Ci sono circostanze
in cui il caso ci mette lo zampino ed è capace di cambiare
le carte in tavola sotto i nostri occhi.
Questa di cui vi parlo è una ricerca nata proprio per
caso.
Mi ero recato a Cuma per eseguire dei rilievi, seguendo un'idea
che mi frullava da tempo per il capo. Avevo il sospetto che
il tempio di Apollo e l'Arco Felice che da lassù si vede
chiaramente, fossero perfettamente in linea con un punto a sud-est
che permettesse ai sacerdoti la determinazione del solstizio
d'inverno.
Ipotesi più che ragionevole, questa, per il tempio di
un dio che nella sua accezione più comune era simboleggiato
dal sole.
Ma
già dai primi rilievi si poté ricavare l'assoluta
inconsistenza dell'ipotesi.
Mentre stavo per riporre i miei strumenti, lo sguardo mi cadde
sui pochi ruderi visibili un po' più a settentrione.
Un rapida occhiata all'ottima guida "Cuma e il suo parco
archeologico" di Paolo Caputo, direttore dell'Ufficio per
i Beni Archeologici di Cuma, mise subito in luce che si trattava
dei resti di un tempio di incerta attribuzione a causa della
quasi totale assenza di evidenze archeologiche. Ma la tradizione
degli eruditi lo considerava dedicato ad Artemide.
L'incoerenza fra la dedica ad Ártemis e l'epoca di costruzione,
che la tecnica edilizia stabiliva intorno all'inizio dell'età
imperiale, mi risultava evidente.
Ártemis è una divinità greca, non romana,
tuttavia il tempio risultava edificato proprio nel periodo in
cui Augusto tentava di ristabilire gli antiqui mores,
privilegiando le divinità autoctone rispetto a quelle
importate.
So bene che chi si occupa genericamente d'antichistica tende
a considerare Ártemis e Diana come due nomi della stessa
divinità ma non è così. Chiunque abbia
un po' di pratica nell'ambito della storia delle religioni antiche
sa che le origini sono differenti, differenti le caratteristiche
e le modalità di venerazione. Soltanto il processo di
sincretismo, iniziato forse nel VI secolo a.C., probabilmente
per influsso degli Etruschi di Capua, ha portato ad una progressiva
sovrapposizione della figura di Ártemis a quella di Diana
benché nel culto popolare le caratteristiche della seconda
abbiano resistito molto a lungo, fino oltre l'imporsi della
cristianità.
Nel campo che c'interessa più da vicino, la differenza
principale si manifesta nelle caratteristiche lunari comuni
alle due dee: mentre Ártemis è collegata alla
Luna crescente (di due o tre giorni d'età), Diana lo
è alla Luna piena, la "gialla luna d'agosto",
come scriveva Frazer.
Così
è cominciata l'avventura che ha portato la Sezione
di Archeoastronomia dell'Unione Astrofili Napoletani ad ipotizzare
che quel tempio senza nome fosse stato originariamente dedicato
a Diana.
La ricerca è stata poi pubblicata per i tipi delle
Edizioni Scientifiche Italiane, di Napoli, con una presentazione
del Prof. Castellani e un'introduzione del Dott. Caputo.
Colgo qui l'occasione per esprimere loro i nostri più
sentiti ringraziamenti.
Il succo della ricerca è semplice anche se, per poter
avere la certezza di ogni singola affermazione, sia essa astronomica,
storica, archeologica, mitologica od altro, ci sono voluti
quasi tre anni di studio e di continui rilievi e raffronti.
I rilievi hanno dimostrato che l'asse principale del tempio
è orientato verso un punto preciso dell'orizzonte geografico,
sul crinale del Monte Grillo, dal quale il 13 agosto dell'anno
21 a.C. fu possibile osservare, dal fondo del tempio stesso,
dove presumibilmente doveva trovarsi l'àdithon, il
sorgere della Luna Piena, sacra (come ho già accennato)
a Diana.
In realtà da quel punto di osservazione era possibile
osservare quasi ogni mese il fenomeno della levata della Luna
Piena, a causa dell'ampiezza dell'apertura d'ingresso al tempio
di cui non conosciamo con esattezza le dimensioni ma che certamente
non aveva uno specchio inferiore agli 8/10 gradi.
Tuttavia solo nella data che ho citato la levata dell'astro
si verificava esattamente in quel punto. E questa circostanza
non è trascurabile: le idi di agosto, che cadevano
il 13° giorno di quel mese, corrispondevano alla principale
festa di Diana.
Naturalmente,
non si potrebbe escludere a priori che tutto ciò fosse
avvenuto per caso, magari perché non si disponeva,
all'epoca, di una posizione alternativa per la costruzione
del tempio.
Ma, osservando con attenzione la piantina, ci si rende conto
che la costruzione di questo edificio ha comportato il parziale
abbattimento dell'angolo nord dell'edificio a portico che
si trovava dinanzi alla Cisterna Greca.
Quest'ultima è la costruzione probabilmente più
antica della acropoli cumana di cui ci sia rimasta traccia:
un ambiente ipogeo di cui ancora non conosciamo l'esatta funzione,
sappiamo solo che non era una cisterna ma che certamente doveva
essere stato di grande importanza se ci si era presi la briga
di costruirgli un edificio e un portico davanti.
E' quindi da ritenersi che tale posizione del tempio (e perfino
le sue proporzioni) sia stata voluta con estrema precisione
e non casuale.
Resta un minimo di perplessità su qualche considerazione
che ne consegue.
Possiamo ipotizzare che la costruzione del tempio di Diana
sia stata preventivata molto tempo prima e sia stata poi realizzata
in modo da far coincidere la sua fondazione (cioè l'inaugurazione)
proprio con la data del 13 agosto del 21 a.C., ma questo presupporrebbe
una conoscenza dei moti della luna, da parte dei costruttori,
estremamente evoluta in confronto agli standard che siamo
soliti attribuire all'età repubblicana e proto imperiale.
Tutto ciò sarebbe stato difficilmente accettabile fino
a pochi anni fa. Ma oggi opere come "La rivoluzione dimenticata"
di Lucio Russo, docente all'Università Tor Vergata
di Roma, ci apre un inatteso ed incredibile spiraglio sulla
reale portata delle conoscenze scientifiche greche e romane.
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