Attività solare

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Se consideriamo il Sole nel suo insieme e soprattutto se lo poniamo a confronto con stelle in uno stadio evolutivo più avanzato ci accorgiamo che la nostra stella è un corpo assai stabile nel tempo, condizione che è d’altra parte richiesta per assicurare condizioni favorevoli allo sviluppo e ala conservazione della vita sul nostro pianeta. Se però osserviamo nei particolari i fenomeni che si verificano alla sua superficie, notiamo che il Sole non è un corpo statico, ma è sede di mutamenti facilmente osservabili anche su scala breve di tempo.

Abbiamo già accennato al fenomeno della granulazione che caratterizza la struttura della fotosfera e che rispecchia lo stato turbolento dei gas che la compongono. Non è questa però la caratteristica più appariscente dell’attività osservabile sulla fotosfera: il fenomeno più noto e più vistoso è rappresentato dalle macchie solari, il cui numero varia periodicamente.

Le macchie compaiono isolate o a gruppi e hanno inizio dalla formazione di un poro, punto scuro delle dimensioni di qualche migliaio di chilometri, che si origina negli interstizi della granulazione. Questi pori possono scomparire in qualche ora o qualche giorno oppure allargarsi fino a dare origine ad una macchia formata da una zona interna scura che prende il nome di ombra, circondata da una zona più chiara di penombra, caratterizzata da una struttura a filamenti disposti a raggiera.

Le macchie hanno una vita variabile da qualche giorno a qualche mese; in quest’ultimo caso si tratta non di macchie singole, ma di grandi gruppi di macchie che subiscono una lenta evoluzione durante il ciclo della loro esistenza. È variabile nel tempo anche la posizione delle macchie sul disco solare; dal loro moto apparente si può dedurre che il Sole ruota su se stesso in senso antiorario come la Terra, con un periodo variabile da 25 giorni in prossimità dell’equatore a 27 giorni nelle zone con latitudine di 35 gradi. Mediante altri tipi di osservazioni è possibile poi estendere tali risultati a regioni con latitudini superiori dove la rotazione diventa ancora più lenta. Il Sole, in altre parole, non si comporta come un corpo rigido, ma è dotato di una velocità di rotazione decrescente via via che si passa dalle regioni equatoriali a quelle polari.

Riguardo alle loro dimensioni, le macchie possono raggiungere valori giganteschi, come ad esempio nel caso del famoso gruppo di macchie apparso nel 1947, che ricopriva circa l’1% dell’area del disco solare ed era quindi facilmente osservabile anche ad occhio nudo.

Abbiamo già accennato al fatto che la presenza di macchie sul disco solare rappresenta un fenomeno variabile nel tempo. In effetti fu un astrofilo del XIX secolo, il tedesco Heinrich S. Schwabe (1789-1875), a scoprire che il numero medio di macchie osservabili variava periodicamente nel corso di circa dieci anni. Da tutte le osservazioni raccolte da più di due secoli (a partire dal 1755), si è riscontrato che ilo numero massimo di macchie osservabili si ripete con un periodo medio di 11,1 anni, ma con notevoli oscillazioni rispetto a tale valore (da un minimo di otto a un massimo di sedici anni). A questo periodo viene dato il nome di ciclo un decennale dell’attività solare, poiché ad esso sono associati anche gli altri fenomeni meno noti di attività non solo fotosferici, ma di tutta l’atmosfera solare. Si assume come epoca di inizio di un ciclo la fase corrispondente al minimo di attività solare, quando cioè il numero di macchie è quasi nullo. Le prime macchie o gruppi di macchie che compaiono subito dopo tale fase sono situata latitudine intorno a 30 gradi sia sull’emisfero settentrionale sia su quello meridionale. Con il progredire del ciclo aumenta il numero di macchie e contemporaneamente diminuisce la loro latitudine fino a che, alla fine del ciclo stesso, esse si ritrovano in media intorno alle latitudini di +5° e -5°;  non è raro osservare in questa fase assieme alle ultime macchie di un ciclo, le prime macchie del ciclo successivo, facilmente distinguibili da queste perché nuovamente situate a latitudine eliografia di ±30-35 gradi.

