniente da queste particolari galassie non poteva certo essere dovuto alla luce emessa dalle singole stelle.

Per definizione, un buco-nero è difficile da osservare. Si tratta di un oggetto denso e collassato la cui materia è per così dire compressa in un piccolo volume di spazio. La forza gravitazionale risultante è talmente intensa che qualsiasi cosa passi vicino, persino la luce, ne rimane intrappolata per sempre.

Come un fantasma in una storia fantastica, la presenza di un buco-nero viene dedotta dagli effetti sulla materia circostante. La sua forza gravitazionale influenza il moto delle stelle vicine. Più le stelle sono vicine al buco-nero, più velocemente esse si muovono, come nel caso dei pianeti più vicini al Sole (pianeti terrestri) si muovono più rapidamente rispetto a quelli più distanti (pianeti gioviani).

Una volta che la velocità del materiale intrappolato dalla forza gravitazionale del buco-nero viene misurata, gli astronomi possono determinare la massa del buco-nero applicando le leggi della fisica: è un pò come misurare la massa della Terra conoscendo la velocità orbitale della Luna.

Queste misure sono state eseguite sin dalla metà degli anni ’80 grazie ai telescopi terrestri, ma l’ostacolo principale era quello di osservare attraverso la turbolenta atmosfera terrestre, che pone dei limiti severi alle misure di questi oggetti compatti. Le osservazioni spaziali del telescopio Hubble hanno permesso di ottenere misure molto più accurate sulla determinazione della massa dei buchi-neri eliminando perciò una eventuale ambiguità ai limiti sulla massa degli oggetti compatti.

Il primo buco-nero ad essere studiato da Hubble è stato della galassia M87 grazie alle misure eseguite sul moto del disco di gas nel nucleo. La forma stessa suggeriva che il materiale era stato catturato in un vortice gravitazionale. Mediante lo spettrografo di Hubble, gli astronomi sono stati in grado di misurare la velocità del gas dal fenomeno fisico noto come spostamento Doppler: la parte del disco che si avvicina all’osservatore subisce uno spostamento verso il blu della lunghezza d’onda e quella che si allontata subisce uno spostamento verso il rosso della lunghezza d’onda.


Il nucleo della galassia ellittica gigante M87 – nelle due foto in alto – ripreso dal telescopio spaziale Hubble. Si può osservare il nucleo brillante della galassia ed il getto di materia che si estende per decine di migliaia di anni-luce. In basso, rappresentazione in falsi colori della variazione di luce ripresa con lo spettrografo a bordo di Hubble che ci mostra il moto circolare del disco di gas attorno al buco-nero centrale nel nucleo di M87. I punti in blu indicano avvicinamento rispetto all’osservatore, i punti in rosso indicano allontanamento rispetto all’osservatore. (Courtesy of NASA/ESA STScI).


Da queste osservazioni gli astronomi hanno concluso che il gas si muove con velocità di alcuni milioni di chilometri all’ora. Questa informazione può essere utilizzata per calcolare quanta massa si trova nel nucleo di M87. Quello che si trova è che la massa nucleare di M87 è pari a due miliardi di masse solari, concentrate in un volume non molto più grande del Sistema Solare.

Hubble ha eseguito inoltre osservazioni di altre due galassie ellittiche, NGC 4261 e NGC 3115 dove si è calcolata una massa del buco-nero centrale pari a circa 200 milioni e 2 miliardi di masse solari rispettivamente.

 

A sinistra nel riquadro la galassia ellittica gigante NGC 4261 ripresa da un telescopio ottico terrestre. All’immagine ottica della galassia, che si estende per circa 30.000 anni-luce, è sovrapposta a colori l’emissione nella banda radio che si diparte dal nucleo a forma di due getti, in direzioni opposte, ognuno dei quali si estende per qualche centinaio di anni-luce. A destra, l’immagine “ravvicinata” delle regioni nucleari di NGC 4261 ripresa con il telescopio spaziale Hubble. Si nota la forma a “ciambella” del disco di gas e polveri, che ha un diametro di circa 400 anni-luce, che si accresce attorno al buco-nero centrale. (Courtesy of NASA/ESA STScI).

Osservazioni su larga scala sia dei nuclei galattici attivi che delle galassie normali fornite da Hubble implicano che i buchi-neri sono presenti su quasi tutte le galassie. Il mistero rimane ancora quello di capire come si è formato in primo luogo il buco-nero centrale. 

L’abbondanza di quasar nell’Universo primordiale – i quasar sono oggetti presenti nei nuclei delle galassie distanti che causano una enorme emissione di radiazione - ci indica che buchi-neri giganti si sono formati ancora in epoche precedenti, anche se questo fenomeno non è ancora del tutto noto.

Le immagini di Hubble sui quasar ci mostrano che essi sono presenti sia nelle galassie ellittiche che nelle galassie a spirale. Molte galassie ospiti dei quasar stanno interagendo o sono in fase di collisione gravitazionale con altre galassie. Inoltre si è visto che la caduta di materia risultante da queste collisioni alimenta l’attività dei buchi-neri.    

