Nel
"De coelo", Aristotele fa un'ampia discussione del problema
della unità e unicità del cosmo.
Riportiamo un frammento...
[..] È insieme
evidente anche che fuori del cielo non cè né
luogo, né vuoto, né tempo. In ogni luogo infatti
può sempre trovarsi un corpo; vuoto poi dicono essere ciò
in cui non si trova presente un corpo, ma può venire a
trovarsi; tempo infine è il numero del movimento, e non
cè movimento dove non cè un corpo naturale.
Ma si è dimostrato che fuori del cielo non cè
né può venire ad esserci un corpo. È evidente
dunque che fuori del cielo non cè neppure luogo,
né vuoto, né tempo. Perciò gli enti di lassù
non son fatti per essere nel luogo, né li fa invecchiare
il tempo, né si dà alcun mutamento in nessuno degli
enti posti al di là dellorbita più esterna,
ma, inalterabili e sottratti ad ogni affezione, trascorrono essi
tutta leternità in una vita che di tutte è
la migliore e la più bastante a se medesima. [
] È
di lassù che dipende, per gli uni più manifestamente,
per gli altri meno visibilmente, anche lessere e la vita
di quantaltro esiste. Ed anche, come nelle trattazioni a
carattere generale e divulgativo intorno alle cose divine, viene
spesso in evidenza nel ragionamento che sempre il principio divino
primo e supremo è di necessità sottratto ad ogni
mutamento; ciò che, stando così, attesta la verità
di quanto abbiamo detto. Non cè infatti un altro
ente ad esso superiore che possa imprimergli il movimento - questo
sarebbe infatti più divino di esso -, né ha in sé
nulla di vile, né è in difetto di alcuno dei beni
ad esso propri. Ed è conformemente a ragione che il primo
cielo si muove di un moto incessante: tutti i corpi infatti cessano
di muoversi una volta pervenuti nel luogo ad essi proprio, mentre
per il corpo circolare uno e il medesimo è il luogo donde
il moto inizia ed in cui ha fine. [...]
[De coelo, I, 9,
279a 11-b 3]
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