Le cause che sono all’origine della formazione delle macchie e del ripetersi del ciclo solare restano, almeno in parte, sconosciute. Si sa che le macchie sono associate a un intenso campo magnetico, scoperto dall’astronomo statunitense George E. Hale (1868-1938) nel 1908, e ciò ha fornito la chiave per interpretare a loro natura. Nella ristretta zona occupata da una macchia il campo magnetico varia da 100 a 4000 gauss, mentre il campo magnetico del Sole è dell’ordine del gauss. Questo intenso campo magnetico associato alle macchie presenta inoltre vari aspetti peculiari: le due macchie principali di un gruppo hanno sempre polarità opposta; inoltre se la macchia precedente, cioè quella più occidentale, ha polarità positiva nell’emisfero nord, la sua corrispondente nell’emisfero sud ha polarità negativa e viceversa; questa caratteristica si mantiene costante durante tutto un ciclo solare e il segno della polarità si inverte nel ciclo successivo. Per tale ragione, se si tien conto dell’inversione totale della polarità della macchie nei due emisferi solari, sarebbe più opportuno parlare di un ciclo magnetico di 22 anni, ossia di un ciclo della durata doppi di quello che si desume dalla sola presenza e frequenza delle macchie sul Sole.

Nonostante l’aspetto molto scuro di una macchia, la temperatura del gas all’interno di essa è ancora elevata, circa 4600 K; la differenza di circa 1200 K tra la macchia e il resto della fotosfera la fa apparire come una regione “nera” per semplice effetto di contrasto. La temperatura più bassa nelle macchie è legata alla presenza del forte campo magnetico ad esse associato, il quale frena le correnti convettive che altrove consentono un continuo rimescolamento del materiale alla superficie della fotosfera: l’assenza di correnti all’interno delle macchie produce un abbassamento della temperatura locale che si traduce nell’aspetto scuro della macchia stessa.

Tutt’attorno alla regione occupata da una macchia o da un gruppo di macchie si osserva molto spesso una zona dalla luminosità più elevata di quella media del disco solare e dai bordi irregolari che prende il nome di facola o flocculo brillante. Per lo stesso fenomeno di contrasto per cui una macchia appare oscura, pur essendo formata da gas a più di 4000 gradi, le facole appaiono brillanti e quindi più facilmente osservabili quando si trovano vicino al bordo del Sole (in conseguenza del fenomeno di oscuramento al bordo) e impallidiscono man mano che si spostano verso le regioni centrali del disco.

Macchie e facole sono fenomeni dell’attività solare che si verificano nella fotosfera. I fenomeni che avvengono nelle zone esterne dell’atmosfera solare non sono osservabili così immediatamente come quelli fotosferici.

La cromosfera ha un bordo esterno formato da innumerevoli lingue di gas in continuo movimento che prendono il nome di spicole e che le danno l’aspetto definito così incisivamente da P.A. Secchi di “prateria infocata”; in questa regione, spesso sovrapposti alle facole e sempre prossimi alle zone occupate dalle macchie, si origina i brillamenti o flares, specie di rapidissimi lampi che possono ripetersi anche più volte nel corso di una stessa giornata e che hanno una durata media di pochi minuti. La loro frequenza, per il fatto stesso di essere associati alle macchie è, come quella delle facole, legata al ciclo un decennale del Sole.