Alcune immagini delle galassie ospiti dei quasar, gli oggetti più distanti dell’Universo. Le osservazioni di Hubble implicano che i quasar sono un fenomeno frequente nelle galassie distanti sia ellittiche che spirali. (Courtesy of NASA/ESA STScI).

2.3. Esplosioni di alta energia

Le più spaventose e drammatiche esplosioni di luce ad alta energia presenti nell’Universo si osservano come flash di luce gamma, γ-ray burst, ossia emissioni di radiazione gamma che durano per un brevissimo periodo di tempo.

Queste esplosioni appaiono da tutte le direzioni del cielo in modo casuale e durano tipicamente alcuni secondi. I satelliti dell’Aviazione Americana Vela furono i primi a rivelarne la loro presenza negli anni ’60. Da allora, numerose teorie sulla loro natura e origine sono state avanzate ma rimane ancora sconosciuta la loro natura.

Il telescopio spaziale Hubble ha aiutato per così dire gli astronomi a tracciare la loro luce fino alle galassie più distanti. La difficoltà principale delle osservazioni dei flash di luce è stata quella di determinare la loro posizione e quindi la direzione nel cielo.

Grazie al supporto di altri osservatori, fra cui i satelliti X, Hubble è riuscito a raccogliere molte informazioni. Tra i flash di luce gamma più importanti osservati da Hubble ricordiamo GRB971214, che vuol dire Gamma-Ray-Burst del 14 Dicembre 1997.

Gli astronomi hanno associato questo evento ad una debole galassia da cui ha avuto orogine il fenomeno dell’esplosione di alta energia. Grazie anche alle osservazioni del satellite X italo/olandese BeppoSAX, si è potuto localizzare la direzione dell’eplosione.

Le osservazioni successive, con il supporto di altri telescopi e radiotelescopi terrestri, hanno permesso di seguire le variazioni di luce nell’X, nel radio, nell’IR e nel visibile che, al contrario della luce gamma, si possono osservare per un intervallo di tempo dell’ordine qualche mese.

Il risultato principale è che queste esplosioni di alta energia osservate come flash di luce gamma si originano in galassie estremamente distanti. Tuttavia gli astronomi non sono ancora in grado di spiegare ciò che causa l’origine di questi eventi.

Hubble ha osservato una delle più drammatiche e violente esplosioni mai registrate. La luce emessa da questo flash di radiazione di alta energia è stata pari a 100 milioni di miliardi di stelle.

Qualcuno avanza l’ipotesi secondo la quale questi fenomeni energetici probabilmente si originano quando avviene una intensa formazione stellare. I flash di luce gamma si potrebbero originare dalla fusione di coppie di stelle di neutroni o di buchi-neri oppure in seguito all’esplosione di una hypernova, ossia di una ipotetica stella soggetta ad una drammatica e violenta esplosione.


3. L’espansione accelerata dell’Universo: energia scura

Come abbiamo già ricordato all’inizio, nel 1929 l’astronomo americano Edwin Hubble scoprì che le galassie sono in allontanamento reciproco le une dalle altre con una velocità di allontanamento proporzionale alla loro distanza: più lontana si trova una galassia e tanto velocemente si allontana.

Questa relazione, nota come legge di Hubble, stabilisce un tasso di espansione dell’Universo che è cruciale per determinare la sua età e la sua dimensione. L’Universo si espande perchè è nato da una grande esplosione iniziale, chiamata Big-Bang, alcune decine di miliardi di anni fa.

La determinazione della costante di Hubble, ossia del tasso di espansione dell’Universo, è stata eseguita dal gruppo Key Project della NASA che hanno utilizzato il telescopio spaziale per guardare lontano alcune stelle particolari, le stelle variabili Cefeidi, dalla cui variazione di luminosità, che è nota, si può ricavare la loro distanza.

Gli astronomi hanno usato Hubble per cercare sistematicamente le stelle variabili Cefeidi nel nostro Gruppo Locale fino all’ammasso di galassie della Vergine. Queste Cefeidi sono state utilizzate come calibratori anche di stelle più distanti nell’Universo, le supernovae, che essendo molto più brillanti sono osservabili fino a distanze dell’ordine di alcuni miliardi di anni.

Il gruppo del Key Project ha trovato che l’Universo ha una età compresa tra 12 e 14 miliardi di anni.

Un altro ruolo importante di Hubble è stato quello di scoprire che l’Universo si trova in una fase di espansione accelerata. In altre parole, le galassie si allontanano reciprocamente le une dalle altre molto più velocemente al passare del tempo.

L’osservazione di Hubble di supernovae distanti ha permesso di misurare quanto velocemente l’Universo si è espanso molto tempo fa. Gli astronomi sono rimasti sorpresi quando hanno scoperto che miliardi di anni fa l’Universo si espandeva molto più lentamente.