Un brillamento di notevole entità è spesso accompagnato da una specie di fiammata dovuta all’espulsione di materiale cromosferici; quando questa viene osservata proiettata sul disco solare prende il nome di filamento o flocculo oscuro, mentre quando, per effetto della rotazione solare, si sposta al bordo, cambia di forma per effetto di prospettiva e, uscendo dal disco, si proietta sullo sfondo del cielo, è detta protuberanza. Protuberanze e filamenti sono perciò aspetti diversi dello stesso fenomeno, che può essere quindi studiato e seguito nelle varie fasi della sua evoluzione. La vita protuberanze-filamenti è pari a una o più rotazioni solari; la loro posizione sul disco e la loro frequenza sono collegate, come quelle degli altri fenomeni di attività solare al ciclo undecennale: all’origine di tutti questi fenomeni stanno i forti campi magnetici che si osservano nei centri di attività solare; manca tuttavia ancora una teoria completa della formazione delle protuberanze-filamenti.

Infine bisogna parlare dell'aurora polare, un fenomeno luminoso che si manifesta ad alta quota, solitamente al di sopra dei 60° di latitudine nord o sud. Si distingue in aurora boreale o aurora australe a seconda che si verifichi nell'emisfero settentrionale o in quello meridionale. L'aurora polare consiste di macchie luminose in rapida evoluzione o di colonne di luce danzanti, di varie tonalità. Quando si manifesta in forma intensa, questo fenomeno è accompagnato da attività di natura magnetica e può provocare interferenza con le trasmissioni radio e con le reti telefoniche e telegrafiche. I periodi di massima e minima intensità di un'aurora coincidono quasi esattamente con quelli del ciclo delle macchie solari, cioè con il ciclo dell'attività magnetica del Sole, che ha periodicità di 11 anni.

 

Aurora boreale

Il fenomeno dell'aurora boreale si può osservare nel cielo notturno delle regioni polari del nostro pianeta in concomitanza con i periodi di massima attività magnetica del Sole. Si tratta di intensi e suggestivi bagliori prodotti dall'interazione delle particelle provenienti dal Sole con i gas dell'atmosfera. Il fenomeno è circoscritto alle regioni polari perché sono le uniche zone non completamente schermate dal campo magnetico terresti.

Il fenomeno dell’aurora polare, osservato già dagli antichi romani, fu descritto scientificamente per la prima volta nel XVI secolo, dall’umanista svizzero Konrad Gesner (1516-1565). Si dovette aspettare il 1716, tuttavia, per una spiegazione del fenomeno: solo in quel anno, infatti, Edmund Halley ipotizzò che l’aurora polare potesse essere un effetto dovuto al campo magnetico terrestre. Vari studi effettuati durante e dopo il 1957-1958 (Anno geofisico internazionale) indicano che il bagliore aurorale si manifesta quando il vento solare, costituito da sciami di particelle cariche che permeano tutto il sistema solare, è incrementato da un flusso di particelle atomiche di alta energia provenienti dalle macchie solari. Gli elettroni e i protoni del vento solare penetrano nella magnetosfera terrestre e si localizzano nella fascia di Van Allen inferiore, sovraccaricandola. Gli elettroni e i protoni in eccesso che si vengono a formare entrano quindi nell'atmosfera, in corrispondenza delle due aree centrate nei poli nord e sud magnetici, ed estese per circa 20° da essi. Queste particelle collidono con le molecole dei gas che costituiscono l'atmosfera, eccitandole e dando luogo al fenomeno della luminescenza, cioè all'emissione di luce visibile.

Esiste una varietà infinita di forme osservabili in cielo durante il fenomeno dell'aurora polare, tra cui: l'arco aurorale, un arco luminoso che si forma a cavallo di un meridiano magnetico; la banda aurorale, che in genere risulta più larga e irregolare dell'arco; filamenti e strisce posti ad angolo retto rispetto all'arco o alla banda; la corona, un cerchio luminoso in corrispondenza dello Zenith; le nubi aurorali, masse nebulose indistinte che si possono formare in qualunque parte del cielo; il bagliore boreale, una luminosità diffusa alta nel cielo, verso cui convergono i filamenti e le altre formazioni; e poi drappeggi, ventagli, fiamme, pennacchi e strisce di varie forme. Le aurore sono state osservate anche nell'atmosfera di altri pianeti, in particolare in quella di Giove.