In alto, la Deep Field con il riquadro della porzione di cielo da cui è stata individuata la galassia ospite (in basso a sinistra) della supernova più distante finora conosciuta SN 1997ff  (a destra dopo aver sottratto la luce della galassia). Grazie alle osservazioni di Hubble è stato possibile seguire la variazione di luce della supernova da cui è stato dedotto un risultato importante: l’Universo si espandeva molto più lentamente nel passato. La curva di luce della supernova, che si trova ad una distanza di circa 10 miliardi di anni, sembra essere ancora più debole se confrontata con un Universo che si espande in modo costante. (Courtesy of NASA/ESA STScI).

Questo fatto implica l’esistenza di una forza misteriosa, una sorta di anti-gravità, chiamata dagli astronomi energia-scura, che agisce sulle galassie facendole allontanare molto più rapidamente quanto più distanti si trovano le une dalle altre. L’Universo potrebbe quindi espandersi per sempre senza mai collassare in un Big-Crunch, ossia in una grande implosione gravitazionale.  

 

4. Il destino di Hubble e il telescopio di nuova generazione

La missione del telescopio spaziale Hubble si concluderà un giorno tra qualche anno. La fine del telescopio spaziale non sarà comunque un punto di arrivo ma piuttosto segnerà un punto d’inizio per il suo successore che ci fornirà altrettante nuove immagini e scoperte.

Il telescopio di nuova generazione (New Generation Space Telescope- NGST), attualmente in fase di studio, sarà lanciato non prima del 2011. Con la sua capacità di raccogliere dieci volte la luce di Hubble, il telescopio di nuova generazione esplorerà un Universo ancora più profondo, fino all’epoca di formazione delle prime galassie.

Rappresentazione artistica del telescopio di nuova generazione (NGST). Il nuovo telescopio spaziale,  che è stato denominato in onore a James Webb, uno degli amministratori della NASA durante gli anni ’60, avrà un potere esplorativo 10 volte migliore rispetto al telescopio Hubble e gli astronomi sperano di potersi spingere fino all’epoca di formazione delle prime galassie e oltre. (Courtesy of NASA)

 

Quando si ha un nuovo modo di osservare l’Universo, per mezzo di un telescopio spaziale, si va oltre l’idea di osservare il mondo che ci circonda. Hubble ci permette di osservare 10 miliardi di volte più in profondità rispetto all’occhio umano.

Oggi siamo di fronte a quattro domande fondamentali che sono alla base del pensiero umano:

1)     Come si è formato l’Universo ?

2)    
Come siamo arrivati qui ?

3)    
Dove stiamo andando ?

4)     Siamo soli ?


Hubble ci ha dato un grande contributo nel comprendere come queste enormi nubi di idrogeno che sono assemblate in ciò che chiamiamo galassie – le più grandi associazioni di materia che conosciamo – si siano formate molto tempo prima rispetto a quanto previsto dalle teorie.

Hubble ci ha permesso di provare come buchi-neri supermassivi – oggetti che possono avere masse fino a due miliardi di volte la massa solare – sono così densi e compatti che la loro immensa attrazionale gravitazionale non lascia scappare nulla, nemmeno la radiazione luminosa.

Forse un giorno l’Universo finirà di esistere contraendosi in un grande e gigantesco buco-nero ? Non lo sappiamo. L’unica cosa certa è che i buchi-neri non sono fantasia ma esistono, sono un dato di fatto. 

Possiamo dire che Hubble è il primo forse di una lunga serie di satelliti spaziali che ci permetteranno di rispondere alle nostre domande fondamentali per i prossimi decenni.

Il telescopio di nuova generazione sarà realizzato per spingersi oltre le osservazioni di Hubble, fino ai limiti dell’Universo osservabile.  Il telescopio NGST sarà ancora più sensibile perchè avrà uno specchio primario più grande rispetto a quello di Hubble – 8 metri di diametro. Quindi le immagini che ci aspettiamo da NGST saranno migliaia di volte più sensibili rispetto a quelle di Hubble.

In questa illustrazione sono mostrati a confronto le capacità esplorative del telescopio spaziale Hubble (HST), del telescopio di nuova generazione (JWST) e del satellite WMAP per lo studio della radiazione cosmica di fondo. Il telescopio JWST si spingerà oltre i limiti dell’Universo osservato da Hubble, fino a catturare la luce delle galassie più distanti e delle prime stelle all’estremità di quella che viene chiamata dagli astronomi “era-scura”, il periodio buio dell’Universo, dove non c’è più alcuna radiazione osservabile.

 In altre parole, quello che gli astronomi si aspettano, spingendosi indietro nello spazio e nel tempo, è di vedere quelle regioni estreme dell’Universo dove non c’è più luce, la cosiddetta “era-scura”, quando cioè le galassie si stavano formando e nascevano le prime stelle.

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Coordinamento: Pasqua Gandolfi
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